lunedì 27 novembre 2017

Anteprima editoriale - Alessia Iuliano presenta "Per vederti fiorire" (CartaCanta) di Alessandra Fichera

-          Quando si invita un ospite
si prepara la casa;
va scelta la tovaglia perfetta, i calici
giusti per un buon rosso, e si attende. Lui,
ospite. Accade lo stesso quando
va presentato un nuovo autore, se autore è Lei.
Donna alla Prima dell’Opera      Per vederti fiorire.

Così voler presentare l’opera è volontà
di presentarne l’autrice,    Alessandra Fichera
alla luce di un avvento
che intaglia
il merletto negli occhi e devasta
il grembo di una madre
cercando la sua forma, fuori.

Questo è la raccolta per i tipi di CartaCanta
che a breve sarà distribuita da Messaggerie;
questo, il sacrificio di Alessandra – donna – autrice,
fiore alla mantide dei ricordi
perché dal dolore di un passato
scaturisca la Gerusalemme, il trionfo di un Tu
che non sappiamo
se soggetto della fioritura o oggetto
vivo, necessario alla vista di Lei, altrimenti non autrice
di  il paradiso è in cielo e può attendere,
e sottesi i versi densi di senso

 e sarò io a cercare allora
di annidarmi la vita nel ventre
ad aspettare che il battito inizi
che il dialogo si disponga
che alla chiamata, qualcuno risponda.

E  risposta è segno, mano e carne
che cerca la spalla
per l’ingresso nel corpo, nella storia
di una madre, di Giovanni, Elisa, Valentina,
e ancora Sebina, Sarina e Alessandra – Io.

Ma Per vederti fiorire è anche scrigno, alba
che schiude i portoni, e cartina tornasole
delle partenze, delle chiamate e dei luoghi
innominabili e appellati
dal quotidiano di un’autrice che non presta fede
al dato reale ma alla verità del tempo.

Così da Firenze a Milano, o Bologna
la distanza è foglia e cura
del viaggio di un Io che sboccia a farsi tu per giungere al Noi
che accoglie a piene mani il germoglio di queste pagine perché sia sempre Primavera.

 
Alessia Iuliano 


Nota: Per vederti fiorire è vincitore del Premio “Le stanze del tempo-2017” , ed è pubblicato per CartaCanta Editore nella collana I Passatori – Contrabbando di poesia diretta da Davide Rondoni.


 Alessandra Fichera è nata a Caltagirone nel 1994. Studia Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Siena. Ha conseguito diversi premi letterari tra cui il Premio Agostino Venanzio Reali – sezione giovani (2013), il premio Edgardo Cantone (2016,2017) e il premio “Le stanze del tempo – 2017” indetto dalla Fondazione Claudi di Serrapetrona. Nel 2013 è stata inoltre pubblicata nell’Enciclopedia della Poesia Contemporanea della Fondazione Mario Luzi. 




 

mercoledì 22 novembre 2017

Storie Naturali (Raffaelli Editore) di Vincenzo Della Mea letto da Melania Panico

Quando apriamo “Storie naturali” abbiamo subito l’impressione che si tratti di un libro con il quale l’autore intenda fare un bilancio e in effetti è forse così, essendo una raccolta di poesie che raggruppa testi che vanno dal 1992 al 2015 – alcune sezioni sono totalmente inedite, altre pubblicate in precedenti plaquettes o riviste - e i bilanci, si sa, nascondono sempre lati oscuri. Eppure in Storie naturali anche le parti che appaiono più deboli concorrono all’obiettivo finale: un libro che non parla di scienza - come potrebbe sembrare (l’autore si occupa da sempre del rapporto arte/scienza) - ma  attraverso la scienza e attraverso il simbolo per approdare poi a una ricerca di soluzione: “Dice  che  è  tutto  chiaro all’improvviso /l’occhio  rosso  acceso  del  cielo, basso” e ancora “La  sintesi  del  giusto,  la  misura /di  chi  può  limitarsi  a  dire  ho  vinto,/ ho  avuto  ragione,  con  un  sorriso”. La ricerca, quindi.

Poi all’improvviso, quando sembra che la risposta si stia per manifestare, quando siamo lì lì per trovare una soluzione – sembra di intravederla in alcune sezioni specifiche come La ferita benigna e Storie naturali – qualcosa interviene a rimpolpare la frattura. E in questa frattura c’è la poesia. C’è molta poesia.
L’aggettivo naturale, per fare riferimento al titolo della raccolta, suggerisce molte interpretazioni. Non significa qui statico ma neanche relativo: naturale è ciò che riguarda il reale. Una riflessione che ingloba tutto e questo non è certamente un processo semplice. Eppure il senso non è avere una visuale perfetta. È avere una visuale.

È sicuramente un libro eterogeneo come eterogenei sono gli ambiti in cui la ferita si affaccia e rende giustizia alla visione. Una diffrazione di cui l’uomo non può che essere portatore, a volte insano e per questo vitale.
Melania Panico
 

Padre

Duro alle lusinghe, col muso rotto
dalle rughe e la calce nei capelli

lavati di sabato con l’aceto,
nel giorno del riposo t’alzi presto

bestemmiando fumo, poi spacchi legna
con i jeans della festa finché stai male.

Ma tu sai – l’ho capito –
che non è quello il male

che ci porterà via.

 *
La sintesi del giusto, la misura

di chi può limitarsi a dire ho vinto,

ho avuto ragione, con un sorriso;
non la frana di consonanti e lacrime

che giustifica l’errore e racconta
il concatenarsi di eventi ostili.

Vorrei questo, ma questo è un verso in più.

La crepa
La crepa è nata chissà come

diresti per caso magari

un differenziale interiore

una tensione nel terreno
un errore di miscelazione

cresce a prima vista insensibilmente
ma se ci pensi

capita per punti discreti
a piccole catastrofi che scopri la mattina


Nato nel 1967, Vincenzo Della Mea è ricercatore universitario nel campo dell’Informatica Medica e delle Tecnologie Web a Udine. Nel 1999 ha pubblicato L’infanzia di Gödel (La Barca di Babele, Meduno); nel 2004 Algoritmi (Lietocolle; premio Nelle terre dei Pallavicino 2005); nel 2008 la plaquette I sogni della guerra (Circolo Menocchio, Montereale Valcellina). Nel 2016 ha pubblicato Storie naturali – poesie 1992-2015 (Raffaelli Editore, Rimini). Sue poesie sono apparse su diverse riviste ed antologie tra cui Nuovi Argomenti, Caffè Michelangiolo, Almanacco del Ramo d’Oro, Nazione Indiana, Daemon, Le voci della Luna ed in traduzione su World Literature Today. È da sempre interessato al rapporto tra poesia e scienza, che oltre che nei testi si è esplicitato in cura di volumi (antologia “Verso i bit”, Lietocolle), riviste, eventi.



domenica 19 novembre 2017

In tagli ripidi (Giulio Perrone Editore) di Alessandro Brusa letto da Anna Maria Curci

Nel romanzo Il doppio regno, Paola Capriolo fa scrivere all'io narrante, in un diario scritto in un misterioso albergo nel quale si ritrova (accolta? prigioniera? di sé oppure di 'altre forze'?) queste parole: «A volte scrivo poesie sulla carta da lettere dell’albergo, ma è una definizione impropria: sono quasi sempre coppie di parole che per qualche ragione mi sembrano “far rima” tra loro. L’ultima ad esempio è composta di due soli versi, il primo verso è “ferita”, il secondo “miracolo”. Sono certa che esiste una lingua nella quale si può passare dall’uno all’altro termine, con la semplice aggiunta di una lettera, tuttavia non so perché queste due parole e il loro strano legame mi appaiano così gravidi di significato.»
Questa lingua così distante eppure così vicina, "la lingua lontana" di Alessandro Brusa, nella quale la parola "ferita" si discosta dalla parola “miracolo” semplicemente in virtù dell'aggiunta di una lettera finale, è la lingua tedesca, e il prodigio, fonte di stupore, avviene con le parole "Wunde" e "Wunder".
Perché questa premessa? Perché leggo In tagli rapidi di Alessandro Jacopo Brusa come compiuta realizzazione di una architettura poetica le cui fondamenta stanno nel cozzo e nell'incontro lacerante e prodigioso di questi due principi: il vulnus perpetrato, ripetuto, innanzitutto sul corpo e il cammino (passo costante, incursione di 'pontiere') nel mondo del meraviglioso.
Lo attestano, come ben scrive Fabio Michieli nella prefazione, le antitesi ripetute, lo attestano quei versi scritti nella carne, tatuaggi e scalfitture sulla pelle, mirabili sintesi di lacerazione e intuizione («dolore scorsoio») lo attestano, ancora, quei richiami a miraggi, illuminazioni e squarci nel deserto, nonché i richiami non solo biblici, ma anche al mondo incantato eppure di primordiale crudeltà e di successiva “Zerrissenheit" – “travaglio interiore” che è stato precedentemente «lo strappo/ che tra le scapole/ toglie vertigine/ ad ogni altezza». Una antitesi-sintesi che va dalle fiabe popolari raccolte dai fratelli Grimm al pure ottocentesco e ancora modernissimo vagare senz'ombra del Peter Schlemihl («all’ombra che non ho») di Chamisso, dei cui mirabili stivali, trovati a portare conforto con l’esplorazione della natura a un’esistenza di perenne emarginazione, privata dell’ombra, si trova una chiara eco in un felice ossimoro: «ma io dormirò sereno/ perché lui mi stringe in/ distanza di sette leghe.»

La prima poesia della prima delle cinque sezioni che compongono la raccolta – Il vento che insegue veloce, Il tempo che abitiamo in punta, Il taglio nel legno, Nel nome del figlio, E giriamo in cerchio di amanti – è un efficace esempio del ritmo sostenuto e della versificazione qui adottata da Brusa, che individua in questo libro la terza tappa, quella conclusiva, di un percorso iniziato con il romanzo Il Cobra e la Farfalla e proseguito con i testi poetici di La raccolta del sale. Essa può essere interpretata altresì come dichiarazione e tributo alla scaturigine e alle intenzioni del moto poetico: «D’uso io annuso l’aria che tira/ : perché ho memoria/ perché ricordo ogni emozione/ che porti/ perché scandaglio la storia/ ed ogni tua percezione/ e scatto come grilletto/ cercando lo scontro/ o cercando la fuga». L’affermazione dal sapore evangelico contenuta nei versi dello stesso componimento che seguono quelli citati, vale a dire «non sono nata per le cose del mondo», è insieme fieramente consapevole e sofferta e segna la presa di distanza – non a caso “distanza” è termine di evidente ricorrenza nella raccolta – da ciò che, tuttavia, è oggetto di vivida, profetica, e in quanto tale dolorosa percezione.
Non stupisce, pertanto, che sia l’ossimoro a sostenere frequentemente l’impalcatura del testo poetico, accompagnata dall’incalzare della fuga, intesa qui come composizione musicale e realizzata con rime interne e passaggi per cambi di vocale: «mi definisco per sottrazione/ per ciò che aggiungo/ all’ombra che non ho/ e d’ambra opaca/ tengo nelle viscere la mano/ che tua mi spande».
Di musicalità che rende lo strazio – quasi che l’archetto dello strumento si trasformi in punta acuminata e la cassa armonica si faccia legno da incidere – testimonia tutta la raccolta, con una sezione tra le cinque a fungere da dominante. Si tratta proprio della sezione centrale, Il taglio nel legno, nella quale ogni testo è stato composto in sintonia con una composizione musicale di cui Brusa riporta il titolo in chiusura. La poesia si misura qui con brani di Brahms, Bach («In su la nota un pezzo/ - tenuto, e corda -/ il taglio nel legno/ e la lima stesa/ lo porgono a me/ che sospeso lo tengo/fitto»), Mahler, Marais, Vivaldi, Pergolesi, Šostakovič. I Kindertotenlieder di Mahler sono l’annuncio e il controcanto a questi versi: «Scale appese/ al grave crescere e salire/ di un dolore piccolo,/ pronunciato nel tempo/ che neve, separa/ dal sole a ponente.»
Altra musica risuona nei testi della sezione In nome del figlio, forse quella della PFM in Lettera al padre, dove pure, come avviene qui, i ruoli di padre e figlio vengono mescolati, rimandati uno all’altro, ribaltati: «Di questa nascita/ riempio il tempo/ che io solo conosco/ e incammino sulle/ tue incertezze». Alessandro Brusa è figlio di un poeta, Maurizio Brusa, come ricorda Marco Simonelli nella postfazione. Chi scrive ha pianto la morte improvvisa, a breve distanza da quella del di lui padre Omero, di Maurizio Brusa, poeta elegante e schivo, defilato e incisivo. Chi scrive si sofferma sui versi di Alessandro Brusa e pensa a questioni aperte e punti fermi. Resta aperta, intenzionalmente, la domanda circa il destinatario di questi versi: «hai smarrito la parola/ ed il tuo verso/ che di obbedienza/ hai perduto.» Resta ferma, invece, la dedizione completa, di spirito e corpo, alla resa nel testo: «Di questo corpo ho fatto testo/ se del tuo corpo tengo il segno/ che di quella nascita mi ha fatto.»

Anna Maria Curci


domenica 12 novembre 2017

Intatto - Ecopoesia (La Vita Felice 2017) di Massimo D'Arcangelo, Anne Elvey e Helen Moore letto da Rita Pacilio.

Massimo D’Arcangelo, Anne Elvey e Helen Moore sono gli autori di Intatto/Intact, un libro di poesie, o meglio, un’officina poetica in tre lingue (italiano, australiano e inglese) che narra la vicenda primigenia della Terra/Natura, oggi sempre più violata e contraffatta dalle sue stesse leggi e dal logorio dello sfruttamento economico.  Gli autori assumono infinite sottigliezze di riferimento, compiti dichiarati e metaforici di retroterra novecenteschi facendo coincidere l’hic et nunc al limite impercettibile tra sé e gli altri e alla miscela del comune pensiero poetico-filosofico, autentico, indispensabile per celebrare e denunciare. In ogni singola eco-poesia i suoni e le parole ontologiche respirano, per ritmo e sintassi, tra spazi e paradigmi conoscitivi – a volte disparati sul foglio quasi a voler fare chiarezza tra il parlare figurato di pubblico dominio e la sfaccettata molteplicità della coscienza ancestrale - mettendo in discussione i processi antropologici e sociologici che hanno creato distanza e complessità tra le spinte centripete delle pulsioni più pure dell’anima e lo sdoganamento delle stesse. Il linguaggio poetico traduce l’esigenza visionaria e lancinante della parola in un desiderio-richiamo vibrante di com-prendere il mondo di oggi e di ieri attraverso l’interpretazione degli aspetti concreti, simbolici e congestionanti, gli ambienti selvatici o selvaggi, ormai rarefatti, alienati dalla frenetica tecnologia. Siamo di fronte al valore genuino del significante avulso da operazioni letterarie stantie e blasonate dei nostri giorni. La conferma è instillata nell’epifanica esplosione di variazioni e coloriti armonici coraggiosi per guardare e ritornare all’acqua, al pudore della montagna, agli uccelli, al muschio, al bosco incontaminato, all’ape, ai fiumi, alla polvere, alla tana, all’aria fresca, a tutta la bellezza degli angoli del mondo dall’anti-creazione fino a Pascoli, Bertolucci, Caproni, Luzi. L’etica dell’eco-poesia si misura con il proprium di quei luoghi in cui i paesaggi memorabili della natura, non si trasformano per metamorfosi in altro elemento naturale, ma in oggetti, in materia artificiale, meccanica e mercificata. La sensibilità poetica, l’onestà intellettuale e spirituale dei tre autori  non vuole cedere il passo a pulsioni regressive, anzi. Siamo di fronte a poesie con funzione civile fertile. Testimonianza che ogni esperienza umana genera altre esperienze e ulteriori con-tatti con il mondo antropico-ambientale, per analogia, proiezione e per attrito.   




Massimo D’Arcangelo (1982) vive a Siena.
Ha pubblicato Il battito dello Scorpione. Ecopoesie (Sacco Editore, Roma 2012).
è inserito nel volume Novecento non più. Verso il Realismo Terminale (La Vita Felice, Milano 2016), un’antologia fondamentale sul Realismo Terminale che cerca di restituire una visione esemplificativa della produzione di autori ascrivibili alla tendenza identificata da Guido Oldani.
Suoi lavori sono pubblicati su riviste, cataloghi d’arte (Paesaggi Inquieti di Mario Giammarinaro a cura di Ugo Nespolo, 2017) e antologie, nazionali ed internazionali, a tema ecologico.
Rappresenta l’Italia nel progetto boliviano Poesía en acción e sue ecopoesie tradotte in lingua spagnola sono incluse nell’antologia Dando voz, al que no tiene (J. Barriga Nava, Bolivia 2016).


Massimo D’Arcangelo (1982) lives in Siena.
His first book Il battito dello Scorpione. Ecopoesie was published in 2012 by Rome-based Sacco Editore.
Massimo’s poems have been published in Novecento non più. Verso il Realismo Terminale (La Vita Felice, Milano 2016), a milestone anthology about Terminal Realism which includes poems from authors belonging to this trend as outlined by Guido Oldani.
His works have been published widely in national and international journals, art catalogues (Paesaggi Inquieti by Mario Giammarinaro, curated by Ugo Nespolo, 2017) and collective works on ecology.
He represents Italy in the Bolivian project Poesía en acción, and his ecopoems have been translated into Spanish and collected in the volume Dando voz, al que no tiene (J. Barriga Nava, Bolivia 2016).

cura e traduzione dall’inglese
edited and translated from English by
Francesca Cosi e Alessandra Repossi

traduzione dall’italiano
translated from Italian by
Todd Portnowitz

prefazione di
foreword by
Serenella Iovino