lunedì 27 aprile 2020

Consigli di lettura a cura di Rita Pacilio: aprile 2020


Dimenticare un Hotel di Giorgio Mobili – Puntoacapo 2020
Anatomia del vuoto di Marco Onofrio – La Vita Felice, 2019
Arruina di Francesco Iannone – Il Saggiatore, 2019
Poesie creaturali, Un bosco in versi di Tiziano Fratus - Libreria della Natura (2019)

La poesia non #restaacasa
I rapporti intersoggettivi nel periodo dell’emergenza coronavirus hanno mostrato una nuova urgenza: il bisogno di poesia e musica come compagne di vita, fedeli e insostituibili. Con l’evocazione e la visione, infatti, i paesaggi interiori hanno saputo coltivare speranza e fiducia nella prospettiva di un nuovo inizio sostituendosi al timore di essere soffocati dalla pandemia. Così il senso di onnipotenza individuale è stato immediatamente convertito in una pluralità corale che dal monologo è passato al dialogo, agli scambi e alle interazioni via etere. Innumerevoli iniziative sono partite da Case Editrici, Radio ed Emittenti televisive, sia locali che nazionali, soprattutto, da Associazioni culturali, da poeti, studiosi, sportivi che si sono adoperati a tenere viva e ottimista la nostra mente. Costretti a isolarci fisicamente per proteggerci dal contagio virale, abbiamo fatto risuonare la nostra voce artistica mentre l’epidemia feriva a morte intere generazioni. È vero, la natura si è riappropriata di spazio e tempo, ma l’uomo rinchiuso nelle quattro mura, ha letto, scritto, cantato, suonato per se stesso e per il mondo urlando alle finestre che i valori culturali sono la nostra forza. Non sappiamo cosa ci aspetterà lì fuori, ma una cosa è certa: la poesia e l’arte sono sentimenti che resisteranno, nonostante tutto.

da Dimenticare un Hotel di Giorgio Mobili – Puntoacapo 2020

Albergo solitudine

L’invidia calda versala sui figli
dall’alto verso il basso, com’è naturale
la furia chiama e tu, duro d’orecchi
rispondi sì per no
e sogni freddo: le dolci aggressioni
al nostro pomeriggio
l’albergo con il merlo riverso nella vasca
il circolo di gesso
sui crimini al pian di sotto.

Elizabeth Cantù, Toni Montoya
s’incaglia la tua fede nelle grandi imprese
vedendole pensare a qualcos’altro
stagliate contro il cielo …

Dopo cena, non resta che arrendersi
alle diafane lusinghe
di amori in fuga da una stanza mai esistita:
alla fine del parcheggio
si essicca il desiderio, sotto vuoto.
E si piumano i sospiri dell’azzurra indolenza
che regge i ponti del cavalcavia.

da Anatomia del vuoto di Marco Onofrio – La Vita Felice, 2019

Il centro

Il centro irraggiungibile del mondo
è dove, volta a volta, tu non sei;
tu che ti credi il centro del mondo
e invece sei un relitto in mezzo al mare
di un infinito eterno senza centro...

In tutto questo vuoto
si scompare.

da Arruina di Francesco Iannone – Il Saggiatore, 2019

«Da vivo non ci pensi mai. Siamo tutti così invincibili ed eterni da vivi. I vivi vivono senza sapere di essere vivi, senza esserne pienamente coscienti. Io che sono vivo, e viva è la Sperduta e il mio desiderio di rivederla, penso che solo adesso la vita è dalla mia parte».

da Poesie creaturali, Un bosco in versi di Tiziano Fratus - Libreria della Natura (2019)

Avvertimento ai cercatori

Un giorno
i cercatori di funghi
saranno accusati di boschicidio,
poiché oramai è noto che una selva
abita il tempo e rinasce sotto terra, piuttosto
che nella vastità teatrale del mondo sospeso.
Per legge si debbono punire tutti coloro
che osano disturbare il sonno
delle radici.

Giorgio Mobili (1973), laureato in Lettere moderne all’Università di Pavia, vive negli U.S.A. dal 1999. Nel 2005 ha ottenuto il dottorato in Letterature Comparate dalla Washington University in St. Louis, Missouri. Attualmente insegna alla California State University di Fresno. È autore di vari saggi e dello studio Irritable Bodies and Postmodern Subjects in Pynchon, Puig, Volponi (Peter Lang, 2008). La sua poesia in lingua italiana è apparsa nel volume collettivo 1° non singolo Sette poeti italiani (Oèdipus, 2005), in varie riviste (tra cui «L’immaginazione», «Steve» e «Gradiva»), e nel volume Poets from the Italian Diaspora (a cura di Peter Carravetta). La sua prima raccolta, Penelope su Sunset Boulevard, è uscita nel 2010 presso Manni. In lingua spagnola, ha pubblicato Última salida a Ventura (Mago Editores, Santiago, Cile, 2013). Ha tradotto in italiano il poeta brasiliano narlan Matos, l’americano Christopher Merrill e il cileno Ennio Moltedo.

Marco Onofrio è nato nel 1971 a Roma, dove vive e lavora. Dopo la laurea in Letteratura italiana moderna e contemporanea, si è dedicato al giornalismo e poi, integralmente, alle attività letterarie e culturali. Scrittore, saggista, critico letterario, ha pubblicato oltre 30 libri tra cui – con questo – 13 volumi di poesia: Squarci d’eliso (Sovera, 2002); Autologia (Sovera, 2005); D’istruzioni (Sovera, 2006); Antebe. Romanzo d’amore in versi (Perrone, 2007); È giorno (Edilazio, 2007); Emporium. Poemetto di civile indignazione (Edilazio, 2008); La presenza di Giano (Edilazio, 2010); Disfunzioni (Edizioni della Sera, 2011); Ora è altrove (Lepisma, 2013); Ai bordi di un quadrato senza lati (Marco Saya Editore, 2015); La nostalgia dell’infinito. Antologia 2001-2016 (Ensemble, 2016); Le catene del sole (Fusibilia, 2019). Sue opere poetiche sono tradotte in spagnolo e in romeno. Ha conseguito numerosi riconoscimenti letterari nazionali e internazionali, tra cui il “Montale”, il “Pannunzio”, il “Carver”, il “Città di Sassari”, il “Città di Torino”, il “Farina”, il “Viareggio Carnevale” e il “Simpatia”. Svolge attività di consulente editoriale, di recensore, di ideatore e organizzatore di eventi culturali. Ha collaborato come autore e critico ai blog letterari L’ombra delle parole e La presenza di Erato. Attualmente è autore e amministratore del blog letterario Del cielo stellato, nonché caporedattore della rivista trimestrale «Lazio ieri e oggi» e collaboratore della rivista «Voce romana».

Francesco Iannone è autore in poesia ed è nato a Salerno. Arruina è il suo esordio nella narrativa. Suoi testi poetici suono apparsi su numerose riviste (La clessidra, Semicerchio, Clandestino…) e inclusi nelle antologie Al di là del labirinto (L’arca felice, 2010), Raccolta di poesie 2011 (Subway-Letteratura, 2011), La generazione entrante (Ladolfi, 2011, a cura di Matteo Fantuzzi). Poesie della fame e della sete (Ladolfi, 2011, premio L’aquila opera prima, finalista premio Penne e Beppe Manfredi) è il suo primo libro in poesia.

Tiziano Fratus è nato a Bergamo nel 1975 ed è cresciuto in Lombardia e Piemonte. Incontrando le sequoie millenarie in California e i boschi vetusti delle Alpi ha coniato il concetto di Homo Radix, a cui è conseguita la disciplina della dendrosofia e una pratica quotidiana di meditazione in natura. In vent’anni ha pubblicato opere di grande diffusione per i maggiori editori italiani, fra i quali Manuale del perfetto cercatore d’alberi, Ogni albero è un poeta, L’Italia è un bosco, Il libro delle foreste scolpite, Il bosco è un mondo e Il sole che nessuno vede. Collabora con il Manifesto e Radio Francigena. Le sue liriche, pubblicate in diciassette paesi, sono state raccolte di recente nell’opera Poesie creaturali. Per Bompiani ha pubblicato I giganti silenziosi (2017). Il suo sito è www.homoradix.com.

martedì 21 aprile 2020

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: "L'abitudine degli occhi" di Monica Martinelli (Passigli 2015)


C'è dato un tempo
per ogni tempo.
C'è una magia in ogni cosa,
nel perdono
in un bacio che ferma l'addio
nella ragione di essere nati.

Penso non sia il cambiamento
ma l'abitudine
l’unità di misura dei viventi,
ciò che ci rassicura e ci consola
ciò che ci viene naturale fare.

E poi gli occhi,
con cui misuriamo la realtà
che sia di fiato e di sabbia,
che ci prepari alla nostalgia
o all'abbandono.

È come seguire la danza
di una foglia nel vento
e indovinare da quale parte cadrà.

*

Respiri emanano calore
sopra l'abitudine dei sensi.
Sapere se la terra ha corpo e mani
e il cielo occhi
per vedere quanto colore
c'è in un sorriso,
o in quel sasso che riflette luce
e si chiede qual è il suo posto
come io qui.

*

Tra cera colata
e odore di incensi e memorie
si consuma la vita su mosaici
scoloriti da occhi e tempo.

Visi e teschi si fanno compagnia
in un avello senza tormento.
Il sacrificio del corpo e del sangue
si riduce a un fermo immagine
nel mestiere moderno di fare copia
e calco di ogni cosa sia stata nella storia.

Ma anche riprodurre è un'illusione
se il tempo non si ferma, non rimane.
Ecco perché qualunque senso è poco
di fronte a ciò che ci fa più grandi.

Firenze, Chiesa di San Miniato

*
Vorrei avere lo scatto di un geco
che guizza per fuggire,
la sintesi nei suoi movimenti
l'agilità di saltare i sentimenti difficili
essere minuscola e nascondermi
o confondermi con ciò che mi circonda,

scegliere sentieri facili da percorrere
nessuna asperità sul terreno
solo foglie rosse e dorate
e un tappeto di sogni
dove sdraiarmi a pensare che sei vita
sei spinta alla vita
e io sono corsa incessante per raggiungerti
nell'umano mistero della felicità.

Ho avuto in dono da Monica Martinelli, l’autrice, creatura gentile ed aggraziata come una figura botticelliana, il suo libro qualche anno fa: mi pare di ricordare poco dopo la pubblicazione e l’ho molto apprezzato.
Perché non ne ho parlato prima? Perché l’ho lasciato decantare per quasi un lustro?
La risposta ha richiesto molto tempo ed una indagine su me stessa quasi psicanalitica, che è stata faticosa e da cui rifuggivo con mille scuse: alibi per non volere far chiarezza su certi aspetti di me, contraddittori o aggrovigliati che mi squinternavano, o comunque non rientravano a formare quell’equilibrio globale di persona cui tendo da sempre. Con scarso successo evidentemente, da quanto dico.

Monica Martinelli, nell’assoluta diversità con la mia persona - nell’anagrafe (lei è giovane), nella formazione tecnica, economica, finanziaria, nell’attenzione al mondo delle scienze (fisica, chimica, geologia, come emerge anche nelle sezioni del suo libro), tutti aspetti totalmente divergenti dalla mia forma mentis - aveva trovato la chiave per entrarmi dentro. La sua poesia mi faceva da specchio in quello “sconforto di essere creature” che stimola alla vita, ma estenua, nel desiderio di slanci, di voglia di fare, di lasciare tracce chiare del nostro passaggio, ma che sfuma in troppi momenti di inadeguatezza che lasciano inappagati, dolenti fino allo stremo delle forze mentali. Monica era troppo per me, per questo le sfuggivo: per mia vigliaccheria. Finché ho potuto. Per quasi cinque anni. Ma, come dice giustamente lei nella bellissima poesia di esordio del libro - la prima che vi ho proposto - riecheggiando il testo del Qoelet (Ecclesiaste), arriva un momento per ogni cosa.

Penso adesso alla verità della seconda strofa della poesia di Monica: non il cambiamento (raro momento di esaltazione), ma è
… l'abitudine
l’unità di misura dei viventi,
ciò che ci rassicura e ci consola
ciò che ci viene naturale fare.

Penso, in questi tempi di coronavirus, a quanta gioia nel mio stare con la persona amata asserragliata a casa, a meditare su me stessa e sull’abitudine degli occhi, a cercare di capire meglio che cosa voglio ancora fare nella vita e cosa, realisticamente parlando, sono in grado di fare. E poi lavorare ai miei studi con testa, con cuore, con volontà, con amore. Nell’abitudine la creatività: tra quattro mura tutta la gamma dei contrastanti sentimenti dell’uomo. La speranza con la disperazione, la nostalgia  insieme alle progettazioni, l’utopia con la rassegnazione. Noi siamo tutto e il contrario di tutto. Da qui la ribellione, la rabbia, contro la nostra magmatica mente, contro lo squilibrio, nel tentativo forse vano di riuscire a trovare un approdo.
In una sua poesia Monica dice:

ogni cosa cerca spazio
per trovare ormeggio
nel corpo in cui dimora.
E poi ci si affeziona anche al dolore
all’ospite sgradito
ignaro di solitudine.

Ribadisco che comunque Monica è troppo sfaccettata per me. Valgono, in relazione a lei, le parole che Juan Gris scrisse al grande poeta Vicente Huidobro, che gli aveva dedicato il volume Poesie artiche: “ E’ troppo bello per me, non riesco a penetrarlo”. Parole semplici ma essenziali nella loro verità.
Ne parlai un giorno con la mia amica Cinzia, poeta e cultrice di poesia sudamericana. Mi capita, di fronte a testi poetici magari singoli, meno spesso rispetto ad autori in generale, di sentirmi invasa come da un’ondata sentimentale che prende totalmente per profondità e bellezza, ma lascia inermi, senza parole, anche perché ogni parola diventa inadeguata a definire ciò che si sente. Può essere la possessione da parte delle Muse di cui parla nel Fedro Platone? O quella che ha provato un paio di volte Orazio, poeta apollineo, di fronte alla dirompenza dionisiaca della poesia di Libero - Bacco?
Non lo so. Posso dire che la poesia di Monica mi ha creato problemi per “eccesso”. Per questo motivo non tento neppure di avvicinarmi a questo libro prezioso in maniera sistematica. Vi ho offerto pochi spunti con i quattro testi riportati più sopra, di diversa connotazione. Io li amo tutti: desidererei che fossero letti più di una volta e uno per volta; vorrei che il lettore si lasciasse penetrare, avvolgere, non solo dalle parole ma dallo spirito che dai versi si espande, occupa spazio, esterno ed interiore, fino forse a cambiare negli altri le abitudini degli occhi e, ancor più, dell’anima. Solo dopo il lettore può riflettere. E’ questione di un momento fulminante o di cinque anni. Dipende dalle persone.

Mi piacerebbe segnalarvi, come conclusione, questa poesia scritta al mare di Sperlonga al tramonto. Io la trovo perfetta: il contatto con la natura, simbiotico, porta all’introspezione non solo del sé, ma dell’epopea di ogni uomo alla ricerca di una pacificazione finale, ove ogni dolore spezzato su scogli rassegnati si plachi in grande malinconia, senza confini nel mare e nella sera.

Mi smarrisco nel rumore del vento
e nel continuo accadere
di onde pazienti
che nel fragore si danno voce.
                                   
Il pensiero si stordisce nel ricordo
e si ferma a cercare ristoro
da un dolore ininterrotto
che si spezza su scogli rassegnati.

Ma quando il sole spegne la sua luce
e le onde si muovono nel modo giusto
lì si accende la grande malinconia
che solo il mare può vedere.

Sperlonga, al tramonto






lunedì 6 aprile 2020

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: Marzia Spinelli - Trincea di nuvole e d'ombre (Marco Saya Edizioni 2019)


Una questione annosa: in che cosa deve eccellere la Poesia per essere definita davvero grande, capace di emozionare, di suggestionare, ma anche di portare “oltre”, fare riflettere il lettore, tutti i lettori di ogni genere e nazionalità che riescano, tramite i versi, a coniugare incantamento e pensiero, collegare l’emozione che divampa e scuote l’anima con la razionalità che lavora nel cervello e lo stimola ad argomentazioni personali. È ardua questione poiché spesso si innestano situazioni di grande soggettività, di gusto personale; nelle nostre opinioni siamo inevitabilmente legati, magari in maniera subliminale, ai condizionamenti dello spirito dei tempi, forse anche a quelli di epidermiche mode passeggere.
La poetessa che presento oggi, Marzia Spinelli, è voce che va oltre la contingenza dell’attualità, è voce unica da sempre, fin dal suo esordio felice nel 2009 con Fare e disfare - Edizioni LietoColle - in cui il recensore Plinio Perilli puntualizzava la rarità di quest’opera, nuova in quanto poesia fuori dagli schemi consueti e acutamente affermava che Marzia Spinelli “solfeggia i propri versi e insieme se ne libera, li affranca da tutti i canoni e i luoghi comuni, di cui la poesia non ha mai bisogno, meno che meno per vedersi concedere plausi ed attenzioni sempre più sofisticate o peregrine”.
A maggior ragione nuova e coraggiosa è l’architettura sottesa al suo ultimo libro Trincea di nuvole e d’ombre - 2019 Marco Saya Editore, dove il titolo, profondamente accattivante e suggestivo, non può non evocare tuttavia un’idea dura di guerra e quindi del corso della storia, macrostoria e piccole vicende umane insieme, l’idea di combattere e di sopravvivere, “l’idea dell’esistere e del resistere, della Storia che è stata e di quella che brulica, ferve, lievita e accade: da qui all’eternità, da oggi a dopodomani…” [dall’Introduzione di Plinio Perilli].
Dalle varie sezioni delle Trincee (che tuttavia non esauriscono l’intera opera) vi propongo alcuni testi: non guido i lettori a nessun tipo di commento, in primo luogo perché le osservazioni sarebbero le mie e non le loro e non mi sembra giusto sovrappormi ad emozioni proprie, irrepetibili e personalissime. In secondo luogo non sono ipotetici commentatori, ma sono i versi che parlano, per quello che dicono e per quello che fanno solo intuire, per quello che sanno ispirare, talora al di là di quanto voluto dall’autore stesso, per il senso estetico ed etico di pienezza da cui il lettore, talvolta, si sente completato, comprendendo fino in fondo, anche se magari per un momento isolato, il senso della Bellezza e della funzione catartica dell’Arte.

Dalla sezione Trincea dell’ombra:

Le ombre in trincea sotto nubi
dalle mutevoli forme: le guardano
a tratti, quale presagio di quel che accade
a terra

dove scorrono fiumi
e tutto sgorga dall'acqua,
dove colano scorie
ingannevoli anche del cielo.

Dove tutto stagna. Zampilla.
E passa.

*

Ombra perenne mobile e ferma,
vagheggi anche tu longevità. Piovono
scorie e meteore come stelle cadenti.

Tanto più simile, tanto più distante.
Sei solo mia.
Sagoma muta fedele sopravvivi
alla trincea dell'io.

Da Trincea del quotidiano:

Ogni giorno vesto l'armatura
porto anche l'arco, le frecce, lo scudo,
indosso il casco come l'elmo di Scipio,
e qualunque copricapo, variabile come il tempo,
a proteggere la testa, così instabile

riecheggia e suona ogni dì una musica nuova
scompigliata e dilatata melodia d'accadimenti,
ordinata cabaletta di ricordi, stanzetta di memoria,
sempre a passo lieve e piè veloce in un dove presente
ma lontano, umido e vischioso, dove perdo
ad ogni semaforo dell'armatura un tratto

e mi chiedo dove sto andando, dove vanno
tutti gli elementi, tutte le particelle della vestitura,
granelli che frantumano sotto i ponti lungo fiume
o fondigli a disciogliersi in mare,
a sfaldarsi in una risacca solo mia,

ma è di tutti la stessa domanda

se qualcosa di noi si salva dalla dimenticanza,
se in quel dopo a disperdersi a terra
c'è pace.

Da Trincea della parola:

Cicala d'ottobre

Non dovresti essere qui,
cicala che parli alla sera d'ottobre,
ma quale il tuo Tempo?
che ne è stato
del soggiorno d'estate che perdura?
il tuo canto stordisce
come demenza innaturale
quale balbettio,
quale nulla da compiere.

Il tuo suono è recondito,
non ha riposo, non si estingue
il tuo ritmo e insiste muto.

Forse tu sola sai la lingua nuova
dell'inverno. Quando giungerà,
barbara e mistilingue,
irriderai ai primitivi gesti,
alle bocche di stupore,
alla pallida neve della pagina.

Da Trincea dei poeti:

Poeti russi

Chi più di Voi la trincea
del giorno
e la sua inconsistenza,

il buio, il demone
che non cede
al sorriso dell'Angelo.

Voi e la terra
che non torna
dall'imperscrutabile mare.

Voi
saliva e parola come stalattiti.

Chi più di Voi la neve.

Vorrei che queste episodiche letture suscitassero una sana, interessata curiosità a sapere di più dell’opera e dell’autrice. Marzia Spinelli è nata e vive a Roma, ove lavora presso un Ente pubblico. Collabora e scrive su riviste importanti di letteratura ed arte.
Io non la conosco personalmente, ma dai suoi versi mi piace immaginarla come creatura semplice e sincera, schiva, come tutte le persone di grande spessore e profondità umana, prima che culturale. Una persona che sa vivere perché in lei cuore e mente, faticosamente imbrigliate attraverso le trincee dell’esistenza, hanno trovato equilibrio.
                                                                                                                      Marvi del Pozzo







Due poesie di Roberto Raieli


Matteo cammina


Matteo cammina
e raggiunge l’esterno di questa poesia
il mondo dilatato fuori dal campo
della fantasia

la mano piccola tesa
indica dove guardare
dove rintracciare le parole
per quello che non si può dire

30apr2005

Carlotta scrive

Carlotta scrive
già da tempo il senso
di ogni mia parola
mantenendolo segreto
in un luogo vicino lontano
raggiungibile
non raggiungibile

sono io affrettato
che cerco false verità
che manco spesso il centro
di un bacio sulla fronte

22mag2010


Roberto Raieli è nato nel 1970, è siracusano, ma adesso vive stabilmente a Roma con Anna, Matteo e Carlotta.
Tra le molte difficoltà che gli impediscono di leggere e scrivere, ha prodotto varie pubblicazioni letterarie, e tra queste le sue preferite sono i libri di poesie Fuoricampo (LietoColle, 2006), Poemi muti (LietoColle, 2010), e In moto senza casco, in collaborazione con Davide Cortese e Stefano Amorese (LaRecherche.it, 2015).
Oltre agli scritti critici e creativi diffusi su diversi libri e riviste, è utile indicare almeno la partecipazione alle antologie di poesia Partendo dalla sala infera (Notegen, 2005), Mini Antologia Poetica (Progetto Cultura, 2005-2006), Roma verso Milano (LietoColle, 2007), Verba agrestia (LietoColle, 2008), (S)Frutta il segno, volume Anguria, (La Vita Felice, 2012), alle antologie di narrativa Rac-corti (Perrone-Lab, 2008), I racconti del XLI Premio Teramo (Teramo, 2010), e la curatela dell’antologia di poesia L’amore ai tempi della collera (LietoColle, 2014).