venerdì 3 maggio 2019

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: Giuseppe Conte

Per Letture condivise presento oggi una poesia di Giuseppe  Conte da L’Oceano e il ragazzo, TEA Edizioni 1983
 
Dopo Marzo

Dimenticare città, nomi, desideri
di uomo: voglio solo fiorire, rivivere, io
non più io, ibisco, acacia,
conca aperta e tremante di un anemone.
 
Avere piedi e nodi d'erba, io
non più io, mani guantate
di germogli, ciglia nuove blu, di
scorza il torace, spezzato e vivo.
 
Ho dimenticato tutto, scrivo
perché dimenticare è un dono: non
desidero più che alberi, alberi, prode
di vento, onde che vanno e tornano, l'eterno
 
rinascere sterile e muto delle

cose

“Marzo è stato freddo e triste, ma
poi l'Aprile, praterie, portenti
di scarlatto lieve, ciliege, e le prime

rose”

Ci sono poesie senza tempo come questa di Giuseppe Conte, scritta più di trentacinque anni fa, che non solo non è affatto datata, non ha perso la sua fatata freschezza evocativa, anzi acquista ai nostri giorni disorientati , prosaici, il sapore di una visionarietà preziosa, giocata sul ritmo di una leggerezza quasi estatica ormai difficile da ritrovare. E’ la realtà della Natura percepita come trasfigurata dallo stupore di un ragazzino che ha avuto in sorte la fortuna di nascere nella terra benedetta della Liguria.

L’Oceano e il ragazzo è un volumetto la cui lettura consiglio a tutti gli amanti della poesia grande, a quelli che si ostinano a credere che i versi abbiano ancora il potere di allargare l’anima facendoci intravedere, o almeno intuire, che esiste un Oltre a salvarci dal grigiore di certa quotidianità, se quest’Oltre sappiamo cogliere seguendo guide (e poesie) che passo passo ci conducono in viaggi dello spirito, diventati per noi rari, esotici, solo per noncuranza, disabitudine a questo tipo di viaggio incantato. Disassuefazione che porta all’atrofia della sensibilità, della capacità di ogni stuporoso incantamento.

Ma il motivo della riproposta di questa poesia di Conte è un altro: vuole essere una specie di dimostrazione di un assunto che mi sta particolarmente a cuore, proprio come una verità, sperimentata, che può portarci lontano, non so neppure io fino a dove.

Io credo che la Poesia, quella vera, quella alta, abbia la caratteristica, tra le altre, di essere inesauribile, cioè di dire sempre cose nuove a che la interpella, al di là del tempo: anni, secoli, millenni. Certi versi, introiettati nell’animo da chi legge, fatti tutt’uno con una nuova intelligenza creatrice, danno avvio ad altre poesie, ad altre forme di immaginazione. La Poesia non si ferma, se no sarebbe limitata e quindi statica, finita: altri partiranno invece da lì e porteranno avanti altre strade, altri messaggi con un percorso che teoricamente, mi piace pensare, potrebbe non avere mai conclusione. Penso infatti alla Poesia con l’immagine di una catena senza fine, dove ogni maglia non è conclusiva ma dà origine ad un altro anello di catena che la prolunga e la porta verso approdi nuovi, sempre a partire da un anello precedente che ci ha aperto a nuove emozioni ed abbiamo fatto nostro, dando avvio però a ulteriori, diverse prospettive che mantengono un forte legame con i punti di partenza precedenti. Non sarà il nostro un punto d’arrivo, bensì quello di partenza per altra creazione, per altro pensiero progressivo.

Come esempio concreto di questo procedimento mentale, che avviene in modo automatico, non voluto razionalmente o premeditatamente, vi segnalo la poesia Sera d’estate, in cui il verso di Conte: “dimenticare è un dono” è diventato l’incipit di un altro testo. Certe forme di “idem sentire” vorranno dire ben qualcosa di insospettabile, visto che accomunano persone diverse per sesso, età, frequentazioni e… capacità poetica. Posso fare quest’ultima osservazione a cuor leggero visto che Sera d’estate la scrissi io un po’ di anni fa. Non accusatemi d’immodestia, la presento solo a scopo esemplificativo della mia asserzione di base: poesia come catena inesauribile di emozioni e di collegamenti tra passato e presente, tra poeti del tempo che fu e giovani di oggi.
 
Sera d’estate

Dimenticare è un dono
scrivere è immaginare
ricucire spezzoni di passato
sperperato dall’altra che io ero.
Fotogramma sbiadito in film non visto.
Fantasia è insufflare vita nuova
a maldestri ricordi frantumati,
in passatoie riannodare trame
di vite calpestate. – Fin che posso –
Questa memoria che non è memoria
a metà tra reale e immaginario
vibra vivida, forte, a dissetare
il riarso tramonto di un’estate
di canicola stanca.

Marvi  del Pozzo

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