Ho conosciuto Laura Garavaglia per volere
del destino, di quel destino, come disse Dickens, che a volte ti fa bei regali.
Come poeta e direttrice del Festival Europa in Versi avevo già sentito
parlare di Laura, ma non avevo mai letto nulla di suo. Tuttavia, l’occasione di
un festival di poesia in Colombia nel quale eravamo entrambe invitate ha
colmato questa mia lacuna. E così Laura mi ha fatto dono dei suoi libri di
poesia. Tra di essi mi ha colpito per primo “Correnti ascensionali” perché
edito nel 2013 dalla casa editrice CFR del nostro indimenticabile amico
Gianmario Lucini, esempio altissimo di onestà intellettuale e di sconfinato
amore per la poesia.
“Correnti ascensionali “ mi ha folgorato:
11 testi poetici perfetti. Un cesello di parole che rappresenta la perfezione.
Laura usa la “parola” come Matisse usa il pennello: con sinteticità, libertà e
colore. In questi 11 testi la Garavaglia
ha compendiato un’infinità di tematiche affrontandole pienamente. Partiamo da
“Autoritratto (pag. 11), un testo di soli quattro versi con i quali la poetessa
ci pone davanti al senso umano dell’esistere attraversando la dimensione del
tempo e della memoria, aprendo, altresì, la vista al percorso lento e
inevitabile dell’individuo e dell’umanità. “Estate” (pag. 13), senza cadere nel
banale della descrizione, ci porta in una dimensione marina, ci fa vedere il
mare senza nominarlo mai e, tramite esso, ci proietta nella parte più profonda
dell’uomo, forse anche melanconica, attraversando l’inquietudine del forse e il
pensiero del finire. In “Estate 2” (pag.16)
il pensiero torna alla memoria, alla ripetitività di una certa esistenza
quotidiana. Il tono è tagliente, impietoso e la chiusa ci pone di fronte
all’illusione dell’apparenza. E’ quasi un monito, un richiamo per non cadere
nel vuoto di un apatico trascorrere del tempo. Con “Donna di sudori” (pag. 18) entriamo in
un’atmosfera cruda. La parola si fa quasi spietata davanti al senso
dell’inquietudine. La penna della Garavaglia in questo testo sembra quasi un
bisturi che tenta di eliminare l’ottusità del sentire mediocre. Ne “Il filo”
(pag. 20) il protagonista è il destino inevitabile della morte. L’immagine
della foglia come metronomo del tempo ci unisce nel ciclo eterno e circolare
della natura attraverso il ripetersi delle stagioni così come quello alternante
della vita e della morte. Di questi
sette versi si potrebbe parlare e scrivere all’infinito tanto portano alla
riflessione, alla meditazione e alla elaborazione di interrogativi.
Il primo verso parla de il filo
teso nero è forse il limite dell’uomo, il varco da oltrepassare o
rappresenta le nostre paure, il lato oscuro dell’umanità? Ne “il collo del
fringuello” (pag. 22) torna il pensiero dell’ineluttabilità della morte ma con
una prospettiva differente, con un sentimento di totale accettazione: segno opaco di morte/ che non ho pulito.
Il dolore della perdita, del distacco, è qualcosa d’incancellabile, che c’è e
ci deve essere. Nella poesia “Sindrome di Asperger” (pag. 24) si affronta con
senso di smarrimento una tema particolare: Non
capisco/ la sbavatura del dolore/ l’emozione che scomposta deborda/ il bercio
della vita. Come comprendere ciò che
è più grande di noi e che si cela nel mistero della scienza. Esiste un sistema perfetto? In questo testo appare, dunque, il connubio
scienza–poesia che tanto caratterizza la poesia della Garavaglia e che
ritroveremo fortemente in un suo libro del 2016 “Numeri e stelle” (Edizioni
Ulivo). “La fretta del vecchio” (pag. 27)
è una sottile meditazione sul valore del tempo, sulla caducità dell’esistenza,
sul suo essere Tempo, limitato e circoscritto.
L’esistenza è l’elemento di collegamento con il dopo, anzi, come dice la
stessa poetessa con l’incognita del dopo.
“Indicativo presente” (pag. 29) si
presenta testo complesso e stratificato di significati. Tutto è percezione nei
versi della Garavaglia. Lei ci porta al contenuto, o meglio ai contenuti
attraverso parole materiche e rarefatte nel contempo che non sono mai
descrittive, ma evocative. In questo
testo c’è la ricerca costante dell’uomo, la necessità di dare risposte al senso
dell’esistenza. Sono testi, tutti, dove la bellezza prevale sia pure nelle
riflessioni più inquiete. E’ una bellezza evanescente, fatta di luce, di
sensazioni vibratili. L’ultimo testo del libro è “Meccanica quantistica” (pag. 32-34)
che desidero riportare per intero:
Certe
cose succedono e basta
non
si può sapere il perché.
Non
sarà l’alchimia nucleare
a
spiegare
i
sei gradi di separazione
che
ci legano agli altri.
E
poi, ogni tanto,
bere
un bicchiere di vino
intuire
il destino nei fondi di caffè
non
sapendo chi resta, chi parte.
Del
corpo più di ogni altra cosa
amo
la bocca che si nutre del mondo
e
scolpisce parole.
In questa poesia credo sia racchiusa la
poetica di Laura, il suo pensiero, il mistero della vita e l’amore per essa.
Pur non avendo esaurito le mie
riflessioni su “Correnti ascensionali” termino qui la mia scrittura lasciando
agli altri lettori il piacere della conoscenza della poesia di Laura
Garavaglia.
Mi piace però ricordare che questo libro,
oltre a riportare un’attenta prefazione di Donatella Bisutti e i testi nelle traduzioni in inglese, rumeno e spagnolo di Barbara Ferri e
Mario Castro Navarrete, è arricchito alle foto delle porcellane di Daniela
Gatti, che, come dice giustamente la Bisutti, con i loro luccichii Klimtiani
pongono l’accento sulla qualità variegata dei versi e sul loro rapporto con la luce.
Cinzia Marulli
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