martedì 31 marzo 2020

Giacomo Caruso: "ora nasco bambino delle stelle" - una vita di poesia.

Come molti sapranno il nostro caro amico Giacomo Caruso, appassionato musicista e irriverente poeta, ci ha lasciato l'altra notte dopo aver lottato contro il covid 19. 
Il suo corpo, fatto di materia, ci ha lasciato, ma Giacomo non era solo questo, la sua essenza rimane indelebile come il sorriso e la gentilezza che ci ha donato sempre.
In una sua poesia Giacomo ha scritto "ora nasco bambino delle stelle" e mi piace pensare che quel bambino ora sia felice nel suo viaggio di luce, felice della vita vissuta, felice di aver fatto della sua vita una straordinaria poesia.
La casa editrice Progetto Cultura e io abbiamo avuto l'onore di pubblicare una sua raccolta di poesie nella collezione di quaderni di poesia "Le gemme" e ora, proprio per far vivere e viaggiare la "parola" di Giacomo, abbiamo deciso di comune accordo di pubblicare qui su ParolaPoesia tutta "la gemma" di Giacomo affinchè ognuno di voi possa leggerla e apprezzarla.
Cinzia Marulli


Apparenze
di Giacomo Caruso

Prefazione di Letizia Leone


Ballate rap dalla fine del mondo

Correva l’anno 1919 quando Paul Valéry, con inquietante precisione, metteva sull’avviso che non
solo l’uomo è mortale, ma le stesse civiltà sono destinate all’estinzione e che “l’abisso della storia è grande abbastanza per qualunque cosa”.
Considerazioni primonovecentesche, certo, incluse ne La crisi dello spirito, ma che adesso, ad un secolo di distanza assumono la valenza di premonizioni apocalittiche drammaticamente urgenti: le civiltà, interi sistemi culturali e spirituali, come l’umanesimo, ad esempio, rischiano la sparizione, così come già accaduto per molte specie viventi ed ecosistemi, inghiottiti in spirali irreversibili di distruzione. Eppure non è un caso che tali riflessioni critiche siano state scritte da un grande poeta perché la poesia si rivela quasi sempre lucida testimonianza del contemporaneo, specchio della storia collettiva ed individuale.
Questa la premessa necessaria per entrare nella poesia di Giacomo Caruso.
La sua scrittura poetica, infatti, risponde in pieno ad una vocazione civile, a quella  spinta della poesia a farsi viaggio dentro l’anima del proprio tempo, oltre che del proprio io.
Il suo canto inizia in medias res, ci catapulta subito nel bel mezzo del regno delle Apparenze (la società liquida e materialistica con i suoi miti, feticci, simulacri...), dove un nuovo medioevo mediatico e tecnologico pare aver sostituito l’interiorità con l’esteriorità. Certo non è facile “recitar cantando”, o per meglio dire, con versi diversi, persi, densi / di doglianze e di voglia che non c’è, sintetizzare tutta la complessità della società globalizzata e insieme l’agonia della civiltà occidentale dove ogni cosa sembra dissolversi in una sorta di liquidità. E Zygmunt Bauman, che ha sancito l’idea di “modernità liquida”, è convinto che questo interregno di crisi, di liquefazione di ogni valore e certezze, durerà abbastanza a lungo. Allora il poeta, costretto nella palude dell’attuale disorientamento (in questo stato d’animo collettivo sublimato nei nuovi valori dell’apparire e del consumismo bulimico), fissa una sorta di organigramma poetico:

non voglio che questa mia poesia sia soltanto invettiva
la poesia è un’eucarestia la voglio cosa viva
la voglio più creativa, inventiva, sognante assonanza
vicina alla danza del cuore e della mente non riesco
a scrivere niente
che non sia scaturigine del cuore, dell’immenso dolore
che mi preme e mi opprime ombra scura che mi porto
appresso che indosso ogni mattina quando il sole
prova a schiarire il velo chiuso nel mio
impermeabile/corazza

Contro i rischi di fraintendimento bisogna dichiarare intenzioni ma anche ri-fondare il senso labile del fare poesia oggi: non solo invettiva... la voglio cosa viva e sognante assonanza... scaturigine del cuore; e cioè ribadire che la poesia è una forza viva alimentata dall’intelligenza del cuore e dalla razionalità, da spinte emotive ed etiche insieme. Giacomo Caruso ha introiettato il senso pasoliniano del voler “restare / dentro l’inferno con marmorea / volontà di capirlo”, una continua tensione tra passione e ideologia elettrifica i suoi versi distribuiti nei tre movimenti/momenti del libro, “Apparenze”, “Considerazioni dal pianeta terra”, “Paura, Tempo, Eternità, a piacere”.
Già ad una prima lettura di questi testi, vere e proprie partiture verbali dalle ampie volute ritmiche e melodiche, si intuisce come l’autore goda il privilegio di una doppia ispirazione, quella del poeta e del musicista. La sua poesia, nell’impianto dei versi molto ritmati, condensati in lunghe lasse strofiche, rivela la struttura di un rapping di altissima qualità poietica dove la parola tende a teatralizzarsi, esige la messa in scena vocale, necessita del canto o per meglio dire di una scansione ritmico-sonora martellante ed energica.
Infatti nell’esecuzione (sia lecito il prestito dal lessico musicale) e nell’ascolto di questi poemetti, per non dire ballate rap di forte impatto comunicativo, si viene investiti da un’onda sonora continua che prevede rare pause ed evoca, quale sottotraccia invisibile di accompagnamento, un ritmo di percussività sonore. Già Sanguineti aveva sperimentato il rap nella versificazione, la recitazione ritmata, una “messa in forma delle parole” che riportasse in primo piano il ruolo della musica all’interno della poesia. Nel laboratorio di Giacomo Caruso troviamo tutti gli strumenti delle figure stilistiche e di parola, la sua ricerca sul suono e sul significato si ricollega alla parentela originaria e indissolubile tra suono e forma verbale, la quale ha ascendenze magiche e incantatorie.
La tessitura verbale è tramata sulle ripetizioni, dalle allitterazioni alle paronomasie, dove l’uso delle iterazioni fonoprosodiche si assimila alle note ribattute di uno spartito musicale. Ma l’insieme altamente ridondante della composizione si avvale anche di anafore, giochi linguistici, assonanze, omoteleuti e rime varie, dalle imperfette alle rime interne fino alla rarità delle rime sdrucciole.
In “Considerazioni dal pianeta terra” ci troviamo di fronte ad un recitativo dalla robusta valenza segnica e semantica, quasi un diario di bordo confessionale stilato sulla misura di un verso ipermetro che passa in rassegna drammi planetari ed intimi dell’io, quali entità frammentate dopo la perdita di una loro simbiosi originaria. L’ecocidio viene evocato nella figura dell’orso polare a rischio di estinzione e nella denuncia della responsabilità umana, la specie più pericolosa del pianeta:

...nella massa, nella matassa debole e intricata, che
cresce e si diffonde e confonde da secoli, millenni,
l’uomo s’espande a dismisura e cambia la natura ...

Una sperimentazione metrica ad ampio raggio, quella di Giacomo Caruso.
Nell’ultima sezione viene attualizzata la ballata in endecasillabi con ritornello, e qui il ritornello diventa segnale e richiamo contenutistico macroscopico: d’ansia sottile è questo nostro tempo oppure è tempo ormai di dare tempo al tempo; una allarmante eco che rilancia variazioni e approfondimenti sul tempo corroso di questa nostra post-storia quotidiana...
Date queste premesse diventa inutile sottolineare come nella poesia di Caruso si riveli fondante e fondamentale l’atto dell’esecuzione, l’atto della lettura, la grana e il timbro della voce che pronuncia le parole di questo ammirevole montaggio acustico destinato a suscitare una specie di “pelle d’oca uditiva” nel pubblico, come direbbe Seamus Heaney.
Letizia Leone



***
trasumanar transumando di stanza in stanza colmare
la distanza tra volizione e voluttà palingenesi e metempsicosi.
Apparenze. ingresso riservato agli addetti ai lavori
se tocchi i fili muori o cadi ammalato
gravemente
sostanze, accidenti, soltanto apparenze i guasti del pensiero
occidentale sono evidenti sotto gli occhi di tutti
pensieri orizzontali, idee unidimensionali,
niente che spazi, spezzi, voli                                             
meritiamo tutti il paradiso dell’ovvio, del banale
come un cambio di canale, uno zapping metafisico
che poi la sostanza sia soltanto apparenza o semplice
accidente condizione necessaria e sufficiente lo narrano i
filosofi da secoli psicologi, alchimisti
persino i giornalisti ritengono di avere soluzioni buone per
tutte le stagioni o in alternativa
nel breve periodo nel soffio di un istante
cultura arrogante ad ogni nuovo giorno la realtà terribile e
invadente mostra il culto del niente altrove
si stabilisce il come il quando si determina il quanto ed il
perché si decide meno democrazia una libertà sotto tutela
altrove
il capitale sta sferrando l’offensiva finale in maniera virtuale
in maniera virale in maniera globale

***

la forza del denaro genera denaro
hanno deciso in nome del profitto di abolire il diritto
di scatenare l’apatia, la monomania, la disperazione
e noi siamo divisi, dispersi, uccisi chi si opporrà

ci dobbiamo contare ci dobbiamo preparare stare pronti al
minimo accenno alla campana in allerta perenne resistenti
renitenti resilienti stare pronti ed attenti alla fine dell’eone
al colpo di coda del dragone per nessuna ragione perdere di
vista gli obbiettivi rimanere vivi senzienti se necessario
mostrare i denti indossare di nuovo l’armatura imbracciare
cultura rinsaldare i legami affinare la mente affilare le lame
risolvere gli enigmi delle sfingi delle tigri di carta trascinare
il pesante sollevare il presente sacche di resistenza di mondi
lontanissimi contro il culto del male, della morte, del nulla
globale contro la tecnoidiozia totalitaria e totale

miserere all’Italia dei naufraghi e dei furbi
dialoghi sui massimi sistemi tra passeggieri e
venditori di almanacchi, tipi bislacchi, venditori
di carte di credito e discredito, banchieri, grilli
parlanti, avventurieri, non sono la favola bella
che ieri m’illuse, che oggi mi illude, o forse
delude, ma certo collude, e anche collide con le
mie idee magari ne avessi di nuove di belle!

sostanze, accidenti, soltanto apparenze

***

non fa differenze chi sfrutta le miserie, misere, serie, di un
popolo alla frutta allegrie di naufragi e nubifragi
e dissesti e palinsesti, sconfitta degli onesti andiamo avanti
con difficoltà non abbiamo la forza di guardare non
abbiamo il desiderio di cambiare non abbiamo la fede di
aiutare non abbiamo il coraggio di rialzare chi non arriva
alla fine del suo viaggio chi non arriva
alla fine del mese chi non arriva alla fine chi non arriva
voglio i responsabili, voglio vederli in faccia se lasciano una
traccia una scia di bava, esseri che si nutrono d’anima
succhiano il cuore, lo lasciano vuoto involucro di carne e
sangue disfatto distrutto e sul finire d’un febbraio muto
io piango calde lacrime e salate una terra, la terra mia
adorata luogo che mi ha generato diventato un paese
perduto così inabitabile così ingovernabile così
spaventevole così nonostantetutto così ancora amato così

***

aiutatemi a coltivare la speranza
datemi ancora un valido motivo per sentirmi più vivo
desideroso ancora di lottare e cambiare una linea perversa
una strada ormai persa

e sul finire d’un febbraio muto
si ripete, moderno antico rito,
’esercizio della democrazia
cittadino che esercita il potere, il diritto-dovere
tutto quello che dovete fare è una croce sul
simbolo o sul nome, non c’è preferenza dovrete
farne senza, è la legge asino chi legge, chi elegge,
fette di salame sugli occhi o nelle schede,
mangiatevi anche quelle, partito del nonvoto,
antipolitica populismo o demagogia, non c’è più
ideologia, non c’è democrazia il rosso si è
stemperato in un freddo arancione... sostanze,
accidenti, soltanto apparenze

***

mi avvio con levità immorale, immortale,
immotivata verso versi diversi, persi, densi di doglianze e di
voglia che non c’è non ce n’è mai abbastanza chi
conduce la danza non cede duole e fa male l’anima
non voglio che questa mia poesia sia soltanto invettiva la
poesia è un’eucarestia la voglio cosa viva
la voglio più creativa, inventiva, sognante assonanza vicina
alla danza del cuore e della mente non riesco a scrivere
niente
che non sia scaturigine del cuore, dell’immenso dolore che
mi preme e mi opprime ombra scura che mi porto appresso
che indosso ogni mattina quando il sole prova a schiarire il
velo chiuso nel mio impermeabile/corazza chiuso nel cielo
di nuvole e pensieri solite scarpe soliti jeans addosso e
troppo tempo per pensare ombra scura che mi attende in un
fosso, al semaforo rosso, al varco della vita

***

avevo da bambino soldatini di carta e carrarmati e
inventavo battaglie con me stesso
spada finta - corazza di stagnola come sola compagna la mia
fantasia

la mia fantasia
come sola compagna
corazza di parola - versi veri ed invento schermaglie di
destrezza cerco da adulto nuovimondi di carta e
pentagrammi

***

quel giorno era così freddo che si è cristallizzata la
tristezza un frammento di gelo mi è rimasto - dentro una
fitta lontana ed invadente lama luminescente un
pervadente niente vago e persistente

***

cosa aspettiamo ancora dalla notte se
non gli abbracci i baci le carezze
sprofondiamo nei sogni e nel diletto,
nel nostro letto, astronave d’infinito, ci
accoglie l’altrove e l’altroquando un
varco cristallino, un arco astrale un
vortice metatemporale un pensiero
bambino, un gesto animale tutto si
ferma, tutto si ricrea nell’amore
riprende fiato il mondo il nostro e
quello intorno finché arriva di nuovo il
nuovo giorno ed i suoi affanni quelli di
ieri
riposati anche loro dalla notte dal
sonno

***

ma tu, tu che mi hai amato un tempo non lontano
disperdi la mia immagine, se vuoi, in minuti frammenti
disperdimi, triturami, frantumami in oligoelementi
disperdi la mia vita, se lo vuoi, disperdi il bello e il buono
che c’è stato tra noi, per noi, in noi.
disperdi le carezze, e i baci, e le tenerezze,
disperdimi, se vuoi.
disperdi i versi miei leggeri, l’oggi e lo ieri,
le notti insonni e i sonnolenti giorni.
disperdi la mia vita, se lo vuoi,
non finita, ma mai comiciata
prima di te.
disperdimi, se vuoi. disperdi me

sostanze, accidenti, soltanto apparenze

***

provo spesso una grande nostalgia di
tutte quelle vite che non ho vissuto un
pesante tributo alla realtà oggettiva al
bisogno e alla necessità
mi piace ultimamente - quando posso –
rintanarmi in casa in me stesso
nel territorio sterminato dei versi/delle note rifugio
dall’inquieta moltitudine riparo dall’insana ingratitudine
dalla tempesta in salmodiante spasmodica ricerca di un
angolo di mondo
un luogo ancora libero non virtualizzato
rimasto inattaccato dalla minaccia globale
fuori o dentro la mente nel bisogno
impellente dell’attesa nell’estrema difesa
di quello ch’è più sacro nell’estrema
difesa
amo in realtà anche altre cose, ma sì, mangiare mi piace
e si vede
non amo invece il sudore, fatiche coatte e palestre,
persone distrutte o distratte dal culto del corpo... la
mente... se la mente ha un culto lo sposo lo adotto lo
faccio mio, tenere il cervello in funzione fino alla fine e
oltre
la coltre di cielo di vento lo stelo di un fiore che muore
rumore, rumore di foglia cadente sono soltanto
comete, forse apparenze sognanti assonanze, le
stanze, acquadanze d’istanti che corrono avanti, gli
anni son tanti... di già?
e come ci sono arrivato, che è stato, il tempo è
passato inesorabile incommensurabile adorabile
devastante

***

siamo più consapevoli in questa anagrafica medi-età?
siamo più forti, più deboli, o morti? siamo vivi,
ancora,
resistiamo, suoniamo, scriviamo, amiamo, ci siamo
            e ci resteremo

nessun cervello ripete all’infinito
ma liberati in pura energia saremo tutto-in-uno al
multiverso già mi sento un po’ perso al pensiero d’eterno ai
ricordi d’inverno nelle ossa e nel corpo in fondo non
sappiamo quali mondi ci aspettano al di là di quella crepa
che misura di sé l’inconoscibile
che informa in sé l’incommensurabile passaggio vago ad
altre dimensioni puro presagio pieno d’energia vita di vita
altrove ed oltre ancora galassia trasparente di pensiero è
certo che dal noto all’ignoto ci sia stato un varco uno iato
una cesura un guado così mi sento attanagliato e preso ma
non sorpreso
di una furente e imbarazzata quiete una stasi quasi una
depressione una tristezza una dolcezza nuova
un’energia vitale che scorre a tratti e poi s’inceppa fino
all’estremo limite del tempo tralasciar trasalendo di rumore
in rumore perdere il candore tra costrizione e correità
cosmogenesi e metamorfosi. Apparenze. ingresso riservato
al solo personale
se dici che fa male rischi di essere odiato cordialmente

sostanze, accidenti, soltanto apparenze


Considerazioni dal pianeta Terra

I
pensavo infatti che l’orso polare, il grande predatore,
è a rischio d’estinzione - spacciato, segnato perché
ridotto s’è lo strato dei ghiacci condannato dal
riscaldamento globale del pianeta provocato dal
cosiddetto effetto serra un effetto letale una guerra
un segnale dell’insolente inconsistente incosciente
arroganza e che di tutta questa terra la specie più
pericolosa sia l’umanità

riflettevo infatti che nel suo complesso senza eccezione
alcuna - anche chi legge e chi scrive - ricompresi nella massa,
nella matassa debole e intricata, che cresce e si diffonde e
confonde da secoli, millenni, l’uomo s’espande a dismisura e
cambia la natura intrinseca di questa scheggia di materia
incastonata in un remoto angolo di un remoto sistema di un
remoto universo perso in perpetuo moto tra milioni di altri
mondi all’infinito

consideravo infatti che per quanto si faccia, si dica, si
combatta
- cause giuste sbagliate concrete astratte -
raramente il nostro passaggio in questo mondo lascia
traccia, ricordo, considerazione, al di là dell’effimero
deserto abisso inevitabilmente insondabile che - ogni
giudizio sospeso - appare in chiaro nel solo evidente
ribrezzo per tutto ciò che induce ragionevoli certezze di
fede o di speranza

rimuginavo infatti che in eterne guerre o conflitti si
dibatte l’essere detto umano inconsapevole pedina o
schiavo di false convinzioni bisogni religioni che
invece della liberazione impongono catene
e gravami sempre più duri e strazianti
avviluppato in una ragnatela mortifera e
perversa persa colpo su colpo la rotta per l’eterno
passo su passo verso l’inferno in questa terra

II
pensavo infatti che da tempo non seguo più l’esempio di
chi mi ha preceduto, ha creduto in quello ch’io non credo
ormai più ed una nuova via soltanto mia devo inventare o
affrontare camminare a lungo solitario alla distanza
ritrovare una quiete un rifugio trovarlo senza indugio ché
già incalza la stolida certezza del niente quodidiano
diamoci la mano in cordata saliamo ancora e ancora laggiù
(lassù) un barlume di salvezza gioia o serenità il dilemma

riflettevo infatti come da grande desiderio d’infinito
questa assetata umanità venga animata quando - ogni
eccezione rimossa - viene scossa dal palpito alieno del
divenire dal brivido feroce del capire quanto vicina sia la
meta quanto distante sia dal comune sentire la via
maestra che traspare negli attimi di luce induce in
tentazione e sminuisce il quotidiano gioco complicato e
infecondo giro giro tondo giù per terra

consideravo infatti che non è esercizio di pessimismo
cosmico, comico dibattersi, mera affabulazione, stolta
riflessione su quanto ci circonda ci opprime ci deprime ci
abbatte catartico il diluvio di parole che sgorga e si
profonde non è così non è questo lo scopo il fine la
destinazione non è tra pace e guerra che s’impone la scelta
è tra essere e non essere partecipi della scintilla vitale
dell’energia animale che permea l’universo

rimuginavo infatti che è già tanto se riesco a dirmi un po’
sereno provarci almeno la gioia se c’è stata è passata come
effimera cosa un profumo di rosa un sentore un velo
trasparente un niente lontano le dita di una mano le
occasioni passate oltre andate senza rimpianti e senza
recriminazioni emozioni oh sì ci sono ancora e allora diciamo
che la gioia è speciale se c’è fa male porta lontano
metabolizza la sconfitta l’età che avanza cambia la
prospettiva cura la carne viva lenisce la ferita (molti la
chiamano vita) alla fine


Paure, tempo, eternità, a piacere

I
d’ansia sottile è questo nostro tempo

mi sorprende alle spalle la paura, paura
che si snoda come serpe serpe
viscida serpe quotidiana quotidiana
d’affanno mi sorprende d’ansia
sottile è questo nostro tempo

di paure le eterne conviventi conviventi
di questo nostro mondo mondo
fantasma orrido bestiale bestiale
zoo reale di paure d’ansia
sottile è questo nostro tempo

di mostri generati dentro il sonno
sonno dell’intelletto, di memoria 
memoria selettiva e casuale casuale
mostra d’efferati mostri d’ansia
sottile è questo nostro tempo

è coltre scurotetra che s’estende s’estende
di terrore, di presagi presagi,
orrori, gravide parvenze  parvenze
vive d’anima ch’è oltre
d’ansia sottile è questo nostro tempo

voglio che la paura mi attraversi
attraversi la mente e non mi uccida uccida
nel pensiero i desideri desideri
di volo e vento io voglio
d’ansia sottile è questo nostro tempo

II
tempo trafitto trepido tremante
tremante disperato ansante perso
perso di gorghi attorcigliato sghembo
sghembo contorto vorticoso tempo è
tempo ormai di dare tempo al tempo

nell’angusta clessidra ratto scorre
scorre sabbia silicea silenziosa  
silenziosa parvenza di memoria
memoria limitata ancora e angusta è
tempo ormai di dare tempo al tempo

ne rimane un’opaca trasparenza
trasparenza e sostanza senza veli veli
di vitrea vuota vanagloria vanagloria
del nulla ne rimane è tempo ormai di
dare tempo al tempo

tempo frattale e franto di dolore dolore
che indicibile rinnova rinnova le
rabbiose spire d’ansia d’ansia febbrile è
questo nostro tempo e tempo è ormai
di dare tempo al tempo

tempo corroso tempo della storia storia
vana maestra senza eredi eredi privi
d’ali e di memoria memoria esasperata
senza tempo e tempo è ormai di dare
tempo al tempo

III
il pensiero d’eterno ora sgomenta la
mente mia bambina ed un’angoscia
sottile mi artiglia nello stomaco la
bocca secca ed il pensiero fermo

statico immoto concetto d’eterno
che il prete ci trasmette dall’altare
un immobile stare, un desolato
nulla contemplativo e cristallino

vicina ora l’idea di un divenire oltre,
sforzo quantistico e vitale ritorno al
cosmo, ancora, al tutto-in-uno più in là,
dove coscienza sopravvive

dove l’essenza pura che noi siamo
sceglie tra sosta viva o nuova carne
vibrazione assonante al multiverso
cosmogonica, intera, unita, vera

un desiderio forte di sedere a
dialogo tra sogno ed infinito,
ritrovare l’amore, quell’amore
ch’era distratto e ruvido
al tumulto

il padre ormai non più severo e stanco
la madre cara lungamente amata la
sorella preziosa, il suo sorriso tutto
ritorna e tutto si confonde

cancellato lo scorrere solenne di
quotidiani affanni e d’incertezze 
pacificato il cuore finalmente di
tenerezze, di passioni e d’anni
le galassie si muovono al profondo
fanno corona e ponte di passaggio
tra realtà coesistenti e convergenti
di continuum votati all’equilibrio

ora nasco bambino delle stelle
risorgo dalla polvere del cosmo
quale il destino, quali le certezze
di nuova vita e consapevolezza

risplendo nell’umana divergenza di
nuova forma, di nuova sostanza
risplendo nell’aliena convergenza
dello spazio dove s’annulla il
tempo

IV
a piacere mi voglio regalare un canto nuovo e sapido nel
gusto, la sapiente pietanza sopra il desco, decantare del
vino la fragranza, la fresca birra, nettare divino, il r
obusto arabico caffè, del limoncello l’aspro meridionale
afrore, l’amore, l’amicizia, il virginale ardore, la bellezza
di tutto il bello che pure ci circonda, un’onda, farsi
accarezzare, travolgere, portare lontano, tenendosi per
mano nella corsa e la fuga, pioggia che bagna e asciuga,
pioggia d’estate

sopravanza dei pensieri la danza, ed ai doveri mi richiami,
eccomi arrivo, solo un momento ancora, sento fluire ora
vorticoso il torrente di parola che si affanna si affolla, mi
seduce, mi induce in tentazione, mi trascina mi porta oltre,
la sera la mattina il giorno, vado ma torno presto, ché solo
al pensiero di lasciare incompiuto un verso una trama un
capoverso una lama che scinde
il vero dal superfluo, mi travolge un dolore del cuore
dell’anima degli occhi, in lacrime leggere

tutto ritorna e tutto si trasforma e tutto in tutto a tutti fa
corona, perdona, sempre più veloce, precoce il
cambiamento dove sta scritto ch’io debba per forza stare al
passo ahi me lasso senza smartphone né reader senza il
placet della mondanità, del mondo che forse è ancora tondo
o quadrato, non so più, privo del desiderio di rubare un selfie,
uno scatto
un segnale, distratto dal volo d’una rondine, dalla foglia sul
ramo, dal desiderio di dire ancora t’amo, la ricerca di un viso,
un sorriso, una foto
interiore, che resta solo mia, nel mio cuore

ecco il mio preferito flusso di dati, frasi, sentenze, esperienze,
tutto interiore e tutto manifesto, se sogno o son desto, non ha più
importanza, quasi pacificato il cuore, in questo sterminato
territorio d’amore, pianura rigogliosa e accattivante di pensiero
confidente e straniero al tempo stesso, poeta dello spazio
interiore, sazio e affamato adesso e oltre, stendo la coltre
delle stelle sul mio sonno agitato pesante contrastato
preso da ruvidi pensieri da scabri desideri ansie precoci
le voci nel sonno amplificate, i rumori, di suoni bagliori

che spazio ancora dare all’angusto versificare, onesto
o maldestro incedere possente, più niente mi può ferire
(magari!) o trascinare via, solo la poesia m’afferra m’atterra
mi lascia e mi riprende risacca d’emozioni tremende, le sole
che accompagnano un pomeriggio tardivo un crepuscolo
un voltare di pagina l’atto finale della pantomima che la gente
s’ostina a chiamare vita quotidiana, scarnificata resta poi la vita
quando il fondo è toccato, arrivato, e vuoi, vorresti, puoi risalire

irriverente al contesto vi mando uno sberleffo un saluto un gesto



1 commento:

  1. Che bel regalo ho avuto oggi! Quanto è attuale questa poesia, profetica direi. Sono contenta di aver potuto leggere i versi di questo poeta, che purtroppo conoscevo solo di vista.
    grazie a tutti per averli condivisi.

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