Stefano Vitale, filosofo torinese, è poeta, critico, musicologo, fondatore ed animatore dell’Associazione Amici dell’Orchestra Sinfonica RAI, persona di grande apertura e profonda curiosità intellettuale. La sua voce di poeta canta la nostra realtà perché è nel mondo, in cui ci tocca vivere, che cerchiamo il senso del nostro percorso umano, agiamo e vorremmo la realizzazione della nostra parola scritta, soprattutto se interpretiamo la realtà tramite la poesia. Ma la vocazione di un poeta non è tanto quella di raccontare quanto di interpellare, per comunicare, per confrontarsi con gli altri, assumendosi talora anche il compito morale di opporsi alle contraddizioni, alle storture dei tempi in modo critico e fattivo. Non viviamo infatti nel migliore dei mondi possibili, purtroppo, e Stefano Vitale non è certo il volterriano Candide.
La poesia sfugge alle facili classificazioni di genere e può succedere che una poesia, nata come prettamente lirica, fatta di vivide immagini, di colori, di emozioni, di intensa musicalità (non solo nel verso, ma soprattutto nello spirito) diventi un’intensa poesia civile che affronta tematiche scottanti del nostro tempo. È questo il caso di Incerto confine, che si avvale in modo mirabile dell’apporto, a sostegno dei versi, delle illustrazioni - solo apparentemente ingenue, in realtà di rara comunicativa e profondità sintetica - dell’artista Albertina Bollati.
In che cosa quest’opera mi è parsa particolare?
La poesia civile raramente riesce a volare alta: riferimenti gnomico-sentenziosi, volere o no, la vincolano alla “terrestrità”, impediscono la libertà aerea del librarsi poetico, caratteristica imprescindibile di ogni opera d’arte. Ciò non avviene in Incerto confine: qui ci coglie una limpidezza, una trasparenza di significato e di suono che nobilita la Parola e, per contrasto, la eleva sulla follia di un concreto fatto di muri, di barriere, di costruite separazioni, di pregiudizi relativi ad ogni “diversità” sociale.
Questa di Vitale è una poesia che include, non esclude.
Così la vita smette
sempre nuove foglie lontano da qui
muto fiorire di luce
nel marcire del tempo.
La parola di Stefano Vitale si oppone ad ogni tipo di muro della nostra società diseguale e l’autore la propone con forza ma anche, ossimoricamente, con gentilezza, nel fiorire delle immagini che invitano alla pacificazione, al respiro comune, al ritorno di una libertà del sentire e del vivere insieme.
Della importante prefazione al libro di Vittorio Bo mi piace citare i versi conclusivi: sono di Giorgio Caproni, poeta del Novecento, che amo molto per il suo dire lineare ed incisivo insieme:
Confine diceva il cartello
cercai la dogana, non c’era
non vidi dietro il cancello
ombra di terra straniera
Giorgio Caproni
Stefano Vitale raccoglie il testimone e porta avanti il messaggio, attualizzandolo.
Da Incerto confine vi propongo questi testi:
Affacciàti *
Spiare lo stupore del giorno
affacciàti alla finestra dello sguardo
interrogare con un battito di ciglia
il disordine del mondo
negli scorci di luce sfasciata
si perde il ricordo di noi
senza padroni e senza gloria
vanno e vengono senza posa
le anonime stagioni dell'esistere
senza peso non c'è rimorso
nell'incerto sfumare
restiamo affacciàti
su strade di vetro, sabbia e lamiere
che oltrepassano il confine
senza passaporto, senza controlli alla dogana.
Così la vita mette
sempre nuove foglie lontano da qui
muto fiorire di luce
nel marcire del tempo.
*"Affacciati" è il titolo di una mostra fotografica di Luigi Rusconi
esposta alla Biblioteca "Osvaldo Berni” di Riccione nel 2014
*
Cerca un punto fermo
spillo che ti tenga
appeso ad una carta
dai confini certi e chiari
colori sempre uguali
ma inutile e lo sforzo
si alza la marea
s'incurva l'orizzonte
sparisce quel sentiero
sgretolandosi il profilo
del mondo conosciuto
ritorna pietra, selva e canto
un nuovo grido scheggia
la certezza di quel muro
si sposta la linea dello sguardo
un metro più in là.
*
In questo incerto confine
I.
Non siamo dentro e neppure fuori
in questo incerto confine mobile
che cambia nei giorni di vento
quando incespica il passo
nel filo dell'ombra impassibile
oltre il lembo di luce morente
è insondabile quel che
fa la differenza.
II
Stare fermi, non fare un passo oltre
l'Altro è il confine, attimo che s'inarca
nella comune trama segreta
tregua della perfetta imperfezione
senza una soglia il peso del cielo
è pietra tombale
e il profumo dei tigli sul viale
è il solo felice confine
da attraversare.
*
Perché non essere
come le nuvole?
Poter cambiare forma
luce, colore e direzione
nel disordine del vento
imparare il controcanto
segreto delle cose
viste da lontano
scolpite nel marmo dell'istante
senza altre distrazioni
ruotare a vuoto su se stessi
imprevedibile necessità
d'una anima sottile e d'aria
che, sorridendo o bestemmiando;
dobbiamo sopportare,
liberare.
*
La grazia dei salvati
II
Non si percepisce più
il senso della migrazione
stato dell'essere in fuga
mito un tempo ora sventura
e vince la partita il dio della paura
sotto il mantello del cielo
che ora più non protegge
sul confine della terra nera
là dove risplende il bianco e l'oro
della grazia dei salvati.
Forte è la carica di responsabilità che promana da quest’opera di Bollati e Vitale. La sinergia cercata tra i due sensi - udito e vista, ascolto di versi e visione di forme e colori - acuisce in progressione geometrica l’incisività del messaggio civile dei due artisti. Come scrive il critico Fabrizio Bregoli su Laboratori Poesia, il messaggio centrale dell’opera è la consapevolezza che, perché la nostra cultura non si disumanizzi in tutti i sensi, la salvezza sta “nel suono largo, cioè in quello spazio di accoglienza che versi ed immagini cercano insieme per rimediare alle colpe del mondo”, alle nostre e a quelle della società attuale - aggiungerei io - cui siamo spesso, per superficialità più che per dolo, conniventi.
La poesia pensante di Vitale serve a farci riflettere, proponendoci anche un serio stimolo di discussione a proposito del diuturno quesito sull’utilità pratica della poesia nella vita di oggi. Quesito sempre attuale, sempre riproposto ad intermittenza. Come dice Stefano:
La chiave è nella Parola
suono che resta accanto
colore della pazienza
distesa sul passaggio delle ore
passione e destino senza nome.
Messaggio quanto mai lineare, ma non di facile realizzazione pratica: per il poeta la chiave è nella Parola, ma per tutti i lettori si tratta di impegnarsi ad individuare quale sia la chiave segreta della propria passione e del proprio destino, non per accettarlo ma per sceglierlo e viverlo quotidianamente, in modo non strumentale ma come finalità responsabilmente prioritaria, del proprio esistere.
Se non è poesia civile questa, che invita a tali riflessioni personali...
Marvi del Pozzo
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