lunedì 23 novembre 2020

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: "Risvegli - Canti del 2020" di Marcello Croce (Edizioni della rivista di poesia Amado Mio)

Marcello Croce è un intellettuale torinese che ha scelto di dedicare il suo sapere filosofico e la sua
esperienza umana alle nuove generazioni, nella fattispecie gli studenti liceali, cui si dedica con passione da sempre, dilatandone gli interessi culturali in campo artistico-letterario, oltre che storico-filosofico. Per questa sua vocazione ad un sapere non ingessato, ma in libero movimento, e all’arte come forma prima di comunicazione, ha promosso sei anni fa, come cofondatore, l’iniziativa di Amado mio, rivista di poesia che raduna molti poeti di area soprattutto piemontese, promuovendo altresì proficue occasioni di incontro e di scambio. Egli stesso è autore di versi la cui lettura oggi propongo.

 

Casa

È quando le cose consuete

le devi lasciare,

e ti ritrovi nella casa che fu abitata

a lungo da un altro.

 

Vuota, una casa può solo contenere,

adattarsi al volume dei corpi,

al loro moto imbarazzato.

Spazio sconsacrato ove t'aggiri

cercando invano il lume sempre acceso.

 

Hai lasciato incustoditi i geni

del tuo focolare, che adesso

si sperdono al vento.

 

Prima che sia tardi

abbracciane uno in seno, non fartelo sfuggire!

Serbalo così, sul tuo cuore.

Resterete avvinti

e ogni luogo sarà solamente

una traversata, la sosta

 

del treno che andava verso il mare

e nella piccola stazione s'assiepavano

le venditrici di frittate:

 

ché l'aria già sapeva di Liguria.

 

Sul ritratto di mia madre anziana

Era leggero, leggero a sedici anni

il tuo profumo, lo tenevi segreto

sul comodino; e l'occhiata

che rubavi allo specchio ogni volta

ti seduceva, solo

 

avevi chiuso gli occhi poi che nulla

poté riempire il vuoto della soglia;

ch'erano azzurri, e di riflesso

erano un'eco dentro di te.

 

Il piacere era quello, di non sapere,

solo sentire azzurra una lievità

che svaporava subito di fuori

nella corsa degli alberi.

 

Amo particolarmente la sua poesia perché parla di sentimenti validi sempre; Marcello va oltre ogni moda letteraria, contingente. Mi rasserena, mi riconcilia con il mondo in subbuglio di oggi, mi fa stare bene anche quando le tematiche riguardano situazioni esistenziali sicuramente non allegre. Ho capito il motivo di questo fenomeno in me: perché evoca sentimenti sfumati, ma sempre positivi, perché parla di nostalgia, di tenerezza, di fragilità di cose e persone, di speranze indistinte ma presenti. Parla dell’ignoto che è in noi non in senso negativo: ci stimola alla riflessione, ad entrare in relazione con la nostra interiorità e con quella degli altri.

La comunicazione di Marcello parte da sé, da sue minute esperienze, ma non si ferma a sé. Recupera un collegamento troppo spesso perduto con gli altri e, in questo, credo abbia ragione Eugenio Borgna, psichiatra e psicanalista, quando afferma che queste forme di comunicazione possono essere sinonimo di cura di anime. E del resto, come mette in luce sempre Borgna in tanti suoi libri, le emozioni più significative del vivere, che la poesia enuclea con chiarezza o soltanto fa intuire (il che poi è lo stesso), sono emozioni fragili: tristezza, inquietudine, tenerezza, speranza; hanno tutte in comune una consistenza aperta, sfumata, intuitiva, che porta all’Aperto (Rilke). Partono dall’individuo, ma hanno un senso sempre in relazione con gli altri, non hanno dimensione egoistica, puramente personale, si aprono. Anche il male di vivere, del resto, si apre al prossimo, getta un ponte, fosse anche solo per una richiesta d’aiuto. Del resto “noi siamo un colloquio”, come recita il titolo di un libro di Borgna.

Mi rendo conto di citare spesso questa figura di psicanalista, non solo per la mia assoluta ammirazione per il suo modello di coerenza come uomo e scienziato, ma perché mi pare che la poesia di Marcello Croce ne sia la verifica nella sperimentazione su di me. Ne fa fede lo stato di benessere, di pace, di completezza che la lettura dei versi di Croce mi ha portato. E’ uno stato di quiete attiva (perdonatemi l’ossimoro) che dalla pienezza delle mie sensazioni mi spinge a volerle tradurre in fare, in progettualità positiva di cose, di idee volte alla condivisione del Bello del mondo. Grazie a Marcello Croce e a Eugenio Borgna che, senza forse conoscersi, si compenetrano con le loro diverse vocazioni, uno poeta, l’altro psichiatra-letterato, su analoghe strade.

 

Un altro motivo, più prettamente letterario, mi fa apprezzare la poesia di Marcello. Si ricollega - il  pensiero corre nell’immediato - alla grande tradizione della  poesia lirica italiana. C’è un filo sottile che collega questi versi liberi nella loro varia architettura, ma di ampio respiro, larghi, quasi di solennità ieratica, a qualcosa della Sera del dì di festa leopardiana, per arrivare a quella meraviglia incantata de La casa dei doganieri di Montale. Marcello Croce, cantore contemporaneo, vive dello stesso filone, senza tempo e senza mode, con analoga sapienza evocativa, con lo stesso struggimento del cuore, con la stessa verità, senza infingimento letterario. Va detto inoltre che la conoscenza dei poeti del Novecento è, per Marcello, talmente introiettata e fatta propria, che è bello riconoscere il suo legame stretto con temi o immagini di altri grandi.

Nella prima poesia proposta, Casa, quell’ultimo verso folgorante Che l’aria già sapeva di Liguria non può non suggerire Montale in tanti suoi momenti paesaggistici suggestivi; ma anche la seconda poesia presentata, Sul ritratto di mia madre anziana, mi riporta alla stessa tenerezza di Saba. Questa madre anziana sarà stata bambina e allora quell’azzurra levità di Marcello è forse, in età avanzata, la trasposizione di quelle che erano cose leggere vaganti del Ritratto della mia bambina di Saba. Che bello questo dialogo all’unisono tra poeti vivi e trapassati! Come si arricchisce la poesia da questo incontro atemporale.

Vi propongo ancora due poesie di Marcello Croce: Sunt lacrimae, in cui è presente la pena universale, il dolore del mondo, e l’autore ci riporta alla Capra di Saba (inconsciamente, è ovvio):

 

Sunt lacrimae

Parole che crescono su vecchi muri slabbrati,

e poi seccano in torti filamenti, sovra cui

poi si arrampicano ragni.

 

La vidi traverso la strada,

era una femmina, gravida, di rospo:

gonfia, quasi fosse per scoppiare.

Ma quando la presi tra le mani

da quella forma informe palpitante

uscì un lamento lungo, lacerante

con una voce flebile di bimba,

ripetuto, sempre più in affanno.

 

La lasciai in un fosso, tra l'ortica.

 

Da allora, in giorni simili, risento

in quel grido la voce della vita

venire da lontano, dallo spiro

d'una porta in cucina: un gemito

di madre che riempiva la notte

al va e vieni del ferro da stiro.

 

            Umberto Saba

 

La capra

Ho parlato a una capra

Era sola sul prato, era legata.

Sazia d’erba, bagnata

alla pioggia, belava.

 

Quell’uguale belato era fraterno

al mio dolore. Ed io risposi, prima

per celia, poi perché il dolore è eterno,

ha una voce e non varia.

Questa voce sentiva

gemere in una capra solitaria.

 

In una capra dal viso semita

sentiva querelarsi ogni altro male,

ogni altra vita.

 

L’ultima tenerissima poesia di Croce, che di seguito vi propongo, Mano di donna, con l’evocazione della vita semplice, a contatto con la natura, nel calore degli affetti più sinceri, a me riporta alla memoria quello stesso clima di struggimento e di nostalgia che è di Attilio Bertolucci, poeta che amo molto.

I due versi finali di questa poesia di Marcello Croce, di bellezza sconvolgente nel loro plurisignificato, letterale e metaforico, non possono non farmi pensare alla poesia di Bertolucci, che per conoscenza vi riporto di seguito, a conclusione di questa lettura condivisa:

 

Mano di donna

Sempre più spesso, la sera

quando dall'albero stanco più arido

giunge lo scricchiolio del tronco, mi risveglio

al disfarsi istantaneo della tela dell'io.

 

Ora so che fu amore, al ritorno, la cena apparecchiata,

quel sole quieto e tiepido sospeso

fra stanze buie.

 

Sentivo, sul piatto fumante, stesa una mano

che reggeva benedetta il mondo;

allora, sì io mi seppi amato e in quell'amore

nacqui dentro me stesso, gemma

alla luce.

 

Dall'indistinto sentii a poco a poco

disegnarsi il mio volto,

nello sguardo posato sopra di me

la certezza di esistere.

 

Ora invece ho intorno

schegge rose dal tempo che mi scava

con un fiume carsico.

 

Pure ancora, quando la magnolia

morsa dal vento geme e questa è l'unica

voce rimasta del giorno, serbo memoria

della mano di donna che a sera porgeva

a me quella cena. E se mi perdo

 

sogno di trattenere

quella vasta mano tesa

nella luce sospesa

nelle stanze già in ombra.

 

Attilio Bertolucci

 

At home

Il sole lentamente si sposta

sulla nostra vita, sulla paziente

storia dei giorni che un mite

calore accende, d'affetti e di memorie.

 

A quest'ora meridiana

lo spaniel invecchia sul mattone

tiepido, il tuo cappello di paglia

s'allontana nell'ombra della casa.

 

Il breve accenno a Bertolucci mi stimola a parlarvi prossimamente di lui.

A presto! MdP

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