La
poesia cui vi introduco oggi è complessa perché poli sfaccettata, con pluralità
di chiavi di lettura. E’ intrisa di un suo percorso sfuggente e misterioso,
tale da mettere talora in crisi il lettore che può restare inibito di fronte a
testi troppo spiazzanti, per
riferimenti culturali che vanno dall’alchimia alla astrologia, dall’esoterico
al sapere biblico, dalla filosofia orientale antica a scuole di pensiero
attuali, dalla profonda conoscenza della letteratura italiana ai massimi poeti
internazionali contemporanei, il tutto colto nell’essenzialità ed inglobato
perfettamente nel sapere coerente dell’autore. È una sostanza che sgomenta. Sorprende un’intelligenza concorde tra
mente, conoscenza e sentire, aggiungo io che conosco l’autore, frequentandolo
in occasione di incontri tra poeti piemontesi. Come tutti i grandi, infatti,
forse per l’umanità e la concretezza che gli provengono dalla sua professione
di medico, è persona di rara modestia, di grande disponibilità verso gli altri
in gentilezza e signorilità.
Perché
mi soffermo su tali aspetti umani, che sembrano avere poco a che fare con la
poesia?
È
mia convinzione che, se per chi scrive la poesia è un valore sostanziale, essa
diventa più che un habitat un modo di
essere anzi, volere o no, la maniera privilegiata, autentica, con cui l’autore
affina se stesso e si estrinseca al mondo secondo quei valori artistici ed
estetici cui tende con le opere. La supponenza, lo sgomitare per farsi avanti,
l’invidia per i successi poetici altrui non riguardano chi sa guardare oltre: sono sintomo di piccolezza umana
ed evidenziano uno stato di insicurezza di sé. E’ proprio del bambino,
immaturo, infatti avere bisogno di continue conferme e rassicurazioni esterne.
Chi è sicuro di avere intrapreso la propria strada umana e poetica, che è
quella e non un’altra, va avanti nel dubbio o, viceversa, realizzato in sé; se
arrivano fama e successi tanto meglio, ma sono un accessorio che non cambia
l’esistenza. Un po’ la differenza che c’è in filosofia tra sostanza e
accidente: il Poeta cerca la sostanza, indipendentemente dagli accidenti.
Mi
sono dilungata su questi aspetti umani che, secondo me, si riflettono nella
scrittura di Rienzi, per farvi capire che le sue opere, astruse talora,
ricche di addentellati complessi al punto da sembrare inarrivabili, hanno in sé
un rigore intellettuale assoluto: ogni elemento, come in un puzzle, è
necessario ed irrinunciabile per la completezza del quadro totale. Ma non c’è
niente, neppure una parola, che sia accessoria e che non sia vera, sentita nel
profondo, una volta depositata sul foglio. Nulla viene inserito in modo
avventizio o per stupire o per rendere il testo più sapienziale.
Di
Rienzi mi affascina il gioco degli opposti, sempre presente in lui, la verità
che può emergere da armonie e disarmonie, tra luci ed ombre, proprio così come
si snoda la vita, attraverso la sintesi di antinomie, sia nel mondo esterno,
sia nel dipanare la nostra interiorità. La ricerca umana si svolge tra enigmi
che restano tali e misteri che si aprono invece a rivelazioni fulminee.
Bagliori dell’invisibile che squarciano a sprazzi gli affanni delle vite e ne
caratterizzano le metamorfosi: non siamo mai gli stessi. Il medico sa quante
cellule muoiono e quante ne nascono di nuove in noi ogni giorno.
Il titolo
dell’ultimo libro già dice tutto quello che attende il lettore: Partenze e promesse. Presagi. La vita è
un viaggio di ricerca. Siamo guidati da intuizioni in un ignoto di fondo,
rivelato non su basi logico-conoscitive ma, per lo più, grazie a sprazzi
discontinui carichi di presagi. Siamo tutti un po’ visionari, un po’ profeti,
come quelli dell’Antico Testamento, voci che gridano nel deserto, ricercatori
di verità sempre sibilline, sempre oscillanti tra opposti che si coniugano, tra
pienezze e mancanze, sicurezze e relativismi.
E’ un libro che non si riesce a riassumere, ammesso che si
possa in poesia, complesso anche nei titoli delle sezioni da cui è formato.
Nulla è casuale nella sua architettura: un libro profetico, visionario,
ermetico, eppure concreto, di enorme incantamento poetico, inserito in una
struttura di ferro, direi, perché
rigorosissima di una logica scientifica, quasi matematica. Mi viene da pensare
che anche nella struttura formale del libro continui il gioco degli opposti:
intellettualità e visioni. Come figura di artista ed intellettuale, se penso a
Rienzi mi viene in mente la grande decompartimentazione del sapere tipica degli
artisti dell’età dell’Umanesimo e del primo Rinascimento (l’età più fertile,
più innovatrice, più magistrale della cultura italiana, l’unica il cui il
sapere del nostro paese ha insegnato per primo al mondo. In tutti gli altri
grandi movimenti culturali ed artistici: Romanticismo, Simbolismo,
Decadentismo, Surrealismo, va detto, l’Italia è andata a rimorchio di altri
paesi).
Per tornare a Rienzi, il suo è un libro che va letto in
toto: è arduo anche operare una scelta di testi, è riduttiva e parziale. Io
però, per un primo approccio, ho pensato di condurvi a poesie tra le più semplici, tutte d’una stessa sezione.
Semplici solo in quanto trattano di una problematica umana che ci coinvolge
tutti direttamente. La sezione ha un titolo profetico e drammatico: Conosco la data della mia morte, ma le
poesie hanno in sé risvolti di pacata ironia, di bonomia, di tollerante
umanità. Non sono affatto macabre e, forse, neanche tristi, solo classicamente
elegiache nel loro realismo concreto. Anche qui il gioco degli opposti.
I. Non l'ho scelta io
Non l'ho scelta io, la data della mia morte
mi è apparsa, non importa se in sogno
per bocca d'un sedicente profeta
o in algoritmi a multipla
matrice.
Non l'ho scelta: me la sono trovata
di fronte - e neppure ricordo
se dettata dai codici dei tuoni o della grandine,
dal cerimonioso ronzare delle api
o connettendo linee tra i nei dell'avambraccio.
Però io ho scelto, a fondo soppesato
se accogliere l'offerta o no, se credere
o sputare sarcasmo sui quei
segni.
Logica e ragione si dimenavano.
Poi
ho deciso: si, va bene, è vero!
Quella
sarà la
data!
*
‘A
Non sia dissociato dalla realtà il sogno, la sua sintassi si
faccia onda, il decimale
vesta i misteri - prima e dopo
la virgola - molto, molto
dopo la virgola
la pietra e lo specchio sono sfuggiti di mano allo stesso dio, e
noi abbiamo ammonticchiato
fedi di comodo per l'una
e per l'altro, e per ogni
sciame d'insetti
ma il coraggio di respirare l'ossigeno dell'acqua
non ci è stato
donato, il desiderio non ha
conosciuto la pronuncia
che attendeva.
Per questo - anche per questo - non si separi il sogno dalla
realtà
le
acque superiori restino con le inferiori, l'athanor abdichi al
suo sigillo e l'amnios disciolga il primo concepimento
della cenere.
*
II.
verità (plurale maiuscolo)
Ho scelto: sì, va bene, è vero!
più vero di chissà quant'altre verità
che mi hanno accompagnato fino ad ora
nutrito, sostenuto, dirottato
tipo il PIL o i PIN e l'indice Dow Jones,
i t'amerò-nella-salute-e-nella-malattia, (persino in povertà…)
e le dichiarazioni ai sensi della norma
e i dogmi, e i crismi ed i carismi
e tutto quel che in brutta copia ho scritto
in settecentosettantatrè versi, che per necessità
qui sintetizzerei in: quasi tutto!
*
V. Il fatto è che ora conosco la data
Il fatto è che ora conosco la data
della mia morte, l'ho iniettata
bevuta, masticata, odorata
l'ho tatuata sullo sterno a croce
dall'alto in basso, da destra a sinistra
- essogramma chiaro e assoluto ‑
e voglio ne lampeggi la verità negli occhi
prima d'ogni amplesso e dopo
nel guizzo delle carni che risparmierà vecchiaia
nel fiato raro ai quattromila
e in quello ebbro delle tue risate
e voglio che la sentenza scritta
abbia a governatore il cuore
e mi conduca a sopportare sveglio
le cronache ingannevoli dei sogni
e l'ultima stagione solitaria.
*
VI. Testamento
Vi
lascio il testamento:
è
una pagina bianca
un
messaggio silente
con
solo il mio respiro
nessun
diario, nessuna
oziosa
biografia
due
sole date a sbalzo
per
dire della vita
che
è stata: a poco serve
prepararsi
guardando
le
orme passeggere
tra
l'arenile e l'onde:
potrebbe
commozione
portare
ingovernate
lacrime
mai versate
di
mastice e di colla
proprio
nell'ora scelta
per
sciogliere la corda.
*
è qui che sono sorto e inabissato, e ho dovuto cercare - come in un
deserto l'acqua - i nomi del
visibile e del nascosto
del nascosto che ha difeso le sue tane anche nel cielo più vasto senza
nubi, nel roseto sfuggito
alla selva, nel significare minimo del
tiepido toccare volti
è qui che si è compressa tutta la materia oscura che qualche sognatore
sveglio ha confezionato per
il mio bang,
e dove la sua sognatrice ha cucito stracci per farne profezia, e tulle
azzurre e argento, i bordi
neri
e non è stata qui e non è stata dove
la quieta apocalisse
*
VIII. Come i giochi belli
Il solo dubbio a te lo dico, madre:
che tu mi sopravviva è un falso augurio
so che sarai d'accordo
tu che hai creato vita
di quanto sia l'orrore a dar sepoltura ai figli
lo prendo io, tutto lo prendo io
il fuoco nero della tua partenza
ma lo saprai, ovunque viaggerai
(e lo so anch'io che guardo alla mia data
con tenerezza che altri non vogliono esplorare)
che il tempo è il nostro gioco prediletto
e
durerà poco, come i giochi belli.
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