sabato 9 maggio 2020

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: Partenze e promesse. Presagi (Puntoacapo editrice 2019) di Alfredo Rienzi


La poesia cui vi introduco oggi è complessa perché poli sfaccettata, con pluralità di chiavi di lettura. E’ intrisa di un suo percorso sfuggente e misterioso, tale da mettere talora in crisi il lettore che può restare inibito di fronte a testi troppo spiazzanti, per riferimenti culturali che vanno dall’alchimia alla astrologia, dall’esoterico al sapere biblico, dalla filosofia orientale antica a scuole di pensiero attuali, dalla profonda conoscenza della letteratura italiana ai massimi poeti internazionali contemporanei, il tutto colto nell’essenzialità ed inglobato perfettamente nel sapere coerente dell’autore. È una sostanza che sgomenta. Sorprende un’intelligenza concorde tra mente, conoscenza e sentire, aggiungo io che conosco l’autore, frequentandolo in occasione di incontri tra poeti piemontesi. Come tutti i grandi, infatti, forse per l’umanità e la concretezza che gli provengono dalla sua professione di medico, è persona di rara modestia, di grande disponibilità verso gli altri in gentilezza e signorilità.
Perché mi soffermo su tali aspetti umani, che sembrano avere poco a che fare con la poesia?
È mia convinzione che, se per chi scrive la poesia è un valore sostanziale, essa diventa più che un habitat un modo di essere anzi, volere o no, la maniera privilegiata, autentica, con cui l’autore affina se stesso e si estrinseca al mondo secondo quei valori artistici ed estetici cui tende con le opere. La supponenza, lo sgomitare per farsi avanti, l’invidia per i successi poetici altrui non riguardano chi sa guardare oltre: sono sintomo di piccolezza umana ed evidenziano uno stato di insicurezza di sé. E’ proprio del bambino, immaturo, infatti avere bisogno di continue conferme e rassicurazioni esterne. Chi è sicuro di avere intrapreso la propria strada umana e poetica, che è quella e non un’altra, va avanti nel dubbio o, viceversa, realizzato in sé; se arrivano fama e successi tanto meglio, ma sono un accessorio che non cambia l’esistenza. Un po’ la differenza che c’è in filosofia tra sostanza e accidente: il Poeta cerca la sostanza, indipendentemente dagli accidenti.
Mi sono dilungata su questi aspetti umani che, secondo me, si riflettono nella scrittura di Rienzi, per farvi capire che le sue opere, astruse talora, ricche di addentellati complessi al punto da sembrare inarrivabili, hanno in sé un rigore intellettuale assoluto: ogni elemento, come in un puzzle, è necessario ed irrinunciabile per la completezza del quadro totale. Ma non c’è niente, neppure una parola, che sia accessoria e che non sia vera, sentita nel profondo, una volta depositata sul foglio. Nulla viene inserito in modo avventizio o per stupire o per rendere il testo più sapienziale.
Di Rienzi mi affascina il gioco degli opposti, sempre presente in lui, la verità che può emergere da armonie e disarmonie, tra luci ed ombre, proprio così come si snoda la vita, attraverso la sintesi di antinomie, sia nel mondo esterno, sia nel dipanare la nostra interiorità. La ricerca umana si svolge tra enigmi che restano tali e misteri che si aprono invece a rivelazioni fulminee. Bagliori dell’invisibile che squarciano a sprazzi gli affanni delle vite e ne caratterizzano le metamorfosi: non siamo mai gli stessi. Il medico sa quante cellule muoiono e quante ne nascono di nuove in noi ogni giorno.
Il titolo dell’ultimo libro già dice tutto quello che attende il lettore: Partenze e promesse. Presagi. La vita è un viaggio di ricerca. Siamo guidati da intuizioni in un ignoto di fondo, rivelato non su basi logico-conoscitive ma, per lo più, grazie a sprazzi discontinui carichi di presagi. Siamo tutti un po’ visionari, un po’ profeti, come quelli dell’Antico Testamento, voci che gridano nel deserto, ricercatori di verità sempre sibilline, sempre oscillanti tra opposti che si coniugano, tra pienezze e mancanze, sicurezze e relativismi.
E’ un libro che non si riesce a riassumere, ammesso che si possa in poesia, complesso anche nei titoli delle sezioni da cui è formato. Nulla è casuale nella sua architettura: un libro profetico, visionario, ermetico, eppure concreto, di enorme incantamento poetico, inserito in una struttura di ferro, direi, perché rigorosissima di una logica scientifica, quasi matematica. Mi viene da pensare che anche nella struttura formale del libro continui il gioco degli opposti: intellettualità e visioni. Come figura di artista ed intellettuale, se penso a Rienzi mi viene in mente la grande decompartimentazione del sapere tipica degli artisti dell’età dell’Umanesimo e del primo Rinascimento (l’età più fertile, più innovatrice, più magistrale della cultura italiana, l’unica il cui il sapere del nostro paese ha insegnato per primo al mondo. In tutti gli altri grandi movimenti culturali ed artistici: Romanticismo, Simbolismo, Decadentismo, Surrealismo, va detto, l’Italia è andata a rimorchio di altri paesi).
Per tornare a Rienzi, il suo è un libro che va letto in toto: è arduo anche operare una scelta di testi, è riduttiva e parziale. Io però, per un primo approccio, ho pensato di condurvi a poesie tra le più semplici, tutte d’una stessa sezione. Semplici solo in quanto trattano di una problematica umana che ci coinvolge tutti direttamente. La sezione ha un titolo profetico e drammatico: Conosco la data della mia morte, ma le poesie hanno in sé risvolti di pacata ironia, di bonomia, di tollerante umanità. Non sono affatto macabre e, forse, neanche tristi, solo classicamente elegiache nel loro realismo concreto. Anche qui il gioco degli opposti.


I.  Non l'ho scelta io
Non l'ho scelta io, la data della mia morte
mi è apparsa, non importa se in sogno
per bocca d'un sedicente profeta
o in algoritmi a multipla matrice.
Non l'ho scelta: me la sono trovata
di fronte - e neppure ricordo
se dettata dai codici dei tuoni o della grandine,
dal cerimonioso ronzare delle api
o connettendo linee tra i nei dell'avambraccio.
Però io ho scelto, a fondo soppesato
se accogliere l'offerta o no, se credere
o sputare sarcasmo sui quei segni.

Logica e ragione si dimenavano.

Poi ho deciso: si, va bene, è vero!
Quella sarà la data!

*

‘A
Non sia dissociato dalla realtà il sogno, la sua sintassi si
faccia onda, il decimale vesta i misteri - prima e dopo
la virgola - molto, molto dopo la virgola
la pietra e lo specchio sono sfuggiti di mano allo stesso dio, e
noi abbiamo ammonticchiato fedi di comodo per l'una
e per l'altro, e per ogni sciame d'insetti
ma il coraggio di respirare l'ossigeno dell'acqua non ci è stato
donato, il desiderio non ha conosciuto la pronuncia
che attendeva.
Per questo - anche per questo - non si separi il sogno dalla
realtà
le acque superiori restino con le inferiori, l'athanor abdichi al
suo sigillo e l'amnios disciolga il primo concepimento
della cenere.

*

II. verità (plurale maiuscolo)
Ho scelto: sì, va bene, è vero!
più vero di chissà quant'altre verità
che mi hanno accompagnato fino ad ora
nutrito, sostenuto, dirottato
tipo il PIL o i PIN e l'indice Dow Jones,
i t'amerò-nella-salute-e-nella-malattia, (persino in povertà…)
e le dichiarazioni ai sensi della norma
e i dogmi, e i crismi ed i carismi
e tutto quel che in brutta copia ho scritto
in settecentosettantatrè versi, che per necessità
qui sintetizzerei in: quasi tutto!

*

V. Il fatto è che ora conosco la data
Il fatto è che ora conosco la data
della mia morte, l'ho iniettata
bevuta, masticata, odorata
l'ho tatuata sullo sterno a croce
dall'alto in basso, da destra a sinistra
- essogramma chiaro e assoluto ‑
e voglio ne lampeggi la verità negli occhi
prima d'ogni amplesso e dopo
nel guizzo delle carni che risparmierà vecchiaia
nel fiato raro ai quattromila
e in quello ebbro delle tue risate
e voglio che la sentenza scritta
abbia a governatore il cuore
e mi conduca a sopportare sveglio
le cronache ingannevoli dei sogni
e l'ultima stagione solitaria.

*

VI. Testamento
Vi lascio il testamento:
è una pagina bianca
un messaggio silente
con solo il mio respiro
nessun diario, nessuna
oziosa biografia
due sole date a sbalzo
per dire della vita
che è stata: a poco serve
prepararsi guardando
le orme passeggere
tra l'arenile e l'onde:
potrebbe commozione
portare ingovernate
lacrime mai versate
di mastice e di colla
proprio nell'ora scelta
per sciogliere la corda.

*

è qui che sono sorto e inabissato, e ho dovuto cercare - come in un
deserto l'acqua - i nomi del visibile e del nascosto
del nascosto che ha difeso le sue tane anche nel cielo più vasto senza
nubi, nel roseto sfuggito alla selva, nel significare minimo del
tiepido toccare volti
è qui che si è compressa tutta la materia oscura che qualche sognatore
sveglio ha confezionato per il mio bang,
e dove la sua sognatrice ha cucito stracci per farne profezia, e tulle
azzurre e argento, i bordi neri
e non è stata qui e non è stata dove
la quieta apocalisse

*

VIII. Come i giochi belli
Il solo dubbio a te lo dico, madre:
che tu mi sopravviva è un falso augurio
so che sarai d'accordo
tu che hai creato vita
di quanto sia l'orrore a dar sepoltura ai figli

lo prendo io, tutto lo prendo io
il fuoco nero della tua partenza

ma lo saprai, ovunque viaggerai
(e lo so anch'io che guardo alla mia data
con tenerezza che altri non vogliono esplorare)
che il tempo è il nostro gioco prediletto
e durerà poco, come i giochi belli.

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