Confesso che non conoscevo la poetessa Bruna Dell’Agnese prima che me ne parlasse una amica di vecchia data, Anna, che vive il suo tempo negli stessi luoghi che videro snodarsi l’esistenza della poetessa: la bella stagione nei pressi del lago d’Orta, l’autunno e l’inverno a Milano. Mi sono sentita quasi in colpa per la mia ignoranza (anche se il grande Orazio, poeta sommo latino, mi giustifica nell’Ode IV.4, v. 22: “non è possibile sempre sapere tutto”): io da tutta la vita mi dedico alla poesia, Anna invece è un’archeologa, eppure quel giorno mi ha colta impreparata. Mi ha stimolata a leggere qualcosa di questa poetessa in quanto, conoscendomi bene, era certa che avrei trovato vari punti di contatto tra la mia poesia e la sua, e quindi mi sarei scoperta in consonanza con questa personalità di autrice.
È arrivato il momento di presentarvi qualche poesia:
da Correndo l’anno, Edizioni del Leone 1999
Racconto d’estate
Andavo da un giardino all’altro
come il vento senza confini,
o l’ape, che nessuna siepe arresta
se un profumo l’attragga a sé
su un’altra sponda. ( In basso
il mare era, come nelle favole,
un’onda di pura luce).
Così accade nei miti:
passavo da un giardino all’altro
per cancelli un poco arrugginiti
sui cardini; e, come l’aria, invisibile,
sostavo con gli amici seduti
a chiacchierare e a bere vino.
Col suo battito d’ala la vita,
(o era la morte?) passava in silenzio
lì vicino.
da: Bassa marea, Edizioni del Leone 1996
Passaggio segreto
Parole d’amore e di preghiera,
come inutili monete fuori corso,
giacciono nel giardino sfiorito
dove le abbiamo abbandonate.
Ma quel luogo dimenticato, aperto
al vento, quel luogo inspiegato
e il momento che sussiste inalterato
al di là di macerie di memorie,
dischiusero per noi, smarriti eredi
del quotidiano, un passaggio segreto,
imprevedibile, insperato.
da Vuoto in giardino, Edizioni del Leone 1993
Il bosco in prigionia
Al bosco hanno applicato
dei cancelli
ma gli
alberi – disarmato stuolo –
si staccano
dal suolo
dove sono
confitti e salgono
diritti
verso il cielo
stormendo
in alto con un principio
irresistibile
di volo.
Ciò
disorienta gli uccelli
che se ne
vanno altrove, ma qualcuno,
restando,
crede di capire in quel loro
stormire,
in quel tendere d’ogni foglia
o ramo al
più lontano cielo, oltre
il consueto
velo della nebbia, oltre,
l’audacia
di certe nubi o pioggia,
che giù fin
dalla roggia scura
dove la
radice affonda
si nasconda
questo sogno d’aria,
questa sete
di altezza
che la
brezza alimenta come un segno
ben chiaro,
un preciso progetto
attuato di
gradino in gradino,
di ramo in
ramo, più in alto
e sempre
più leggero,
per cui
l’antico tronco si diffonde
in rivoli
traccianti una vaga orma
nell’aria;
come un’arte nuova,
una storia
inedita, o come
un pensiero
che si muti
lentamente in forma.
In queste poesie, dove la natura ha tanta parte, notiamo quanto il paesaggio viva dei sentimenti dell’uomo: è un campo di osservazione animato che stimola l’attività dello spirito e si fa metafora della vita umana. E’ vero: la natura vive dell’uomo che le dà i suoi sentimenti, lei dà viceversa i suoi momenti di equilibrio e anche quelli di squilibrio (cataclismi, fenomeni distruttivi). La natura, come le persone, non è uniforme, è varia e contraddittoria. Ci insegna che anche l’incoerenza ha una forma di creatività “sublime” ed un suo perché. A contatto con la natura emerge una poesia pensante come in un dialogo tra anime affini. Questo io vedo nella Dell’Agnese. Se ne esce a livello più universale, poeti meno autoreferenziali e persone più aperte ad ogni diverso da noi.
ancora da Correndo l’anno, Edizioni del Leone 1999
Case d’ombra
Le nostre; e chiusi dentro noi
mentre di là dalle finestre naviga
l’estate con tutte le sue flotte.
Le soglie, sbarrate da un’ombra
che indugia su di noi
come sopra un esitante stormo
la notte.
Quali porte apriremo ora sull’estate
eterna con api e fiori,
quali porte, se non riconosciamo più
forme e colori?
Quali danze faremo, se non abbiamo
piedi per ballare e dita
che inseminino i cieli con il volo
di teneri soffioni?
Noi, che non abbiamo sogni e stiamo
chiusi dentro case d’ombra
che non hanno porte, né stanze dove
si ascolti un canto. O dove
suoni il suo cembalo d’aria
il folle, il santo.
*
Il cielo
Trascolorando in aria e nuvole
o in sciami di stelle forse
già naufragate e tuttavia
isole di luce;
fiume di gloria, vasto sterminato,
il cielo riceve ogni nostra
preghiera, ogni sconfitta e anche
ogni vittoria.
Il cielo tutto accoglie, muto,
e non ne trabocca. Le sue ardenti
sfere non si sciolgono dagli
antichi abbracci;
troppo esile, il nostro triste
infinito non lo tocca. Indifferenti,
gli astri incandescenti non vanno
alla deriva:
greggi silenti sfilano, ordinati,
arcani armenti che vincastri di luce
guidino nel buio. Assente ogni
clamore o affanno
vanno, e si raccoglie nella loro scia
scrutato e incompreso l’universo.
Vanno nel buio, portando come lucciole
la propria luce.
Ma forse, anche meno delle lucciole,
lo sanno.
Da queste poesie emergono alcuni concetti base:
1. Tutto ciò che è esistente (oggetto di osservazione o di pensiero) può diventare occasione di poesia. Le piccole cose quotidiane possono sublimarsi e arrivare a significati straordinari.
2. La poesia è, di per sé, indefinibile, come del resto ogni attività dello spirito. Ogni definizione è per sua natura un limite quando la poesia è invece inesauribile. Forse può, come altre attività della mente, significare per noi un percorso verso la conoscenza della nostra interiorità, per poi aprirsi agli altri. Questa è la peculiarità della poesia.
La Dell’Agnese è contro ogni forma di autoreferenzialità, come già si è detto.
3. Compito della poesia: riconoscere in sé tutta l’umanità e quindi interpretare e condividere i sentimenti dell’uomo di ogni tempo e nazionalità, pur nel cambiamento degli anni e delle forme espressive che mutano nel tempo, come avviene in tutte le forme artistiche, non solo in poesia.
Un pensiero ricorrente di questa poetessa nasceva dalla citazione di Marina Cvetaeva, secondo cui “esiste un unico poeta, sempre!”. Forse è lo stesso pensiero di Borges, per cui egli chiede scusa ai suoi lettori: di essere arrivato solo un attimo prima di loro ad esprimere quanto tutti sentono nel cuore, ma non hanno scritto.
La Dell’Agnese, che leggeva spesso poesie in incontri pubblici e conferenze - come capita a me da anni al gruppo di poesia Tempo di Parole - notava l’intensa compartecipazione e commozione dei presenti proprio per i succitati motivi. Diceva: “il sentire è suddiviso in minutissimi frammenti nell’animo di ogni uomo, anche se a qualcuno, per un particolare talento, è dato di poterlo con maggior forza manifestare e rivelare”.
Mentre vi lascio alle due ultime letture, ribadisco che questa poetessa mai si è allontanata da se stessa e dal suo mondo e, con grande coerenza di pensiero e di scrittura, è riuscita ad attraversare il cuore dei lettori, pur portandoli oltre alle emozioni, alla riflessione ed alla poesia pensante.
Se un piccolo neo si deve ricercare in questa scrittura, forse va detto che, a parer mio, lo stile è eccessivamente legato alla tradizione lirica italiana un po’ retrò. In questi anni tendiamo a sfrondare ridondanze, cerchiamo la sintesi, la lapidarietà dell’assunto, l’immagine immediata e folgorante, l’intensità di una metafora o di un ossimoro. Del resto mi pare fosse questa la strada che la poetessa intendeva percorrere nei suoi ultimi anni, riguardo al proprio stile di scrittura. Ne fanno fede i due inediti che vi propongo e con cui vi lascio:
Il primo, I duellanti, decisamente moderno, il secondo, Cattedrali del duemila, forse rimasta da rivedere.
I duellanti
Ci fossimo mai sfiorati, noi
duellanti senza misericordia,
che mangiavamo ogni giorno
il pane della discordia
e bevevamo veleno.
Noi, corazzati dietro le porte chiuse,
assediati dagli anni dalle cose che
ci guardavano senza intervenire,
le cose mute, pazienti, che ci vedevano
morire.
Avessimo, mentre oltre le sbarre
il sole scoloriva, deposta la spada,
le visiera, l’abito di ferro, e piano,
ci fossimo almeno sfiorati con la mano
sulla pelle nuda.
*
Cattedrali del duemila
Splendidi gusci ma di conchiglie
morte, adagiate su torbidi fondali.
E noi, giunti per disuguali percorsi,
accampati come soldati ubriachi
dentro sacri recinti che videro
– oltre notturne porte dischiuse
per preghiere oggi dimenticate –
sorgere dei e dee dispensanti
grazie doni e, forse, felicità.
Incapaci oramai di decifrare
i nostri e gli altrui sogni,
noi, tra stipiti violati, scorgiamo
solamente l’oscurità che preme.
Bruna Dell’Agnese, originaria di Borgomanero, è scomparsa nel 2017. Le sue raccolte di poesia: Stanza Occidentale (presentazione di Attilio Bertolucci, 1985), Bassa marea, Correndo l’anno, Nel fruscio del quotidiano, Gli improbabili confini (2004), ricapitolate nel volume Sul confine del tempo – Poesie 1985-2009 (Moretti & Vitali, 2011), Geometrie imperfette – le ultime poesie con prefazione di Silvio Raffo (Puntoacapo Editrice 2019). E’ stata anche traduttrice di poeti: accanto alle poetesse del romanticismo inglese (Bronté, Barrett Browning, Dickinson), Poe e poeti contemporanei come Charles Tomlinson, o Mikos Radnoti). Ha pubblicato anche una raccolta di saggi dal titolo Il teatro dell’assenza (Moretti & Vitali, 2007), la raccolta di racconti Il messaggero del Prado (Greco & Greco, 2009) e un saggio sul Lago d’Orta, scrigni di luci (Alberti, 2006), illustrato dal pittore Carlo Rapp.
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