Scrivere
della poesia di Stefania Di Lino significa affrontare un percorso complesso che
necessita di una mente libera, scevra di precostruzioni mentali. Non siamo davanti a una poesia semplice. Essa
si configura fortemente stratificata e proprio per questo assume connotazioni e
significati diversi e paralleli. E’ una poesia che parte dal dolore per
giungere al bene come mezzo di guarigione e speranza: si aprano al cielo e al vento/ le parole sollevate dal fango/
commistione impura della terra/ che talvolta radici vanno recise / talvolta / e
lasciate a marcire nel buio cavo di un rancore // non vi è alcun rossore a
giustificare abbandono / se premono e urgono le mani / a modellare costruzione
/ a segnalare – ed è colore rosso - / lo spurgo cristallino di un rancore/
l’affondo fatto di carne // ci sarà un tempo migliore da espugnare / sarà cura,
allora, sarà grazia,
Molto
spesso vengono usati verbi al futuro che si contrappongono a periodi di
presente in un dualismo costante tra ora e dopo, nero e luce, realtà e
aspirazione. Il presente e la realtà sono coperti da un velo buio,
rappresentano il dolore, le difficoltà; nel futuro si apre la via, si torna
alla luce. Si tratta di una poesia dolorosa, ma pervasa da una grande speranza
che diviene necessaria e onirica aspirazione per superare il laceramento dell’animo:
avremo ancora sguardi / da donare al
mondo / e gesti protesi all’amore / avremo ancora bocche / da cui far sgorgare
/ come bambini sorrisi / e avremo becchi generosi / precisi / con cui nutrire /
e ali grandi per volteggiare / giocare planare / appagati su rami / di alberi
grandi sapienti / conosceremo le stagioni / ne sapremo il fiorire,
Vi è
all’interno della poesia della Di Lino una sorta di lucida consapevolezza sulla
necessità di un lavoro costante, intenso, profondo per raggiungere un’esistenza
che vada oltre l’apparente quotidianità. E’ un continuo scavare alla ricerca
del senso universale dell’esistere: e i
frammenti restano spaiati / come i calzini bucati / di questo nano secondo di
esistenza / e son fiotti di sangue schizzati / sulle piastrelle nuove / della
cucina / che fatica stamattina / dover ripulire le tracce / dai piccoli
silenziosi omicidi / perpetrati da ogni giorno che passa,
C’è
in Stefania un amore profondo per le “parole”, una ricerca di salvezza tramite
esse, una fede disperata verso il loro potere salvifico, forse un rifugio dove il
macchiare d’inchiostro la sofferenza porti a una sorta di sparizione del
dolore. Un’aspirazione, senz’altro, espressa con un condizionale che aumenta la
tensione e il desiderio: se le parole
fossero surrogato/ medicamento elaborato / di ferite leccate lenite/ - come fa
un cane con le sue ferite - / se scrivere fosse sempre prelevare / cellule del
nerbo osseo dorsale / i versi sarebbero salvezza, unguento / diventerebbero
certezza, medicamento
Vorrei
attirare l’attenzione su una poesia in particolare perché affronta una tematica
a me molto cara. E’ una poesia che parla della madre. Topos sin troppo famoso
si potrebbe pensare. Ma non esattamente, infatti a parlare della madre sono
stati soprattutto scrittori e poeti uomini. Ben diversa è la situazione invece
nell’ambito della scrittura di una donna nella quale la figura della madre
diviene molto più umana, perdendo quell’aurea di mitizzazione. Pensiamo ad
esempio alla poesia alla madre di Montale, o a quella di Ungaretti, alla
famosissima supplica alla madre di Pasolini. Testi meravigliosi, ma che
rappresentano il punto di vista di un figlio maschio nei confronti della
propria madre. Ma lo sguardo da figlia a madre è ben diverso. Esse sono
entrambe. Una madre è stata figlia e la figlia è o sarà madre, o comunque può
potenzialmente diventarlo. C’è dunque una visione diversa che porta
inevitabilmente a guardare il ruolo con occhi realisti, a volte impietosi come
se perdonare la madre fosse perdonare se stesse. Nella poesia di Stefania ci
troviamo davanti a un madre di un’umanità disarmante. La descrizione diviene
fisica, ma tramite la materia Stefania, da vera grande artista visiva,
raggiunge l’animo nel profondo. Si tratta di una visione che trasmette un
sentimento di grande pietà. Un sentimento attraverso il quale, forse, Stefania
per la prima volta trova veramente sua madre. Cito solo alcuni versi di questa
fulgida poesia e che essi siano testimonianza di altissima poesia: …/ nel sempre più ristretto ambito delle sue
clavicole/…. / mia madre è stata una donna del novecento - / era ormai vuota
dentro / … semmai un giorno fosse stata intera / presa come era da una
lacerazione profonda / …. mia madre era
una donna cava/ con le sue ossa cave/ su zampette da uccellino, Stefania riesce, dunque, attraverso la
descrizione fisica della madre malata a descrivere per intiero il suo rapporto
con lei lasciando comunque in noi lettori un pensiero di dolce compassione.
Vi
accorgerete che a ogni lettura dei testi di Stefania vi si trovano significati,
evocazioni, immagini nuove, via via sempre più profonde. Sicuramente si tratta
di una poesia intrisa di vita e di pensiero. Non è una costruzione mentale, ma
la materializzazione di un vissuto. Il libro di Stefania è complesso,
articolato, è il risultato di una ricerca costante, abbraccia l’esistenza nella
sua interezza spingendosi oltre, in dimensioni altre e a volte anche oniriche.
E’ un’esperienza profonda che ci porta a esaminare il nostro io individuale e
il noi universale con prospettive diverse, ma sempre, sempre pervase da
un’aspirazione salvifica. Si potrebbe continuare a scrivere centinaia di pagine
sulle tematiche che ritroviamo nella poesia di Stefania, ma io debbo limitarmi
a una prefazione e non mi è concesso di svelare troppo.
Desidero
invece scrivere, sia pur brevemente, qualcosa circa la tecnica della poetessa.
Credo si possa dire che Stefania Di Lino nega il verso nel senso tradizionale
del termine e crea un modo originale di collocare le parole sul foglio. Il
verso, perché tale è, non è definito da un “a capo” ma da un segno grafico
singolo o doppio che dona respiro non solo alla lettura, ma al senso stesso
della poesia. Siamo di fronte all’opera
di una donna-artista che prende in mano la propria poesia e la modella
fornendole una forma estetica e contenutistica insieme.
E’
come se tutto fluisse senza interruzione apparente, come se le parole fossero
un corso d’acqua nel quale scogli sparsi, ma non a caso, tentassero di limitarne
il flusso, senza però riuscirvi e, al termine, lì dove il fiume si getta nel
mare, a volte troviamo un luogo inatteso simboleggiato, ad esempio, da una
virgola posta alla fine del dettato come
a dire che in realtà tale fine non esiste realmente.
Si
sente, nei versi di Stefania, una conoscenza profonda della poesia, sicuramente
frutto di anni e anni di letture e non cela, certo, la poetessa la sua
ammirazione per coloro che, credo, abbia considerato suoi maestri, inserendo
all’interno dei suoi versi molte figure retoriche che ci collegano alla
migliore tradizione. Così troviamo
l’allegoria, l’anafora, l’allitterazione, l’analessi, la metafora, l’endiadi
ecc… A volte pure, altre volte con variazioni personali. Ma sempre nella poesia
di Stefania troviamo un ritmo intenso che in alcuni casi arriva a trasformare
in canto i suoi versi.
Buona
lettura.
Cinzia Marulli
Stefania
Di Lino nata a Roma, dove vive e lavora.
Allieva
dello scultore Pericle Fazzini, e del poeta, critico d’arte Cesare Vivaldi,
presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, si specializza alla Calcografia
Nazionale del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, e si abilita
all’Insegnamento per i Licei, occupandosi anche di formazione. è presente da
anni in numerose manifestazioni artistico letterarie, coniugando spesso la
parola con l’immagine in opere di Visual Poetry.
Da
anni partecipa a reading pubblici di poesia.
Nel
2012 pubblica la sua prima raccolta di poesie Percorsi di vetro (DeComporre
Edizioni). è presente in numerose antologie e riviste letterarie, tra cui I
fiori del male (2016).
Con
un suo testo critico partecipa al X Festival Mondiale di Poesia, Caracas, in
Venezuela; nel 2014 alcuni suoi testi vengono selezionati dall’unesco di
Torino, per la giornata de «Etica Globale e Pari Opportunità: il contributo
delle donne allo sviluppo dell’Europa e del Mediterraneo», pubblicati e
tradotti in diverse lingue.
Nel
2015, nell’ambito del programma dedicato alla Rassegna Poetica, presso la
Galleria Biffi di Piacenza, con il poeta Franco Di Carlo, partecipa con una sua
performance denominata Dialoghi poetici.