Confesso
che non conoscevo la poetessa Bruna Dell’Agnese prima che me ne parlasse una
amica di vecchia data, Anna, che vive il suo tempo negli stessi luoghi che
videro snodarsi l’esistenza della poetessa: la bella stagione nei pressi del
lago d’Orta, l’autunno e l’inverno a Milano. Mi sono sentita quasi in colpa per
la mia ignoranza (anche se il grande Orazio, poeta sommo latino, mi giustifica nell’Ode
IV.4, v. 22: “non è possibile sempre
sapere tutto”): io da tutta la vita mi dedico alla poesia, Anna invece è
un’archeologa, eppure quel giorno mi ha colta impreparata. Mi ha stimolata a
leggere qualcosa di questa poetessa in quanto, conoscendomi bene, era certa che
avrei trovato vari punti di contatto tra la mia poesia e la sua, e quindi mi
sarei scoperta in consonanza con questa personalità di autrice.
Sotto
diversi aspetti la mia amica Anna aveva ragione. Un primo motivo di affinità:
la scelta di una vita riservata, lontana per lo più da ciò che chiamiamo il
mondo letterario, soprattutto lontana dalle mode del momento, da
condizionamenti di sorta. Anch’ella riteneva che solo così ci si potesse
esprimere con un’intensità superiore, più pulita, nel senso che in alternativa
al mondo materiale meglio si potesse costruire il proprio mondo dello spirito,
sicuramente più autentico e vero, in quanto meno sottoposto a beghe,
compromessi, distrazioni mondane. Certamente questo avviene a scapito di una
più facilmente ottenibile notorietà ma, come dico sempre, è questione di
chiarirsi gli obiettivi e poi perseguirli con coerenza. Sarà il tempo a dare
ragione delle scelte fatte e, a tre anni dalla morte, Bruna Dell’Agnese
incomincia ad essere riscoperta, studiata e conosciuta (un po’ come è avvenuto
per la milanese d’acquisto Piera Oppezzo)
Non
ho trovato molte notizie sulla sua vita, ma è anche vero che non ne voglio
cercare a bella posta, per rispettare quella sua riservatezza sul privato che è
anche la mia. Era nata a Borgomanero nel 1930, ma visse molto anche a Vacciago
d’Ameno, sul lago d’Orta, quando non era costretta da impegni a Milano. È morta
ad ottantasette anni l’11 agosto del 2017. Poetessa, conferenziera, traduttrice
di Emily Dickinson e di Silvia Plath (tra le mie poetesse preferite), tradusse
anche dall’inglese il poeta ebreo-ungherese, qui da noi quasi sconosciuto,
Miklos Radnoti (poeta di cui mi sto occupando in questo periodo, al fine di trarne
un monologo teatrale. Un caso?). Per sapere di più su Bruna, forse potrei
contattare i suoi due figli Federico ed Elena, ma il rispetto dell’indole
schiva della loro madre mi preme più delle sue umane vicende. Voglio che mi
parlino la poesia ed una sua intervista - mirabile - del 2008. Un’altra
annotazione va fatta: gli “ammiratori” della sua arte e gli amici poeti con cui
mantenne rapporti, soprattutto nei periodi di vacanza, sono i miei poeti
prediletti del secondo Novecento, Attilio Bertolucci e Vittorio Sereni. Anche
in questo caso non penso che l’identico avvicinamento tra lei e me a questi due
poeti, tra tante voci contemporanee, sia casuale. Nulla avviene per caso.
È
arrivato il momento di presentarvi qualche poesia:
da Correndo l’anno, Edizioni del
Leone 1999
Racconto d’estate
Andavo da un giardino all’altro
come il vento senza confini,
o l’ape, che nessuna siepe arresta
se un profumo l’attragga a sé
su un’altra sponda. ( In basso
il mare era, come nelle favole,
un’onda di pura luce).
Così accade nei miti:
passavo da un giardino all’altro
per cancelli un poco arrugginiti
sui cardini; e, come l’aria,
invisibile,
sostavo con gli amici seduti
a chiacchierare e a bere vino.
Col suo battito d’ala la vita,
(o era la morte?) passava in
silenzio
lì vicino.
da:
Bassa marea, Edizioni del Leone 1996
Passaggio segreto
Parole d’amore e
di preghiera,
come inutili
monete fuori corso,
giacciono nel
giardino sfiorito
dove le abbiamo
abbandonate.
Ma quel luogo
dimenticato, aperto
al vento, quel
luogo inspiegato
e il momento che
sussiste inalterato
al di là di
macerie di memorie,
dischiusero per
noi, smarriti eredi
del quotidiano,
un passaggio segreto,
imprevedibile, insperato.
da Vuoto in giardino, Edizioni del Leone
1993
Il bosco in prigionia
Al bosco hanno applicato
dei cancelli
ma gli
alberi – disarmato stuolo –
si staccano
dal suolo
dove sono
confitti e salgono
diritti
verso il cielo
stormendo
in alto con un principio
irresistibile
di volo.
Ciò
disorienta gli uccelli
che se ne
vanno altrove, ma qualcuno,
restando,
crede di capire in quel loro
stormire,
in quel tendere d’ogni foglia
o ramo al
più lontano cielo, oltre
il consueto
velo della nebbia, oltre,
l’audacia
di certe nubi o pioggia,
che giù fin
dalla roggia scura
dove la
radice affonda
si nasconda
questo sogno d’aria,
questa sete
di altezza
che la
brezza alimenta come un segno
ben chiaro,
un preciso progetto
attuato di
gradino in gradino,
di ramo in
ramo, più in alto
e sempre
più leggero,
per cui
l’antico tronco si diffonde
in rivoli
traccianti una vaga orma
nell’aria;
come un’arte nuova,
una storia
inedita, o come
un pensiero
che si muti
lentamente in forma.
In queste poesie, dove la natura ha tanta parte, notiamo
quanto il paesaggio viva dei sentimenti dell’uomo: è un campo di osservazione
animato che stimola l’attività dello spirito e si fa metafora della vita umana.
E’ vero: la natura vive dell’uomo che le dà i suoi sentimenti, lei dà
viceversa i suoi momenti di equilibrio e anche quelli di squilibrio
(cataclismi, fenomeni distruttivi). La natura, come le persone, non è uniforme,
è varia e contraddittoria. Ci insegna che anche l’incoerenza ha una forma di creatività
“sublime” ed un suo perché. A contatto con la natura emerge una poesia pensante come in un
dialogo tra anime affini. Questo io vedo nella Dell’Agnese. Se ne esce a
livello più universale, poeti meno autoreferenziali e persone più aperte ad
ogni diverso da noi.
ancora da Correndo l’anno, Edizioni del
Leone 1999
Case d’ombra
Le nostre; e chiusi dentro noi
mentre di là dalle finestre naviga
l’estate con tutte le sue flotte.
Le soglie, sbarrate da un’ombra
che indugia su di noi
come sopra un esitante stormo
la notte.
Quali porte apriremo ora sull’estate
eterna con api e fiori,
quali porte, se non riconosciamo più
forme e colori?
Quali danze faremo, se non abbiamo
piedi per ballare e dita
che
inseminino i cieli con il volo
di
teneri soffioni?
Noi,
che non abbiamo sogni e stiamo
chiusi
dentro case d’ombra
che
non hanno porte, né stanze dove
si
ascolti un canto. O dove
suoni
il suo cembalo d’aria
il
folle, il santo.
*
Il cielo
Trascolorando in aria e nuvole
o in sciami di stelle forse
già naufragate e tuttavia
isole di luce;
fiume di gloria, vasto sterminato,
il cielo riceve ogni nostra
preghiera, ogni sconfitta e anche
ogni vittoria.
Il cielo tutto accoglie, muto,
e non ne trabocca. Le sue ardenti
sfere non si sciolgono dagli
antichi abbracci;
troppo esile, il nostro triste
infinito non lo tocca.
Indifferenti,
gli astri incandescenti non vanno
alla deriva:
greggi silenti sfilano, ordinati,
arcani armenti che vincastri di
luce
guidino nel buio. Assente ogni
clamore o affanno
vanno, e si raccoglie nella loro
scia
scrutato e incompreso l’universo.
Vanno nel buio, portando come
lucciole
la propria luce.
Ma forse, anche meno delle
lucciole,
lo sanno.
Da queste poesie emergono alcuni concetti base:
1.
Tutto
ciò che è esistente (oggetto di osservazione o di pensiero) può diventare occasione
di poesia. Le piccole cose quotidiane possono sublimarsi e arrivare a
significati straordinari.
2.
La
poesia è, di per sé, indefinibile, come del resto ogni attività dello spirito.
Ogni definizione è per sua natura un limite quando la poesia è invece
inesauribile. Forse può, come altre attività della mente, significare per noi
un percorso verso la conoscenza della nostra interiorità, per poi aprirsi agli
altri. Questa è la peculiarità della poesia.
La Dell’Agnese è contro ogni forma
di autoreferenzialità, come già si è detto.
3.
Compito
della poesia: riconoscere in sé tutta l’umanità e quindi interpretare e
condividere i sentimenti dell’uomo di ogni tempo e nazionalità, pur nel
cambiamento degli anni e delle forme espressive che mutano nel tempo, come
avviene in tutte le forme artistiche, non solo in poesia.
Un
pensiero ricorrente di questa poetessa nasceva dalla citazione di Marina
Cvetaeva, secondo cui “esiste un unico poeta, sempre!”. Forse è lo stesso
pensiero di Borges, per cui egli chiede scusa ai suoi lettori: di essere
arrivato solo un attimo prima di loro ad esprimere quanto tutti sentono nel
cuore, ma non hanno scritto.
La
Dell’Agnese, che leggeva spesso poesie in incontri pubblici e conferenze - come
capita a me da anni al gruppo di poesia Tempo
di Parole - notava l’intensa compartecipazione e commozione dei presenti
proprio per i succitati motivi. Diceva: “il sentire è suddiviso in minutissimi
frammenti nell’animo di ogni uomo, anche se a qualcuno, per un particolare
talento, è dato di poterlo con maggior forza manifestare e rivelare”.
Mentre
vi lascio alle due ultime letture, ribadisco che questa poetessa mai si è
allontanata da se stessa e dal suo mondo e, con grande coerenza di pensiero e
di scrittura, è riuscita ad attraversare il cuore dei lettori, pur portandoli
oltre alle emozioni, alla riflessione ed alla poesia pensante.
Se
un piccolo neo si deve ricercare in questa scrittura, forse va detto che, a parer
mio, lo stile è eccessivamente legato alla tradizione lirica italiana un po’
retrò. In questi anni tendiamo a sfrondare ridondanze, cerchiamo la sintesi, la
lapidarietà dell’assunto, l’immagine immediata e folgorante, l’intensità di una
metafora o di un ossimoro. Del resto mi pare fosse questa la strada che la
poetessa intendeva percorrere nei suoi ultimi anni, riguardo al proprio stile
di scrittura. Ne fanno fede i due inediti che vi propongo e con cui vi lascio:
Il
primo, I duellanti, decisamente moderno,
il secondo, Cattedrali del duemila,
forse rimasta da rivedere.
I duellanti
Ci fossimo mai sfiorati, noi
duellanti senza misericordia,
che mangiavamo ogni giorno
il pane della discordia
e bevevamo veleno.
Noi, corazzati dietro le porte chiuse,
assediati dagli anni dalle cose
che
ci guardavano senza intervenire,
le cose mute, pazienti, che ci
vedevano
morire.
Avessimo, mentre oltre le sbarre
il sole scoloriva, deposta la
spada,
le visiera, l’abito di ferro, e
piano,
ci fossimo almeno sfiorati con la
mano
sulla pelle nuda.
*
Cattedrali del duemila
Splendidi gusci ma di conchiglie
morte, adagiate su torbidi
fondali.
E noi, giunti per disuguali
percorsi,
accampati come soldati ubriachi
dentro sacri recinti che videro
– oltre notturne porte dischiuse
per preghiere oggi dimenticate –
sorgere dei e dee dispensanti
grazie doni e, forse, felicità.
Incapaci oramai di decifrare
i nostri e gli altrui sogni,
noi, tra stipiti violati,
scorgiamo
solamente l’oscurità che preme.
Bruna
Dell’Agnese, originaria di Borgomanero, è scomparsa nel 2017. Le sue raccolte
di poesia: Stanza Occidentale (presentazione di Attilio Bertolucci, 1985),
Bassa marea, Correndo l’anno, Nel fruscio del quotidiano, Gli improbabili
confini (2004), ricapitolate nel volume Sul confine del tempo – Poesie
1985-2009 (Moretti & Vitali, 2011), Geometrie imperfette – le ultime poesie
con prefazione di Silvio Raffo (Puntoacapo Editrice 2019). E’ stata anche
traduttrice di poeti: accanto alle poetesse del romanticismo inglese (Bronté,
Barrett Browning, Dickinson), Poe e poeti contemporanei come Charles Tomlinson,
o Mikos Radnoti). Ha pubblicato anche una raccolta di saggi dal titolo Il
teatro dell’assenza (Moretti & Vitali, 2007), la raccolta di racconti Il
messaggero del Prado (Greco & Greco, 2009) e un saggio sul Lago d’Orta,
scrigni di luci (Alberti, 2006), illustrato dal pittore Carlo Rapp.