giovedì 22 marzo 2018

Ruah di Davide Zizza (Edizioni Ensemble 2016) - selezione di poesie

«In principio fu il verso»,

il respiro creatore, il ritirarsi di Dio
 alle sponde dell’infinito.

Farsi da parte per fare spazio.

Così se ti osservo e respiro il tuo nome,
così senza prendere spazio

mi ritiro per vivere nel tuo soffio.


La musica del Bereshit
Prima fu silenzio. Il tempo non scandiva nessun ragtime umano.
Non c’era la nota che dava l’attacco per il concerto.

C’era solo un principio senza violino. Senza pianoforte.
Senza shofar. Era solo un caotico silenzio: di morte.

Poi un soffio. Un lungo soffio portò l’amore.

Una lunga nota profumata portò l’ordine e la chiara geometria.

Il canto degli alberi e dei campi allietò il cuore.
Cominciò ad esistere dal nulla lo spartito. Il decagramma.

Tutto fu. Nella musica della Creazione.



Il verbo del giorno

Il verbo del giorno – latrare

di cani di là dall’isolato,

odore di strada bagnata,

chiacchiericcio di donne e madri alla finestra,
sonetti di uccelli
tipo botta e risposta (i rumori

della città sono rimasti altrove):

la mattina colleziona voci stese al sole.


Alla voce epifania
Rappresa la memoria come una macchia,
il ricordo avanza nel corridoio,
ipotalamo sotterraneo

che dal meridiano
raggiunge il soggiorno, la lampada, gli odori –
assembramento familiare

che la mente riconosce;

rileggo Rilke, la sua orfica sostanza
si sovrappone al silente

ossimoro di un giorno piovasco;
l’udito accompagna la percezione,
nell’angolo del dagherrotipo

gli occhi intercettano il vuoto.

La memoria è una lenta fuga,
parafrasi del tempo

alla voce epifania in lettera minuscola.


Davide Zizza (1976) è nato a Crotone, dove attualmente vive. Dopo la plaquette Mediterraneo (2000), ha pubblicato la raccolta di poesie Dipinti & Introspettive (Rupe Mutevole, 2012). Un suo breve saggio, La lettura e la scrittura come etiche dell’ascolto, è presente nel volume collettaneo Ascolto per scrivere (Fara Editore, 2014). Ha pubblicato in Grecia alcuni articoli dedicati a Salvatore Quasimodo, Jules Laforgue e Robert Lowell. La sua seconda raccolta di versi, Ruah (Edizioni Ensemble) è del 2016. Successivamente la sua poesia Pop Art Marilyn, dedicata a Marilyn Monroe, viene pubblicata nell’antologia Umana, troppo umana curata da Fabrizio Cavallaro e Alessandro Fo (Nino Aragno Editore, 2016). Altre poesie, fra cui Cartolina di Mallarmé, L’ironia di Ulisse, La musa dell’uomo solo, Pesca notturna, Quasi, Nello stupore che precede, Ferita, vengono inserite nell’Almanacco “Quasi a filo di luna” (LietoColle, 2017). Lacinion (dedicata al Promontorio di Capo Colonna) viene inclusa nell’antologia Come sei bella. Viaggio poetico in Italia, curata da Camillo Langone (Aliberti Compagnia editoriale, 2017).


martedì 20 marzo 2018

"In che luce cadranno" (RPlibri 2018) di Gabriele Galloni letto da Melania Panico

“I morti tentano di consolarci/ma il loro tentativo è incomprensibile;/ sono i lapsus, gli inciampi, l'indicibile/ della conversazione": così comincia il libro di Gabriele Galloni e in questi versi tutto il progetto e la domanda. Quando il progetto/libro può dirsi veramente riuscito se non quando innesca nel lettore una domanda? Una domanda che raggruppi tutte le domande, lo scavo nell'incomprensibile a cui lo stesso autore fa cenno. L’indicibile. C'è qualcosa che riguarda il nostro essere umani, terrestri, fragili, che ci sfugge, che sfugge alla nostra comprensione come se contasse solo la metafisica dell'accettazione. Molto di tutto questo è nel libro di Galloni dal titolo “In che luce cadranno”. Cadere e a che prezzo, se il prezzo è la luce. Il filo sottile tra questo e quello, una realtà e un'altra realtà e la costante domanda se questa sia la realtà che ci appartiene davvero o sia tutto frutto di una distonia, di una mancata percezione e cosa è questa percezione.
“I morti guardano alla luna come/un errore, uno sgarbo del creato/ pensano infatti che sia cosa messa/ lì per illuderli (non percorribile)”: pare poi a un certo punto che i due mondi siano perfettamente intercambiabili, le stesse ostilità, le stesse rese, le stesse maschere: “i morti continuano a porsi/ le stesse domande dei vivi". In questo mondo parallelo/non parallelo può capitare che i morti facciano degli errori, che ci siano delle pause. La pausa: il segreto inconfessabile e il sorriso di chi ha compreso il segreto.


I morti tentano di consolarci
ma il loro è un tentativo incomprensibile:

sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile
della conversazione. Sanno amarci

con una mano – e l’altra all’Invisibile

*

I morti continuano a porsi
le stesse domande dei vivi:
rimangono i corsi e i ricorsi
del vivere identici sulle
due rive. In che luce cadranno
tornati alle cellule.

*

Giorno di Marte: i morti si separano.

Ognuno va secondo un suo segreto
desiderio. Raccolti, i fiori, vengono

distribuiti ai passanti del caso.



Gabriele Galloni è nato a Roma nel 1995. Studia Lettere moderne all’Università La Sapienza. Ha pubblicato Slittamenti (Augh Edizioni, Viterbo 2017) con una nota di Antonio Veneziani.

lunedì 19 marzo 2018

Il tratto dell'estensione (La Vita Felice 2018) di Adua Biagioli Spadi - poesie scelte

La linea fragile

  “Notte fonda. Mi sono alzata e tutto mi gira intorno.

Ho paura di quello che scriverò”

  (D.Grossman)

 

Sempre la fragilità si dirige sommessa alla deriva

nello slaccio d’abbandono del sentire,

è la lacrima a cogliere la perfetta stanza

della noncuranza,

incauto nascondiglio della goccia                                        

il passaggio della scesa,

là dove l'arrestarsi precede il dardo, la caduta

l'affidarsi estremo, disorientato abbraccio.                          

 ***

 Dagli scomposti sensi della nuvola                                     

prende forma l’astratto ricomporsi, ariette nuove                

resta il volto frastagliato dell'amore                                     

oltre il sasso nero,                                                                 

secolare aggrumo di un evento fermentato.

Ripartirò da qui, dall'incendio dei colori

luoghi incerti della brezza.    

                                              

***

Ogni accadimento sottrae qualcosa

porta in un limbo

al faro rotto e ai frantumi delle foglie

la svirgolata viola sopra l’occhio perde i sensi,

i pensieri furono intarsi del non so più chi sono:

le onde fisse nella notte di Munch

l’urlo silenzioso in volto – nessun messaggio -

solo il linguaggio muto del cercare vita.

 

***

Ci vogliamo esatti

se siamo un connubio di ortiche                                           

sfiorati negli angoli e punti                                                  

consapevoli del tedio

sulle mani nessuno ci coglie più.

Non siamo i fiori del gelsomino garbato

allungati per necessità ci rinnova l’acqua battesimale

eppure

siamo riflessi felici delle felci,

così fa il tempo con le nostre mancanze

offre ancora motivi per farci riconoscere.

 

Il segno possibile

 

 “Non dobbiamo estirpare il bulbo del fiore a ogni minuto

per misurare la lunghezza della radice”.

  (D.Grossman).

 

Mi lascio sfogliare da un flusso smisurato,

sono le betulle fuori operanti e timide

a contare le strette di mano e i fallimenti,

sirene inabissate tormentano l’infinito                                             

sei tu il rigo informe dell'acqua dove affollano i versi                     

quei lontani orizzonti di fluidi e materie,

lo sconfinarsi umano della possibilità.

 

***

 Talvolta la realtà si spunta rende soli e ci sparpaglia,                     

ci rende esploratori di un ideale possibile

di un percepire ancora e presenza.

Ma quando l'elastico a colori sfumando si allenta                           

cerco io uno sguardo fermo da non spartire mai

afferrando le sbavature di molteplici verità,

mi inchino prudente al varco limpido dello scoglio.

 

 

***

Qualcosa ci dimentica su un davanzale                                           

il geco piatto sul muro

incurante di un giro degli occhi,

moltitudini gazzelle fermentano steppe cremose

qualcosa trapassa e infrange quello che sono stata

ricompongo le superfici su cui cammino

i sogni sono gradini o salite.

Le distanze  metri o minuscole fugacità.

 

 ***

Non ho mai smesso di scoprire il tracciato del bosco

riporta coriandoli e luce di aironi,

i vecchi stecchi hanno varianti intricate,

lumache respirano piogge residue.

Mai ho voluto rinunciare a cosmiche dichiarazioni

che valgono mille notti di scettri:

ci sono brevità stellari nell’incanto

metamorfosi nell'ascesa straordinaria dell’anima.

Così fanno i poeti quando consegnano i diamanti:                                     

estraggono quelli corrotti e incidono versi sulle foglie,                               

sollevano il segreto del vento.

 

***

Strilla il campo al canto dell’usignolo

quando lascia impronte sulle terre fresche

annotta a Est la danza delle barche

quando lo stormo dei susini saluta le nostre ciglia

bianche sono l’aria le tue mani e il giglio di Ophelia

svela il sogno seducente delle perle,

è troppo blu lo scarto fra le dighe al vento

quando ci si lascia così senza una parola buona,

la città è perduta forse

ma non per chi si ama per sempre.

 

Perdersi non più

 

 “E non voglio che tu sia per me un parafulmine.

Perché dovresti parare i miei fulmini?

Al contrario, sai? Vieni e dimmi: sii luce!”

(D.Grossman) 

 

***

Perdersi non più,

ti cercherò altrove

oltre il tempo di un sovvertito spazio

di improbabili equilibri.

Il divenire è evoluzione,

meta umana della genesi.

 

***

Gli occhiali si sono plasmati al naso

annegati  nell’impulso del gesto rarefatto

lentamente

non ce ne siamo accorte mai e ora siamo tornate fragili

siamo passate per la semioscurità delle stanze aperte ai mari grandi

ingoiati dai delfini, navi senza àncora.

Mi lascerai il mistero del mondo, di questo ne ho coscienza

un pulito labirinto nell’ultimo cerchio indistinto.

Quando sarò infine io quel buio, ti cercherò incisa nel sangue.

 

***

I torrenti misurano i millenni, passi

fanno somma,

il tempo si accosta fedele alla puntualità delle cose,

prima del ricercarsi il cielo torna chiaro

ha fatto i conti con le intemperie

ha determinato le sottrazioni

per questo le follie tornano sempre in numero pari.

 ***

Gli incontri sono avventi afferrati in volo

sguardi-luce tenuti stretti in un carpe diem,

eppure a volte

sulle nostre verità si allungano i capelli delle ombre.

Non saprò più niente delle strade oltre i cancelli

degli scatti in bianco e in nero dei tuoi viaggi

degli occhi miopi,

il tempo ci disarma, ha la forza dell’unire e del dividere

porta via il pensiero e lascia quieti 

memoria dimenticata, digiuni eppure senza fame.

 

Adua Biagioli Spadi, pittrice, Maestra d’arte e Operatrice Culturale opera a Pistoia; presente in numerose pubblicazioni antologiche di premi letterari nazionali e internazionali, tra cui Ambrosia, presentata ad  EXPO’ 2015 - Milano, e “Novecento e non più. Verso il Realismo Terminale” presentata alla Fiera di Roma 2016 ed. La Vita Felice (MI), in Agende Poetiche (Ibiskos Olivieri – Otma Edizione) e Collane Letterarie - Schegge d’Oro - Montedit ed.; Agape (La Vita Felice). Socia di diverse accademie letterarie, a Giugno 2015 pubblica l’Opera Prima “L’Alba dei papaveri” – Poesie d’amore e identità- Edito ‘La Vita Felice’ (MI), 2° Premio Letterario Giovane Holden 2016 per la sezione poesia edita e finalista al premio letterario Alberoandronico 2016. Interessanti recensioni sul libro si trovano su riviste letterarie (“La Nuova Tribuna Letteraria”/ “Qui Libri”).
A Maggio 2017 pubblica “Farfalle” – Gaele Editore, un piccolo libro d’Arte a tiratura contenuta di pezzi unici contenenti unica poesia e disegni dell’autrice.
Da Luglio 2017 lo stralcio di una poesia tratta da “L’Alba dei papaveri” viene scolpito su stele in pietra serena e ubicato in località San Pellegrino di Sambuca Pistoiese per la valorizzazione della cultura e della montagna (Progetto culturale Parole di Pietra).
Cura il Sito Internet www.aduabiagioli.it.