domenica 30 gennaio 2022

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: "La guerra di Annina e i camminanti" di Beppe Mariano (DiFelice Edizioni 2021)

foto di Dino Ignani
La Lettura condivisa di oggi vorrei fosse concretamente tale di nome e di fatto, perché intendo proporvi un lavoro la cui lettura mi ha davvero colpita sia per l’originalità dell’architettura globale, sia per la vastità e complessità del tema, sia per la trattazione che sa rendere poetica, fantasiosa, direi quasi leggiadra, una materia di per sé ponderosa e di notevole serietà. L’accostamento di strofe di poesia di grande rilievo concettuale a una prosa che presenta in sé aspetti poetici offre una resa di enorme suggestione, esaltando con leggerezza in progressione geometrica la portata di un contenuto forte, che abbraccia un punto di vista umano, sociale, civile. Un risultato sorprendente, credo, per il lettore, così come sono stata ammirata io dall’efficacia globale del testo, dalla ricchezza di riferimenti storico-culturali e dal conseguente numero di chiavi di lettura possibili.

Il libro La guerra di Annina e i camminanti, DiFelice Edizioni 2021, ha come autore Beppe Mariano, poeta italiano tra i più noti dagli anni ’70 del Novecento. Inserito internazionalmente tra i trenta poeti più importanti dell’ultimo cinquantennio, dà spesso alle sue opere un respiro dinamico di teatralità: si è laureato infatti in Storia del teatro e ha scritto in passato come critico teatrale sui quotidiani torinesi. La sua poesia è stata oggetto di tesi di laurea, ha ottenuto negli anni premi importanti: il ‘Pavese’, il ‘Gozzano’, il premio ‘Ada Negri’. Nel 2019 gli è stato conferito il ‘Premio Gozzano’ alla carriera.

Non è mai facile la scrittura in ‘prosimetro’: la parte in prosa deve sapersi accordare con suggestione poetica alla parte in versi per non creare dissonanze o, peggio, fratture e del resto la poesia deve riuscire a sintetizzare, in maniera evocativa e struggente, la narrazione in prosa.  È una questione di equilibrio, ove la prosa deve diventare poesia e la poesia deve farsi anche narrazione di eventi, ma come percepiti dall’anima  dei personaggi protagonisti, cioè in un modo che vada oltre la storia ‘oggettiva’ dei fatti come dolorosa epopea di tutti, come struggente nostalgia di una storia non vissuta, che poteva essere e non è stata. Resta una quotidianità minuta, l’adesione a tradizioni fantasiose e un po’ folli di una minoranza montanara, sopravvissuta alle intolleranze e alle stragi civili e religiose di secoli lontani.

La capacità dell’autore, nel rendere vivo in tutti noi l’eroismo giornaliero di vicende che partono dalla Prima Guerra Mondiale, non si spiegherebbe se questo stile tanto efficace e valido non affondasse le radici nella cultura artistico-teatrale di Mariano. La parte poetica del libro mi evoca il dire lirico del coro della tragedia greca, le parti in prosa riecheggiano l’azione scenica, il racconto, lo snodarsi drammaturgico della vicenda. Questo è un mio pensiero immediato, un indubbio riferimento culturale antichissimo, ma lo spirito è ben diverso da quello di un’amara, fatale tragedia. Qui le vicende, ricoperte dalla polvere del tempo, acquistano una patina di dolore pacificato, quasi di sorriso triste, sul fatalismo delle umane storie, così simili, generazione dopo generazione. Non c’è più acrimonia né dolore cocente, ma un clima elegiaco di ineluttabilità sugli errori umani che, seppure attutiti dal tempo, non perdono il senso di una doverosa condanna, né tantomeno possono essere cancellati. Carnefici e vittime non sono mai equivalenti. Non si può mai essere equidistanti: in ogni tempo, ieri come oggi, l’uomo onesto e ‘civile’ deve saper scegliere. Come dice il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky nel suo bell’articolo su Repubblica del 19 gennaio 2022, “non si può, per esempio, essere equidistanti tra i ladri e le guardie, tra gli evasori fiscali e i contribuenti onesti. Non decidere significa essere dalla parte dei ladri e degli evasori”.

Il messaggio poetico di Mariano si pone su questa linea di giustizia, di rispetto, di civismo (mutatis mutandis) e capita proprio a fagiolo in questo momento storico della nostra società liquida e scivolosa, dove tutto più o meno si equivale e dove la parola ‘responsabilità’ è spesso considerata desueta e facilmente superabile.

Come in un romanzo avvincente sarebbe un delitto raccontare la vicenda, ma qualcosa bisogna dire.  È un libro composito, come già vi accennavo. Il titolo già spiega il necessario.

Annina, maestra di montagna, per tutta la vita resta devota alla memoria del semplice contadino Minòt, suo amato, morto nella guerra di trincea del ’15-18 presso altre montagne, le Alpi Orientali, così uguali ma anche così dissimili dal natio Monviso piemontese, ma perché le arrivano ancora lettere dal fidanzato dopo la sua morte? Chi le scrive? Chi le ha sempre scritto? Mistero.

E chi sono i ‘camminanti’? Quelli che a piedi hanno attraversato per motivi diversi – quasi sempre dolorosi – e a fatica terre e paesi: dai monti piemontesi sono giunti al mare, così come dal mare, fuggendo a stragi e a intolleranze, giunsero con processo inverso ai piedi del Monviso i camminanti catari di Linguadoca, riportando nei villaggi isolati di montagna del cuneese favole, consuetudini, folclore lontano, per ritrovare un proprio passato trasfigurato dalla fantasia nelle nuove terre dopo la fuga da apolidi. Nei capitoli del libro, nel passaggio di generazioni si snoderà una pluralità di storie sorprendenti.

Ribadisco la bellezza di registro di Mariano che, con la poesia limpida e piena di immagini felici, incornicia la narrazione alimentando emozioni nel lettore e, viceversa, la narrazione fornisce la meditazione su fatti storici passati e purtroppo presenti, dove la zampata del poeta e della sua fantasia creativa nobilita il tutto, vuoi con una metafora, vuoi con un’immagine inattesa, una fantasticheria, evitando la prosaicità di un racconto.

Tutto il libro appare meditato con raffinatezza e grande cura nei minimi particolari, eppure il risultato è di semplicità evangelica rara. I riferimenti culturali vanno da quelli biblici, relativi al senso della sofferenza ‘gratuita’ dell’uomo del Libro di Giobbe, all’idea del viaggio di Odisseo dentro e fuori di sé, allo studio e ai riferimenti della civiltà occitana medioevale. Le tradizioni sono tuttora vive (‘l’asino vola dei bambini’, qui ‘il volo della capra Neve’), le masche (presenze stregonesche, misteriose, di grande fascino, che appaiono in concomitanza di anomali fenomeni naturali e con essi si mescolano e influenzano l’uomo). In certa parte del Piemonte queste favole fantastiche ancora sono presenti in discreta misura e non solo nelle notti invernali o del carnevale.

Altri riferimenti veloci troviamo nel testo di Mariano: il Perelà di Palazzeschi, per esempio, o Platero, il protagonista di Platero y yo, di Juan Ramón Jiménez, o come la geografia filosofica di Niccolò Cusano.

Un capitolo suggestivo è quello del racconto di Ismaele, il personaggio narratore per eccellenza (dai tempi di Moby Dick), dove poesia e prosa sono inframmezzati; ma provate a leggere le parti in poesia di seguito e troverete un canto di epopea umana, non solo bellico. A leggere invece di seguito le parti in prosa vivrete un viaggio dei Magi alla Eliot, ma più violento perché più violento è il mondo di oggi, purtroppo. E il Cristo di oggi assume l’umanità della donna, non è più di genere maschile, perché sono le donne in questi tempi bui, in ogni parte del mondo, ad essere perseguitate, sfruttate, violentate, uccise quasi ogni giorno.

NB: nelle citazioni dal libro, seguo puntualmente il testo nei suoi caratteri grafici: ‘normale’ per la parte più discorsiva, ‘corsivo’ per la poesia. I frequenti puntini di sospensione segnano i tagli da me necessariamente operati nel poemetto, per darne una prova sufficientemente chiara al senso e all’intonazione, pur in una ricostruzione frammentaria.

 

dal capitolo: Ismaele

 

Secondo un antico greco era il cerchio

la perfezione cd io desideravo percorrerlo a mia volta

girando intorno alla terra.

Ma soltanto sull'acqua. Da un oceano all'altro.

A quel tempo la terra non m'interessava.

Ma ora la stella cometa mi ha imposto

di sbarcare. Di iniziare a camminare

nella sua direzione, come un antico magio.

Quando ho veduto la stella nel suo fulgore ho notato però

che non indicava come avrebbe dovuto la Palestina.

Ho cominciato a seguirla, camminando.

A un certo punto ho incontrato due magi

dai fuoristrada bardati, carichi di doni.

Ho chiesto di potermi unire a loro.

Solo se avessi portato doni a mia volta, mi avrebbero

accolto. Ma io non sono un magio benestante, ho il

salino del mare e le carte nautiche impressi sulla pelle.

Il cuore e la mente non sempre li posseggo.

A Roma non ho trovato la baracca

di immigrati, lungo il Tevere:

era stata abbattuta con altre abusive.

Parecchi erano nati alla mezzanotte di Natale.

(Si era svolto un concorso televisivo

per la maternità più prossima all'ora fatidica ... ).

Erano nati però in case confortevoli.

Tutti benestanti, tranne uno.

Pertanto sembrava facile la deduzione. E invece ... Quell'uno era una bambina!

Era nata in un vicolo, pressappoco dove sua madre era

stata stuprata nove mesi prima.

 

Dimenticavo un’annotazione fondamentale, a parer mio: la bellissima epigrafe, determinante, insostituibile per la comprensione del testo. Questi versi, tratti dalle Elegie duinesi di Rilke (la nona) animano tutta l’opera nella ricerca dell’approdo all’Oltre e al senso ultimo dell’esistenza al di là dei limiti dell’uomo e della sua sorte del tutto effimera anagraficamente.

 

Vive ogni cosa

una volta, una sola. Una soltanto

e non più, Pure noi, solo una volta,

una, e non più. Ma questo essere stati

una volta, e sia pure una soltanto,

vivi, nel mondo, è cosa incancellabile.

 

Non è facile estrapolare parti di questo poemetto, un tutt’uno così strutturato e armonico. Consigliandone la lettura, vi riporto ancora qualche spezzone, giusto per assaggio.

 

dal capitolo:  La guerra

 

Minòt, nelle lettere, si riferiva non soltanto alla vita di

trincea, alle baionette ogni alba lucidate, alle sortite e

agli assalti, ai comandanti burberi, alle gavette con il

poco rancio; si soffermava anche sugli insetti,

insieme nella stessa trincea, sui vermicelli che ogni

giorno comparivano dalla terra smossa dagli scarponi.

 

Minòt li descriveva come compagni

di ventura, ignari di partecipare

a una guerra. Anche lui avrebbe voluto

essere come loro, innocenti nella

propria vita naturale (ma aveva

dimenticato un motto contadino:

"El grand a mangia 'l cit": motto che ricordò quando,

affamato, dovette cibarsi di vermi).

 

Oltremonte vi è un monte ancora

e ancora un monte.

Ma raggiunta la cima,

altre se ne scorgono

intorno più alte.

Nel ricordo indugia la parola

si fa ogni volta cima da scalare.

invece che lenire si riapre la ferita.

Si vorrebbe solidità rocciosa

(il Monviso invece sta sgretolandosi ... )

l'eco d'una parola condivisibile

(ma ognuno frana per conto proprio).

 

Sarà la terra ad andar via da noi.

 

dal capitolo: Annina

 

Siamo le ombre dei caduti sopra il Piave

nelle cenge lungo le trincee.

 

Siamo pecci divelti o mutilati

arrovesciati nelle lande montane

dal ciclone che connota

la sofferenza della Terra.

 

I nostri corpi sono stati raccolti;

non tutti: qualcuno è rimasto

a macerare nel fango, facendosi bosco.

 

Oltremonte vi è un monte ancora

e ancora un monte.

Oltrecielo vi è ancora cielo.

 

Oltre l'Oltre vi è ancora Dio?

 

Nel passaggio delle generazioni troviamo un nipote e poi un pronipote. La terra al tempo del nipote è un pianeta artificiale, ormai innaturale.

 

dal capitolo: Il nipote

 

Come mio nonno, saliscendo monti

per poter presto navigare, ho lasciato la città,

come lui aveva lasciato il mare,

mi son fatto camminante.

Scorgo guglie amene di cattedrali rocciose,

ma appuntite in cima come lance.

… Il monte ha in sé

l’insidia: la bellezza può essere bifronte.

 

La Terra spande luce di alluminio

sulla plastica pantagruelica, sui residui atomici interrati,

a tal segno che se Astolfo dalla luna la guarda

deve sembrargli una sfera ... alluminiata.

 

Il pronipote approda, dopo un viaggio astrale, nei silenzi apocalittici siderali e a un pianeta sconosciuto

 

dal capitolo: Il pronipote

 

È ripartito. Non più per mare,

come suo bisnonno, marinaio di petroliera.

 

Progettava di andare in una direzione definita; ma

sospinto dal vento cosmico è approdato invece a un

pianeta, ancora non sa quanto inospitale.

 

Vi ha scoperto una montagna che sembra

il Monviso di suo bisnonno e di Annina.

 

Ha la cima appuntita di una matita

(la comparazione gli ricorda che deve

fare la punta alla sua che ha portato con sé:

la più semplice delle cose terrene

che degli avi mantiene accesa la brace).

Ora gode, ora soffre l'infelicità della solitudine.

Ma il bisogno di sopravvivere lo impegna e ogni

giorno scopre qualche cosa intorno a sé, e di sé.

Neppure è certo se questa che sta vivendo sia la realtà,

o una sua simulazione.

 

Guarda il cielo attorno e meravigliato si chiede,

quasi fosse tornato ragazzo,

 

se il cosmo possa essere pensato ancora

come un infinito circoscritto

da un poeta.

 

Questa è la conclusione dell’opera.

In effetti si mescolano ‘realtà’ e ‘simulazione’, concretezza e fantasticheria. Il tutto è davvero un “infinito circoscritto da un poeta” dotato di realismo critico e di selvaggia creatività:

si chiama Beppe Mariano.

 

martedì 18 gennaio 2022

Fili di condivisione a cura di Marvi del Pozzo: "Poesie future" di Carla Malerba (Puntoacapo edizioni - 2020)

Questa nuova breve rubrica a scadenza variabile intende accompagnare gli autori già in precedenza presentati in Letture condivise, segnalandone i lavori ulteriori. Come si sa, la poesia crea legami misteriosi e profondi che perseverano nel tempo.

Oltre che rispondere a un desiderio di completezza informativa, la rubrica intende mantenere un filo di condivisione e di consolidamento di rapporto umano e artistico tra autore e lettore. 

 

Carla Malerba

Poesie future

Puntoacapo edizioni 2020

 

Segnalo oggi il bel libro Poesie future di Carla Malerba, di cui abbiamo presentato Di terre straniere in settembre.

Questo volume, edito nell’estate 2020 da Puntoacapo edizioni, è snello e sintetico nella struttura (consta di una trentina di testi), ma succoso e profondo nella sostanza. Segna il cammino di maturazione dell’autrice che, indagando in se stessa, coglie nelle contraddizioni dell’animo umano tutta la fatica della complessità del vivere. Ma la resa in poesia di questa poetica, disincantata e certo più amara rispetto al libro precedente, trova la stessa chiave formale di assoluto incanto, di limpidezza, musicalità della parola, sonorità olimpica del verso.

Il volume ha vinto in luglio il premio Fondazione Pascoli.

Fili di condivisione a cura di Marvi del Pozzo: "Il fruscio del silenzio" di Marcello Croce (Edizioni della rivista Amodo mio 2021)

Questa nuova breve rubrica a scadenza variabile intende accompagnare gli autori già in precedenza presentati in Letture condivise, segnalandone i lavori ulteriori. Come si sa, la poesia crea legami misteriosi e profondi che perseverano nel tempo.

Oltre che rispondere a un desiderio di completezza informativa, la rubrica intende mantenere un filo di condivisione e di consolidamento di rapporto umano e artistico tra autore e lettore.

 

Marcello Croce

Il fruscio del silenzio

quindici poesie

Edizioni della rivista Amado mio 2021

 

Di Marcello Croce, poeta sensibile e schivo, di cui parlammo per Letture condivise nel novembre 2020 a proposito della silloge Risvegli, segnalo oggi Il fruscio del silenzio – quindici poesie, uscito nel settembre scorso per le Edizioni della rivista Amado mio 2021.

Sono voci sommesse, appena accennate, che nascono appunto come un fruscio del silenzio e del silenzio hanno tutta la pregnanza misteriosa, tale da riempire, come l’aria impercettibile ai  sensi, ogni spazio dell’anima e del cuore. Sono voci che solo una mente intuitiva della natura e delle cose percepisce a sprazzi in modo arcano, per poi dar loro un corpo di parole sulla carta e parteciparle così a chi, leggendo, capisca magari di possedere lo stesso dono-condanna di respirare oltre la quotidiana materialità.

Una chicca squisita, senza tempo e senza confini.

Sono grata a questo autore per l’ultima delle quindici poesie e lui sa il perché.

Ripeto, un libretto senza età al di là di ogni moda letteraria.

 

 Marvi del Pozzo

domenica 9 gennaio 2022

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: "L' acqua è seminale" di Riccardo Giuseppe Mereu (Quaderni del bardo 2018 e-book)

Incomincio la nuova annata di Letture condivise con una interessante silloge L’acqua è seminale, Quaderni del Bardo 2018, di Riccardo Giuseppe Mereu, edita solo in forma di e-book.

Sono approdata a questo autore, in precedenza a me sconosciuto, grazie a una sua poesia inserita nell’antologia Dalla stessa parte – uomini contro la violenza sulle donne, libro di cui mi occupai nell’ultima lettura condivisa del 2021 (a cui eventualmente rimando). Incuriosita favorevolmente da quell’unico testo, sono giunta al libro di Mereu in forma di e-book – che non prevede purtroppo una versione cartacea – ma che mi ha permesso la conoscenza della poetica dell’autore nonché qualche notizia in merito alla sua persona.

Originario del Sud della Sardegna, laureato in Giurisprudenza, vive e lavora da circa sette anni a Pavia, ove si trasferì per frequentare un master universitario. Anagraficamente, essendo nato nel 1971, è un cinquantenne, ma per fisico, per spirito, per varietà di impegni e di interessi artistici è un ragazzo, appassionato a sperimentarsi in tutte le arti performative che lo mettano alla prova al fine di conoscere meglio se stesso e le vocazioni-direzioni in cui andare a parare nel suo futuro. Sono belle queste manifestazioni di giovinezza e di onestà di ricerca: è stimolante ed esemplare per tutti questo non adagiarsi mai sulle posizioni acquisite, ma cercare nuove strade in ogni campo, porsi sempre nello spirito di conoscere, indagare, scoprire possibilità ulteriori, al fine ultimo di penetrare di più e meglio negli abissi di sé e in questo mondo, nostro habitat.

Il primo e tra i più antichi messaggi filosofici occidentali, il conosci te stesso socratico, è evidentemente alla base dell’agire di Mereu, anche se questo spirito di attivazione verso ogni forma di ricerca personale rischia di portare alla dispersione. L’autore stesso riconosce con ironia questo suo aspetto poco concentrato su obiettivi unilaterali, ma proprio qui si svela il fascino dell’intelligenza perché mai comunque, in ogni sua performance, risulta scontato o banale: sempre la sua parola lascia una riflessione di stimolo per gli altri. Dice di sé: avrei voluto fare il geologo spaziale, non sono diventato neppure avvocato, adesso correggo libri [e li scrive, dico io]: ho un karma un po’ indisciplinato.

La raccolta di poesie che presento oggi è figlia di tale temperamento artistico, originalmente disordinato: eredita dall’artefice qualche mancanza organizzativa che può disorientare il lettore e che viene acuita dalla forma dell’e-book. Risulta evidente a questo punto che l’effetto disorientamento è voluto dall’autore, in una silloge che mette tutto in discussione. Persino il punto ’fermo’, l’acqua del titolo – origine di ogni vita – diventa ambivalente, madre e matrigna: sicurezza del mare amato della Sardegna, radice e rimpianto, e tragedia di un mare ostile, tomba senza lapide per troppi (pensiamo al tema dell’immigrazione). Il cielo che, stellato è foriero di pensieri rasserenanti di ordine cosmico e di pace per l’uomo, è anche luogo di caos primordiale, di buchi neri, di deflagrazioni solari, di morte di stelle…

Tutto è ancipite, sconcertante: in ogni campo mancano certezze, così nei rapporti umani, nella società, nella politica. I punti di vista si ribaltano spesso, negativo e positivo non sono così determinati e chiari. Male e bene si confondono in ogni campo, anche all’interno di noi stessi. Forse il vero punto fermo è proprio il caos dell’Universo con cui dobbiamo fare i conti intorno a cui dobbiamo costruire la nostra filosofia di vita. Allora anche qualche incoerenza o disorganizzazione, nel sistema di un libro di poesia, trovano motivazione intrinseca.

Per venire alle poesie, anche queste sono presentate in varietà di forma, ora in un lessico ricercato, raffinato, ora gergale o crudo; la struttura ora risulta composta, ampia, quasi discorsiva, ora è lapidaria, essenziale, in una sommatoria però di metafore lancinanti, ana-logiche, di sferzante emotività.

Personalmente prediligo in poesia forme brevi, sintetiche, rispetto a componimenti più estesi, narrativi, espositivi di riflessioni filosofiche. Li apprezzo un po’ meno – lo confesso – in quanto di primo acchito mi verrebbe spontaneo addirittura porvi mano, per arrivare a un suono più ritmico-musicale e a un contenuto più essenziale. Peccato mortale, addirittura, questo pensiero! Non si tocca mai il lavoro altrui! Per me la discriminante tra prosa e poesia consiste proprio in questo: nel raccontare poco e suggerire molto, nell’avvicinarsi il più possibile ad un’evocazione di tipo musicale, nel privilegiare il significante sul significato.

La scelta dei testi oggi, seppure dettata dal gusto personale, comprende – per amore di oggettività – anche poesie più lunghe e ‘raccontate’, in cui peraltro compaiono alcuni versi bellissimi di dilaniante espressività poetica, va detto.

 

The loop

Sempre lì, da quando sono qui,

quell’albero verde; la radura

gialla, come un’estate eterna.

Io non ho un’immagine d’inverno

come cielo senz’azzurro,

e tutto il resto intorno

un semplice contorno.

Se fosse primavera e sembra estate?

Anche l’estate è estrema,

con le abbondanti sudate

e le zanzare della notte:

dagli effetti misuro i fantasmi,

le particelle senza dio.

Io non so stare indifferente ai dogmi:

prendo una scala e mi tuffo nel mistero!

È un trucco troppo estremo

e sempre solo per un bacio.

Potrei benissimo morire

per due labbra rosa

come l’umido della prima volta,

tutto sull’autunno della pelle:

arrossisce e poi dilata i pori.

Avrei bisogno di un gesto diverso,

adesso, più fisico e leggero

o metafisico e sincero,

comunque onesto

come un muscolo dolorante

frena il respiro, dilata il tempo,

resta in ascolto, teso e materno.

Manca solo l’andare e il venire

del mare, mentre tu resti neutrale;

manca solo il venire e l’andare

del mare, mentre tu resti irreale;

manca solo l’andare e il venire

del mare, mentre tu resti a guardare

irreale, sensuale, neutrale

tu: l’andare e il venire del mare.

                                                           Pavia, 29 luglio – 7 novembre 2017

*

Meno male

Ogni mattina è una speranza nuova

con una voce sorpresa e contenta

mi sveglio dal lato grato del cuscino

anche dopo la notte più profonda.

 

Cosa accade al mondo quando sogniamo?

E dove finiamo?

 

Vorrei arrivare ai confini di un buco nero

e davanti a quel vuoto degli eventi

pregare tutta la luce sepolta

almeno in sogno.

Pavia, 12 febbraio 2018

*

Quando parto

Quando parto non so più tornare.

Quando torno non so più partire.

 

E mi chiedo dove sia, ora,

quel bambino con la voglia di giocare,

con il sogno del segreto dell’amore,

con tutti i nomi ancora da chiamare,

con tutti i giorni ancora da scoprire,

con tutto ancora da sprecare.

 

A cosa sono serviti

i giorni senza scopo,

i giorni bruciati dalla noia,

dal dolore, dalla fatica di non capire?

 

Vorrei farne un grande mucchio

e guardarli tutti insieme:

mi sfugge la chiarezza,

se non so guardare il sole.

 

Quando parto non so più tornare.

Quando torno non so più partire.

 

Il senso controvento

di un andare contropiede

m’imprigiona al tempo

di decidere il presente

come un futuro decisivo e uguale

a ogni mio pensiero dissoluto.

Ma dimentico i dettagli decisivi,

quelli cruciali assolutamente,

nascosti nelle pieghe del pensiero che non vede

al di là dei confini innaturali

dell’abitare lontano dal mare.

 

Penso, ripenso, dimentico il cielo,

recito un ricordo come a scuola…

torno a coltivare le macerie.

 

Quando parto non so più tornare.

Quando torno non so più partire.

 

Ho contato tutte le stelle

mi aspettavano schierate

come un plotone d’esecuzione.

Ho guardato in faccia la decisione:

un tratto rosso e sono evaporato

come minestrina bollente

nella stagione sbagliata.

Ho concepito giornate aride

mentendo pure al sole.

 

Quando parto non so più tornare.

Quando torno non so più partire.

 

E la malinconia mi assale

in qualunque direzione.

Pavia, 28 febbraio – 31 marzo 2018

*

E se il cielo cadesse improvviso

come un incubo vichingo

sarebbe un mare d’occhi

nascosti dentro il buio

la curva grammometrica del tuo profilo

i buchi neri più feroci della mente.

Forse è solo una coincidenza di coincidenze.

Cagliari, 8 marzo – Torino, 10 maggio 2018

*

L’altro da me

Sono io l’altro da me

quando non sono te.

L’acido corrode il tempo all’alchimista

sacro, se ne infischia del nuovo mondo,

del nuovo modo arraffa e spurga

circonvenzioni d’incapacità.

Il canone è biondo, il canone è blu,

se non ti spogli non sei più tu.

Sono io l’altro me da te.

Sono io l’altro me per te.

Quanto in me c’è di te

resta un effetto collaterale

di umanità, l’esperienza folle

di cromosomi che si scambiano memorie.

Quanto in te c’è di me

non lo so, mi fido del senso

del vento quando alza la sabbia.

L’altro è sempre altrove

nel deserto dei semi senza frutto.

Pavia, 5 – Torino, 10 maggio 2018

*

Dove? Come?

Sono così confuso…

E allora esco, altrimenti affondo

come una barca

priva di timone, solo con i remi

della volontà.

 

Dove ti trovo, quando mi sveglio?

Dove mi sveglio, quando ti trovo?

Cagliari 29 – Seneghe, 31 agosto 2018

*

Noi?

Tutte le idee nascono utopie…

Se i sogni fossero stelle

La notte non sarebbe più l’inchiostro di poesie,

solo il vuoto a perdere di solitudini di pelle.

Pavia, 29-30 settembre 2018

 

Ritengo, in sintesi, che Mereu sia un ‘giovane’ poeta da seguire, ora e nei futuri percorsi poetici ed esistenziali, per la sua attraente vena lirica, per acume di pensiero e per amore d’indagine, condotti sul filo del dubbio metodico e dell’ironia, pur aprendosi l’autore nel suo animo ‘fanciullo’ alla meraviglia e ai bagliori rivelatori del creato, come agli enigmi che circondano l’Universo e l’animo umano:

Io non so stare indifferente ai dogmi:

prendo una scala e mi tuffo nel mistero.

 

 

 Marvi del Pozzo