lunedì 25 aprile 2022

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: "Sembrava il Sole" di Carola Allemandi (Le gemme 2022 - Ed. Progetto Cultura)

foto di Piero Ottaviano
La collezione di quaderni di poesia le gemme delle Edizioni Progetto Cultura ha il merito di proporre ai lettori, e quindi diffondere, il lavoro poetico di autori contemporanei – meglio se giovani – che, seppure non alle prime armi per ispirazione poetica e capacità stilistica, non hanno ancora dimestichezza con consuetudini editoriali. Aiutare in questo modo chi poeticamente vale è un’opera apprezzabile, in quanto forma di mecenatismo dei nostri tempi degna di considerazione e lode in un ambiente in cui l’egocentrismo regna e il ‘collega’ talentuoso è subito visto come ostacolo, o comunque come ipotetico avversario.

Carola Allemandi è una giovane venticinquenne torinese, artista fotografa di successo le cui mostre personali e collettive sono già apprezzate a livello internazionale, critica d’arte scrive e collabora ad importanti riviste del settore. In poesia il suo Sembrava il sole è opera prima, ma già di notevole maturità, tanto che figura tra i giovani autori presentati sulla rivista […..]

Quali sono le peculiarità di questa autrice tali da sorprendermi e spingermi a proporne la conoscenza?

In primo luogo alla lettura sorprende l’originalità del linguaggio, una forma espressiva fortemente caratterizzata da accostamenti lessicali arditi, da una sintassi sincopata, talora persino sconcertante sotto l’aspetto prettamente logico, ma illuminante da un punto di vista evocativo. Ci si ritrova, a partire dalla suggestione delle parole, a vivere situazioni del cuore perfettamente comprensibili in maniera ana-logica, il che è prerogativa della poesia autentica: il discorso razionale lo capisci con l’intelletto, puoi più o meno condividerlo, ma quello intuitivo (ana-logico appunto) diventa emozione, la tua emozione, quindi parte di te per un momento breve o per sempre… e senti che la magia della poesia si compie, nella sua stranezza, nel mistero dell’accadimento prezioso non solo per chi ha scritto, ma anche per chi legge. Quindi la poesia di Carola, talora persino destabilizzante sotto l’aspetto linguistico, non ci chiede affatto di farne una perifrasi da scuola, ma di seguire le stelle comete delle emozioni, come ben dice lo psichiatra Eugenio Borgna nel suo ultimo magnifico libro L’agonia della psichiatria uscito un mese fa.

Solo allora entriamo realmente in relazione col testo e con l’autrice, attraverso l’intelligenza del cuore, fino a immedesimarci col sentire di lei.

 

Tornare allo stesso sogno di prima

ci fa sparire nel paesaggio

mattutino: nel gioco di un fremito

sorprendo il sussurro dei nervi,

tutto quello che trema in questa stanza.

 

*

Quando la mia ombra ti entrava negli occhi

faceva rabbrividire, lecito

custode; ogni altra cosa scompariva

e alla memoria non restava altro che

il cielo in terra, e ciò che non si dice.

 

*

Capitava che la risposta fosse

il cielo stesso, le ombre che formava

ondulate di noi interi e senza mai

del tutto lasciarsi comprendere.

 

*

Volgendo le spalle al pendio roccioso

le nuvole avevano la lentezza

degli angeli e la nostra. Ti vedevo

stringere un patto con ciò che non eri,

a nessuno dire - Manca un respiro

alle cose terrene, è un'illusione

questa tua. - E il tramonto era il nostro umore.

 

*

I giorni passati sono ormai veglie

consacrate, lo è il fuoco prematuro

in questa casa; nel suo crepitare

vi è come una premura: la suprema

grazia di una parola udita, e basta.

 

Altrove ho già detto che Carola ha come compagna dei vent'anni la parola poetica. Ne coglie la portata, immaginifica e con­sapevole insieme, quella capacità di vivificare la realtà, animarla, crearla e ricrearla. La sua poesia non offre solo una voce alle inquietudini del vivere, ma riesce a darne quasi una connotazione morfologica, sensibil­mente fisica.

 

Per passare alla tematica dell’autrice, io rilevo tutti gli stati d’ansia, di squilibrante malessere dei ventenni di oggi, aggravati da più di due anni di pandemia, che ci ha portato tutti all’isolamento, alla stanchezza di vivere, assediati costantemente dal pensiero e dalle immagini di morti repentine, possibili per noi tutti, all’improvviso.

I giovani molto di rado pensano alla morte, ma piuttosto – giustamente – alla vita davanti a sé, alle realizzazioni, alle speranze. L’isolamento dovuto al lavoro individuale da casa, la mancanza  di rapporti umani nel tempo libero, l’impossibilità di una conduzione di vita ‘normale’, sono situazioni che aggravano nelle anime di più acuta sensibilità quella necessità di trovare risposta ai problemi esistenziali propri dei giovani di tutti i tempi, ma oggi ancora più pressanti per la fluidità delle sicurezze e dei valori, per il relativismo in ogni campo, per la mancanza di punti di riferimento di coerenza e di responsabilità.

La poesia di Carola, psicologicamente, è protesa a scavare non solo nei propri problemi interiori, ma si interroga sul senso della reciprocità di rapporti umani che si vorrebbero costruire autentici in ogni campo, ma che troppo spesso si dimostrano insoddisfacenti in quanto si impoveriscono per fragilità di impegno, per paura di assunzione di responsabilità, per inconsistenze originate non si sa neppure come né perché. Ritengo che questa poesia scarna, rapida, efficace, dipinga perfettamente il malessere dell’incomunicabilità dei nostri giorni, ma si ponga anche come un grido di allarme. La positività si rivela nell’anelito a un cambiamento, proprio e altrui, verso l’obiettivo comune: la legittima aspirazione all’amore, alla realizzazione personale, alla felicità che, per essere realmente tale, deve svilupparsi non in modo univoco ma nella relazione con gli altri, perché noi siamo un colloquio (Eugenio Borgna). Non siamo nati per essere soli.

 

Fa freddo a essere vigili nel mondo

 di veglia e più vigili su una terra

che dorme: fa freddo a staccarsi da sé,

scossi anche noi dormienti dal vento

che passeggeri ci solleva appena.

 

*

Qualcosa è successo: come quel giorno

di Sicilia i capelli intrappolati

tra le ciglia suggerivano forse

il sentimento: più di ciò che siamo,

di accorgersi della solitudine

nell'essere impotenti a se stessi

tra i rumori sordi delle palpebre.

 

*

Lasciar andare la terra è cullarsi

in altri luoghi, è precipitare al di là

di noi stessi; l'aspetto soffocante

del conoscersi, il primo desiderio.

 

*

Ultimo agli sguardi il nostro tempo

s'apre ancora senza giustificare

le nostre coscienze: qui si incarnano

i sogni remoti di chi non siamo,

la fortuna di vivere una danza

sopra specchi resistenti - Eternità!

 

Queste le parole di una ventenne di oggi che, attraverso la consistenza delle delusioni, conosce se stessa, plasma la sua identità ‘adulta’ e attraverso la via dell’arte, la fotografia, la poesia, cantando le sue vicende paradossalmente si allontana da sé, fa comprendere che la parola poetica comunica, rigenera, avvicina agli altri, fa sentire ai lettori che esiste un Oltre per tutti.

sabato 23 aprile 2022

Anna Maria Curci su "Distrazioni " di Cristina Polli (Edilet Edilazio Letteraria 2021 - prefazione di Patrizia Sardisco)

Posare lo sguardo su ciò che si allontana – per «sorte e oltre» - dal centro trionfante di vezzi e lodi, profusi e consumati in vorace transitorietà gli uni e le altre; lambire, poi attraversare, accarezzare perfino, il margine, la periferia, la diramazione, dall’orlo esposto all’erosione fino al rischio dell’evanescenza; cercare il proprio canto nel confine incerto, nel trascolorare da tono a tono, nel trascorrere quasi impercettibile di stato e di parvenza: da questi moti, da queste scelte scaturiscono le Distrazioni di Cristina Polli. 

L’esercizio dello sguardo e la modulazione della voce si estendono e si avventurano, per “affinità elettiva” e, torno a sottolineare, per scelta, in virtù di una decisione programmatica, in regioni insieme consuete e inesplorate, quotidiane e remote, con un ardire non proclamato, ma praticato. Se l’io lirico si lascia attraversare dalla «bellezza muta» di ciò che si manifesta alla percezione, esso è ben consapevole, d’altro canto, della «ripetizione» incessante del tormento, dell’essere corrosi, erosi, dilaniati.

Osservazione  e riflessione sull’esistenza coesistono e. nutrendosi e animandosi con reciprocità che si sviluppa e si rinnova, danno vita a quadri-componimenti, momenti e parti di un mosaico visivo, sonoro, vivido e vibrante di simboli.

 

L’attesa, l’attenzione, la meditazione sono doti che, ricevute all’inizio del viaggio nell’esistenza, vanno coltivate con cura.

Si percepisce in ogni testo della raccolta una chiara etica dello stare al mondo, come creatura e come coscienza, dinanzi e dentro alle epifanie, come testimoniano, già dai rispettivi nomi, le cinque sezioni nei quali i testi sono organizzati: Il tempo dell’attesa, Ritratti, Finestre, Conversazioni, Graffi.

Passaggi tra paesaggi, orme esposte all’alternarsi delle maree, segni incisi e patiti, che sia carta, corteccia, carne: l’universo poetico di Cristina Polli, le sue sponde, le sue brume, il mare, l’acqua, la pietra, ciò che si era già palesato con un sentire profondo e un dire incisivo sia nella raccolta d’esordio Tutto e ogni singola cosa (EdiLet 2017) sia nel poemetto Quando fioriscono le tamerici (FusibiliaLibri 2020) torna a manifestarsi in Distrazioni, tuttavia con un accento posto programmaticamente, mi sembra di poter osservare, sull’esercizio dello sguardo, di uno sguardo desto, non giudicante, di uno sguardo che può apparire a volte meno attento, distratto, ma proprio perché assorto e sempre intimamente legato alla «rotta inversa» e alle «rotte scomposte» di percezioni, pensieri, peregrinazioni della coscienza. Importante novità questa e, come fa notare Patrizia Sardisco nella bella e illuminante Prefazione, passo ulteriore rispetto all’urgenza, alla «necessità di nomina della vicenda arcaica di un io pietrificato». È una poesia che ha fatto tesoro di quanto la stessa Cristina Polli scriveva in Quando fioriscono le tamerici: «benedice la sottrazione».

Nell’universo di Distrazioni propongo un breve itinerario che ha come tappe cinque componimenti, uno per ciascuna delle cinque sezioni.

 

Dalla sezione Il tempo dell’attesa

 

PRELUDIO

 

Ci vorrebbe un ritorno

una traccia

bianca di passi e la sosta,

la sosta di una strada in attesa

d’un incrocio di luce.

Sul silenzio la morena del tempo

il respiro di un precipitare.

 

Preludio si presenta già nel titolo come una poesia che intende accostarsi alla composizione musicale. Come in una composizione musicale, le singole battute vanno a costruire una melodia, nella quale riconosciamo, come accenti nella singola battuta e come motivi ricorrenti, le parole che animano la poesia di Cristina Polli e che ne costituiscono gli elementi fondanti: desiderio del ritorno, attesa, sosta, silenzio, respiro.

 

Dalla sezione Ritratti

 

RIPETIZIONE

 

Si è aperto tra i rami il giorno incerto

ho destinato alle carte la mia poca energia

il resto l’ho dato in pasto all’avvoltoio

che non sa perché mi scarnifica il fegato

ma mi guarda e ha negli occhi un’innocenza

crudele e mi presta cure per dilaniarmi ancora.

 

Ripetizione si apre con un endecasillabo perfetto e prosegue con versi lunghi, vere e proprie sequenze tra il descrittivo e il narrativo. Anche se il suo nome non viene pronunciato, è Prometeo ad essere accostato, con il suo supplizio eterno, all’io lirico. I verbi “scarnificare” e “dilaniare” sono i segnali di una condanna che accomuna la figura mitologica e l’io che si rivela tra i versi. Prometeo non nominato, eppure qui centrale, malgrado nelle versioni del mito fosse un’aquila e non un avvoltoio a divorargli il fegato, non è certo il ribelle, lo sprezzante enfant prodige dell’inno che Goethe scrisse nel suo periodo Sturm und Drang, ma sembra invece lanciare uno sguardo d’intesa a Prometeo, brevissimo racconto che Franz Kafka scrisse nel 1918. Kafka riferisce di «quattro leggende» relative a Prometeo inchiodato alla «montagna rocciosa», fino a divenire una sola cosa con la pietra. È la chiusa di quel racconto, che riporto qui nella traduzione di Ervino Pocar, a illuminare la sua vicinanza con uno dei temi fondamentali nella poesia di Cristina Polli, vale a dire la pietra, con i suoi compagni inseparabili, presenti, persistenti eppure ineffabili, ovvero il lavorio su di essa e la sua resistenza: «Rimase l’inspiegabile montagna rocciosa. – La leggenda tenta di spiegare l’inspiegabile. Siccome proviene da un fondo di verità, deve terminare nell’inspiegabile».

 

Dalla sezione Finestre

 

CALLIGRAFIA DEL SILENZIO

 

È caduta per me

la foglia sull’asfalto.

Non so la foglia

o l’albero esile

da cui si è lasciata prendere

scrivendo un volteggio

senza vento.

Calligrafia del silenzio

che di bellezza muta

mi attraversi.

 

In Calligrafia del silenzio l’ineffabile si manifesta come una foglia che cade sull’asfalto. Il moto proprio della caduta – si tratta di un «volteggio/ senza vento» si lega, tuttavia, a una inaspettata e prodigiosa finalità: è la precisazione «per me» ad accompagnare il movimento. La rotta tracciata dalla foglia non è una linea retta, ma disegna una danza e scrive, manifestando muta la bellezza, il silenzio.

 

Dalla sezione Conversazioni

 

PASSAGGI

 

Oggi si stende l’inverno

tra il cielo e la terra, e io

come una bambina distratta

attraverso passaggi, margini

e brume che smemorano

sull’intonaco scrostato.

Eravate e non vi conoscevo.

Restate come nebbia tra i rami

scabri dell’albuccio, tremori di foglie

che sospendono il corso del giorno.

 

Il passo a lato rispetto al centro permette di cogliere fenomeni sul confine, ai margini, attraverso i rami spogli del pioppo bianco in inverno. I fenomeni, individuati se non addirittura “divinati” come presenze, si fanno strada tra le brume, si porgono alla percezione, e quindi alla conoscenza, in guisa di transiti e di mutazioni. Passaggi, come recita il titolo della poesia. Eppure c’è un momento in cui lo scorrere, l’attraversare si ferma, resta e sospende «il corso del giorno». È proprio alla «bambina distratta» - forse più de-centrata che deconcentrata – che spetta l’occasione di donare una veste poetica a quel momento.

 

 

Dalla sezione Graffi

 

 

LA SORTE E OLTRE

 

Veste lacerata

taglio sfregio orlo

lembo da ricucire

rete che afferra la sorte

che nega l’oblio

crepa della voce

varco di preghiera.

 

La sorte e oltre racchiude in sette versi scanditi con eguale misura – sono sette senari – un inventario che attira a sé, coniugandole, qualità opposte: è sobrio e solenne, semplice e carico di simboli, compiuto e volto a una prosecuzione. Tra i termini, con i sostantivi che costituiscono la netta maggioranza, sono quelli afferenti a tre campi semantici che si intrecciano, si danno il cambio e si ricombinano: la tessitura (veste, orlo, lembo, rete), lo strappo (lacerata, taglio, sfregio, crepa) e la ricomposizione (ricucire, varco di voce, preghiera). L’inventario si rivela allora una dichiarazione di poetica, la difesa appassionata di una poesia che «nega l’oblio», «afferra la sorte» e, in virtù di una «preghiera» che si manifesta come “canto alla durata”, crea e oltrepassa il varco.

 

Anna Maria Curci

giovedì 14 aprile 2022

Fili di condivisione a cura di Marvi del Pozzo: "Sull'improvviso" di Alfredo Rienzi (Arcipelago Itaca 2021)

Questa breve rubrica a scadenza variabile intende accompagnare gli autori già in precedenza presentati in Letture condivise, segnalandone i lavori ulteriori. Come si sa, la poesia crea legami misteriosi e profondi che perseverano nel tempo.

Oltre che rispondere a un desiderio di completezza informativa, la rubrica intende mantenere un filo di condivisione e di consolidamento di rapporto umano e artistico tra autore e lettore.

 

 

Alfredo Rienzi

Sull’improvviso

Arcipelago Itaca 2021

 

È uscito qualche mese fa il nuovo libro di poesie di Alfredo Rienzi, Sull’improvviso, Arcipelago Itaca 2021, opera vincitrice della XIX edizione del Premio InediTo – Colline di Torino.

Sul tema della ‘crisi’, intesa alla greca, cioè cambiamento che spesso coglie appunto all’improvviso, la razionalità non è di aiuto né nella ricerca di un senso compiuto, né nell’accettazione dell’oscura imprevedibilità. Tra il visibile e l’invisibile la poesia – con la sua capacità evocativa, con la sua apparente evanescenza, nell’indeterminatezza suggestiva dei suoi ‘scenari’ – attraverso procedimenti intuitivi, ana-logici, può aiutare a sentire, se non a capire, ciò che avviene in noi e intorno a noi e forse in qualche modo dà lo spunto a vivere meglio, di sicuro in modo più consapevole, le alterne vicende della vita.

L’eterno ritorno del pensiero greco si esprime nell’autore in un eterno ricominciare, così come la natura, nelle sue forme più impalpabili, si fa simbolo e specchio di un trascorrere umano, critico e pensoso.

 

Questa luce che ora

torna a crescere

dove la deporremo

spenti gli occhi in una notte a dicembre?

 

c'è stato tempo per disporsi, dici

verso il giusto angolo d'occidente

 

è che il tempo non è mai quello giusto

e le partenze hanno il suono ottuso

della frana che coglie all'improvviso

 

 

Carlo Di Legge su Autobiografia del silenzio di Cinzia Marulli (Ed. La vita felice 2022)

Mi giunge per posta questa lettera di Carlo Di Legge su Autobiografia del silenzio. È emozionante la sua poesia riportata alla fine in assoluta comunione col mio sentire. Un dialogo poetico che mi ha commosso intensamente.

Grazie, carissimo Carlo

Cinzia


Autobiografia del silenzio ed. La Vita Felice Milano 2022

Cara Cinzia, non mi sembra si possa dire molto sulla tua parola “insanguinata”. Parola di silenzio chiama parola di silenzio. Non ho, qui, criteri letterari da utilizzare – quelli mi appartengono poco, comunque – o filosofici. Forse potrei dire “fenomenologici”? Certo v’è, nei tuoi versi e nelle tue descrizioni, non certo di accompagnamento ma di sostanza, la ricerca della narrazione, una chiamata in parola a partecipare, al modo del lettore, delle cose per come devi averle vissute.

Si capisce bene la scelta di “dare voce a tutti i bambini che, come la me di allora, non hanno avuto la forza né il coraggio di parlare” (p. 50). Ciò non toglie che non so chi altri, come te, possa arrivare a dare voce al coraggio; so, peraltro, che spesso è avvenuto e avviene.

Il tuo silenzio di tanti anni è il silenzio tuo e, con te, di tutte le vittime (p. 50) di questo mondo strano e spietato. Certo.

Anche di tutti i bambini che sono vittime tra le vittime di questi giorni tremendi, come ascoltiamo e vediamo.

Ma infine scrivi che “la vita ha vinto sulla vita” cioè questo aspetto di vita e d’amore che hai avuto la forza di portare avanti ha prevalso su quell’altro aspetto.

Siccome si tratta di “autobiografia del silenzio”, credo tu abbia ricercato una parola che si avvicinasse il più possibile al silenzio.

Pertanto una parola scarnificata, povera e con ciò efficace, perché il messaggio pervenisse. D’altro canto la parola della poesia – o d’una prosa poetica – è per definizione ciò che più si presta.

Io non so come si possa fare questo a un bambino, a una bambina, o anche a un adulto. A chiunque.

Sono stato costernato nel leggere, e ho partecipato come mi riusciva, in luce e ombra d’ umanità.

Io non so come tu abbia fatto a perdonare, con quale forza.

Arrivare al punto da poter scrivere parole di perdono, come quando dici che l’orco cattivo “non è brutto come ci raccontano”, quando parli di “cicatrici”, o di quella bambina che ha trasformato “/in amore/ il suo dolore osceno” e addirittura “tiene tra le braccia l’uomo nero/lo accarezza e lo perdona/e con lui se stessa…” (p. 47).

Grazie.

 

Un affettuoso saluto.

Carlo

(Sto lavorando a questi versi, credo facciano al caso, e d’istinto te li regalo. Non ho mai fatto questo, ma non ho mai visto qualcosa “come” (?) il tuo libro).

 

Tornando

 

Sulla via stretta, trovo a terra

un piccolo uccello che non vola,

forse invece dell’alto cerca

il tepore dell’asfalto.

Salvato dalla strada, sta morbido

in mano, lo poso su un ramo

che viene dal giardino in basso:

lui si appende, poi cade nel vuoto,

apre le ali,

mi regala un attimo di volo.

 

Penso ai pericoli,

un uccello non è come un uomo?

Il mondo è strano. Ognuno è

niente, chiunque è quasi un dio

che può uccidere un altro,

o lo salva, forse invano,

e nessuno è salvo per sempre.

 

 Carlo Di Legge,  Aprile 2022