foto di Piero Ottaviano |
Quali sono le peculiarità di questa autrice tali da sorprendermi e spingermi a proporne la conoscenza?
In primo luogo alla lettura sorprende l’originalità del linguaggio, una forma espressiva fortemente caratterizzata da accostamenti lessicali arditi, da una sintassi sincopata, talora persino sconcertante sotto l’aspetto prettamente logico, ma illuminante da un punto di vista evocativo. Ci si ritrova, a partire dalla suggestione delle parole, a vivere situazioni del cuore perfettamente comprensibili in maniera ana-logica, il che è prerogativa della poesia autentica: il discorso razionale lo capisci con l’intelletto, puoi più o meno condividerlo, ma quello intuitivo (ana-logico appunto) diventa emozione, la tua emozione, quindi parte di te per un momento breve o per sempre… e senti che la magia della poesia si compie, nella sua stranezza, nel mistero dell’accadimento prezioso non solo per chi ha scritto, ma anche per chi legge. Quindi la poesia di Carola, talora persino destabilizzante sotto l’aspetto linguistico, non ci chiede affatto di farne una perifrasi da scuola, ma di seguire le stelle comete delle emozioni, come ben dice lo psichiatra Eugenio Borgna nel suo ultimo magnifico libro L’agonia della psichiatria uscito un mese fa.
Solo allora entriamo realmente in relazione col testo e con l’autrice, attraverso l’intelligenza del cuore, fino a immedesimarci col sentire di lei.
Tornare allo stesso sogno di prima
ci fa sparire nel paesaggio
mattutino: nel gioco di un fremito
sorprendo il sussurro dei nervi,
tutto quello che trema in questa stanza.
*
Quando la mia ombra ti entrava negli occhi
faceva rabbrividire, lecito
custode; ogni altra cosa scompariva
e alla memoria non restava altro che
il cielo in terra, e ciò che non si dice.
*
Capitava che la risposta fosse
il cielo stesso, le ombre che formava
ondulate di noi interi e senza mai
del tutto lasciarsi comprendere.
*
Volgendo le spalle al pendio roccioso
le nuvole avevano la lentezza
degli angeli e la nostra. Ti vedevo
stringere un patto con ciò che non eri,
a nessuno dire - Manca un respiro
alle cose terrene, è un'illusione
questa tua. - E il tramonto era il nostro umore.
*
I giorni passati sono ormai veglie
consacrate, lo è il fuoco prematuro
in questa casa; nel suo crepitare
vi è come una premura: la suprema
grazia di una parola udita, e basta.
Altrove ho già detto che Carola ha come compagna dei vent'anni la parola poetica. Ne coglie la portata, immaginifica e consapevole insieme, quella capacità di vivificare la realtà, animarla, crearla e ricrearla. La sua poesia non offre solo una voce alle inquietudini del vivere, ma riesce a darne quasi una connotazione morfologica, sensibilmente fisica.
Per passare alla tematica dell’autrice, io rilevo tutti gli stati d’ansia, di squilibrante malessere dei ventenni di oggi, aggravati da più di due anni di pandemia, che ci ha portato tutti all’isolamento, alla stanchezza di vivere, assediati costantemente dal pensiero e dalle immagini di morti repentine, possibili per noi tutti, all’improvviso.
I giovani molto di rado pensano alla morte, ma piuttosto – giustamente – alla vita davanti a sé, alle realizzazioni, alle speranze. L’isolamento dovuto al lavoro individuale da casa, la mancanza di rapporti umani nel tempo libero, l’impossibilità di una conduzione di vita ‘normale’, sono situazioni che aggravano nelle anime di più acuta sensibilità quella necessità di trovare risposta ai problemi esistenziali propri dei giovani di tutti i tempi, ma oggi ancora più pressanti per la fluidità delle sicurezze e dei valori, per il relativismo in ogni campo, per la mancanza di punti di riferimento di coerenza e di responsabilità.
La poesia di Carola, psicologicamente, è protesa a scavare non solo nei propri problemi interiori, ma si interroga sul senso della reciprocità di rapporti umani che si vorrebbero costruire autentici in ogni campo, ma che troppo spesso si dimostrano insoddisfacenti in quanto si impoveriscono per fragilità di impegno, per paura di assunzione di responsabilità, per inconsistenze originate non si sa neppure come né perché. Ritengo che questa poesia scarna, rapida, efficace, dipinga perfettamente il malessere dell’incomunicabilità dei nostri giorni, ma si ponga anche come un grido di allarme. La positività si rivela nell’anelito a un cambiamento, proprio e altrui, verso l’obiettivo comune: la legittima aspirazione all’amore, alla realizzazione personale, alla felicità che, per essere realmente tale, deve svilupparsi non in modo univoco ma nella relazione con gli altri, perché noi siamo un colloquio (Eugenio Borgna). Non siamo nati per essere soli.
Fa freddo a essere vigili nel mondo
di veglia e più vigili su una terra
che dorme: fa freddo a staccarsi da sé,
scossi anche noi dormienti dal vento
che passeggeri ci solleva appena.
*
Qualcosa è successo: come quel giorno
di Sicilia i capelli intrappolati
tra le ciglia suggerivano forse
il sentimento: più di ciò che siamo,
di accorgersi della solitudine
nell'essere impotenti a se stessi
tra i rumori sordi delle palpebre.
*
Lasciar andare la terra è cullarsi
in altri luoghi, è precipitare al di là
di noi stessi; l'aspetto soffocante
del conoscersi, il primo desiderio.
*
Ultimo agli sguardi il nostro tempo
s'apre ancora senza giustificare
le nostre coscienze: qui si incarnano
i sogni remoti di chi non siamo,
la fortuna di vivere una danza
sopra specchi resistenti - Eternità!
Queste le parole di una ventenne di oggi che, attraverso la consistenza delle delusioni, conosce se stessa, plasma la sua identità ‘adulta’ e attraverso la via dell’arte, la fotografia, la poesia, cantando le sue vicende paradossalmente si allontana da sé, fa comprendere che la parola poetica comunica, rigenera, avvicina agli altri, fa sentire ai lettori che esiste un Oltre per tutti.