Marcello Croce è un intellettuale
torinese che ha scelto di dedicare il suo sapere filosofico e la sua
esperienza
umana alle nuove generazioni, nella fattispecie gli studenti liceali, cui si
dedica con passione da sempre, dilatandone gli interessi culturali in campo
artistico-letterario, oltre che storico-filosofico. Per questa sua vocazione ad
un sapere non ingessato, ma in libero movimento, e all’arte come forma prima di
comunicazione, ha promosso sei anni fa, come cofondatore, l’iniziativa di Amado mio, rivista di poesia che raduna
molti poeti di area soprattutto piemontese, promuovendo altresì proficue
occasioni di incontro e di scambio. Egli stesso è autore di versi la cui
lettura oggi propongo.
Casa
È quando le cose
consuete
le devi lasciare,
e ti ritrovi nella
casa che fu abitata
a lungo da un altro.
Vuota, una casa può solo contenere,
adattarsi al volume
dei corpi,
al loro moto
imbarazzato.
Spazio sconsacrato
ove t'aggiri
cercando invano il lume sempre
acceso.
Hai lasciato
incustoditi i geni
del tuo focolare, che
adesso
si sperdono al vento.
Prima che sia tardi
abbracciane uno in seno, non fartelo
sfuggire!
Serbalo così, sul tuo cuore.
Resterete avvinti
e ogni luogo sarà solamente
una traversata, la
sosta
del treno che andava
verso il mare
e nella piccola stazione
s'assiepavano
le venditrici di
frittate:
ché l'aria già sapeva di
Liguria.
Sul ritratto di mia madre anziana
Era leggero, leggero
a sedici anni
il tuo profumo, lo
tenevi segreto
sul comodino; e
l'occhiata
che rubavi allo
specchio ogni volta
ti seduceva, solo
avevi chiuso gli
occhi poi che nulla
poté riempire il
vuoto della soglia;
ch'erano azzurri, e di riflesso
erano un'eco dentro
di te.
Il piacere era
quello, di non sapere,
solo sentire azzurra
una lievità
che svaporava subito
di fuori
nella corsa degli
alberi.
Amo particolarmente la sua poesia perché
parla di sentimenti validi sempre; Marcello va oltre ogni moda letteraria,
contingente. Mi rasserena, mi riconcilia con il mondo in subbuglio di oggi, mi
fa stare bene anche quando le tematiche riguardano situazioni esistenziali
sicuramente non allegre. Ho capito il motivo di questo fenomeno in me: perché
evoca sentimenti sfumati, ma sempre positivi, perché parla di nostalgia, di
tenerezza, di fragilità di cose e persone, di speranze indistinte ma presenti.
Parla dell’ignoto che è in noi non in senso negativo: ci stimola alla
riflessione, ad entrare in relazione con la nostra interiorità e con quella
degli altri.
La comunicazione di Marcello parte da
sé, da sue minute esperienze, ma non si ferma a sé. Recupera un collegamento
troppo spesso perduto con gli altri e, in questo, credo abbia ragione Eugenio
Borgna, psichiatra e psicanalista, quando afferma che queste forme di
comunicazione possono essere sinonimo di cura di anime. E del resto, come mette
in luce sempre Borgna in tanti suoi libri, le emozioni più significative del
vivere, che la poesia enuclea con chiarezza o soltanto fa intuire (il che poi è
lo stesso), sono emozioni fragili: tristezza, inquietudine, tenerezza,
speranza; hanno tutte in comune una consistenza aperta, sfumata, intuitiva, che
porta all’Aperto (Rilke). Partono dall’individuo, ma hanno un senso sempre in
relazione con gli altri, non hanno dimensione egoistica, puramente personale,
si aprono. Anche il male di vivere, del resto, si apre al prossimo, getta un
ponte, fosse anche solo per una richiesta d’aiuto. Del resto “noi siamo un colloquio”, come recita il
titolo di un libro di Borgna.
Mi rendo conto di citare spesso
questa figura di psicanalista, non solo per la mia assoluta ammirazione per il
suo modello di coerenza come uomo e scienziato, ma perché mi pare che la poesia
di Marcello Croce ne sia la verifica nella sperimentazione su di me. Ne fa fede
lo stato di benessere, di pace, di completezza che la lettura dei versi di
Croce mi ha portato. E’ uno stato di quiete attiva (perdonatemi l’ossimoro) che
dalla pienezza delle mie sensazioni mi spinge a volerle tradurre in fare, in
progettualità positiva di cose, di idee volte alla condivisione del Bello del
mondo. Grazie a Marcello Croce e a Eugenio Borgna che, senza forse conoscersi,
si compenetrano con le loro diverse vocazioni, uno poeta, l’altro
psichiatra-letterato, su analoghe strade.
Un altro motivo, più prettamente
letterario, mi fa apprezzare la poesia di Marcello. Si ricollega - il pensiero corre nell’immediato - alla grande
tradizione della poesia lirica italiana.
C’è un filo sottile che collega questi versi liberi nella loro varia
architettura, ma di ampio respiro, larghi, quasi di solennità ieratica, a
qualcosa della Sera del dì di festa
leopardiana, per arrivare a quella meraviglia incantata de La casa dei doganieri di Montale. Marcello Croce, cantore
contemporaneo, vive dello stesso filone, senza tempo e senza mode, con analoga
sapienza evocativa, con lo stesso struggimento del cuore, con la stessa verità,
senza infingimento letterario. Va detto inoltre che la conoscenza dei poeti del
Novecento è, per Marcello, talmente introiettata e fatta propria, che è bello
riconoscere il suo legame stretto con temi o immagini di altri grandi.
Nella prima poesia proposta, Casa, quell’ultimo verso folgorante Che l’aria già sapeva di Liguria non può
non suggerire Montale in tanti suoi momenti paesaggistici suggestivi; ma anche
la seconda poesia presentata, Sul
ritratto di mia madre anziana, mi riporta alla stessa tenerezza di Saba.
Questa madre anziana sarà stata bambina e allora quell’azzurra levità di Marcello è forse, in età avanzata, la
trasposizione di quelle che erano cose
leggere vaganti del Ritratto della
mia bambina di Saba. Che bello questo dialogo all’unisono tra poeti vivi e
trapassati! Come si arricchisce la poesia da questo incontro atemporale.
Vi propongo ancora due poesie di
Marcello Croce: Sunt lacrimae, in cui è presente la pena
universale, il dolore del mondo, e l’autore ci riporta alla Capra di Saba (inconsciamente, è ovvio):
Sunt lacrimae
Parole che crescono
su vecchi muri slabbrati,
e poi seccano in
torti filamenti, sovra cui
poi si arrampicano
ragni.
La vidi traverso la
strada,
era una femmina,
gravida, di rospo:
gonfia, quasi fosse
per scoppiare.
Ma quando la presi
tra le mani
da quella forma
informe palpitante
uscì un lamento
lungo, lacerante
con una voce flebile
di bimba,
ripetuto, sempre più
in affanno.
La lasciai in un
fosso, tra l'ortica.
Da allora, in giorni
simili, risento
in quel grido la voce
della vita
venire da lontano,
dallo spiro
d'una porta in
cucina: un gemito
di madre che riempiva
la notte
al va e vieni del
ferro da stiro.
Umberto Saba
La capra
Ho parlato a una capra
Era sola sul prato, era
legata.
Sazia d’erba, bagnata
alla pioggia, belava.
Quell’uguale belato era
fraterno
al mio dolore. Ed io
risposi, prima
per celia, poi perché il
dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra
solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni
altro male,
ogni altra vita.
L’ultima
tenerissima poesia di Croce, che di seguito vi propongo, Mano di donna, con l’evocazione della vita semplice, a contatto con
la natura, nel calore degli affetti più sinceri, a me riporta alla memoria
quello stesso clima di struggimento e di nostalgia che è di Attilio Bertolucci,
poeta che amo molto.
I due versi
finali di questa poesia di Marcello Croce, di bellezza sconvolgente nel loro
plurisignificato, letterale e metaforico, non possono non farmi pensare alla
poesia di Bertolucci, che per conoscenza vi riporto di seguito, a conclusione
di questa lettura condivisa:
Mano di donna
Sempre più spesso, la sera
quando dall'albero stanco più arido
giunge lo scricchiolio del tronco, mi
risveglio
al disfarsi istantaneo della tela
dell'io.
Ora so che fu amore, al ritorno, la
cena apparecchiata,
quel sole quieto e tiepido sospeso
fra stanze buie.
Sentivo, sul piatto fumante, stesa
una mano
che reggeva benedetta il mondo;
allora, sì io mi seppi amato e in
quell'amore
nacqui dentro me stesso, gemma
alla luce.
Dall'indistinto sentii a poco a poco
disegnarsi il mio volto,
nello sguardo posato sopra di me
la certezza di esistere.
Ora invece ho intorno
schegge rose dal tempo che mi scava
con un fiume carsico.
Pure ancora, quando la magnolia
morsa dal vento geme e questa è
l'unica
voce rimasta del giorno, serbo
memoria
della mano di donna che a sera
porgeva
a me quella cena. E se mi perdo
sogno di trattenere
quella vasta mano tesa
nella luce sospesa
nelle stanze già in ombra.
Attilio Bertolucci
At home
Il sole lentamente si sposta
sulla nostra vita, sulla paziente
storia dei giorni che un mite
calore accende, d'affetti e di memorie.
A quest'ora meridiana
lo spaniel invecchia sul mattone
tiepido, il tuo cappello di paglia
s'allontana nell'ombra della casa.
Il breve accenno a Bertolucci mi
stimola a parlarvi prossimamente di lui.
A presto! MdP