Oggi, nella seconda parte di
Letture condivise
dedicata alla poetessa portoghese Sophia de Mello
Breyner Andresen, parliamo della vena lirica, forse l’aspetto più
congeniale al suo spirito creativo, quella che rappresenta per l’autrice
l’estrinsecazione più intensa e sincera del suo essere al mondo, quella che
nell’immediato arriva al lettore, il quale può ritrovarsi – ovviamente in modo
più o meno rilevante a seconda della sua personalità – fino a condividere il
senso di pienezza e di gioia vitale che esplode nei versi.
Mi sono domandata la
causa di questo particolare coinvolgimento emotivo, relativamente a testi che
trattano di temi concreti: natura, paesaggi per lo più marini, giardini, case
del passato, vegetazioni al limitare della spiaggia. Non c’è certamente
originalità di tematica: versi su paesaggi e natura sono stati scritti e letti
a iosa. Eppure il risultato qui è sorprendente. Che cosa ci offre Sophia di
tanto diverso da consentire in noi non solo il coinvolgimento emotivo, ma una
forma di predisposizione all’immedesimazione?
Ho avuto la risposta
grazie a un’illuminazione originata dalla lettura dell’intervista su Robinson di Repubblica del 13 agosto 2022 condotta da Antonio Gnoli a
Valerio Magrelli, anzi proprio dal titolo dell’articolo: La poesia va liberata da gabbiani e
tramonti. In realtà Magrelli si
riferisce alla sua battaglia contro gabbiani
e tramonti, visti sotto l’aspetto espressivo e linguistico, simboli di quel
‘poetare’, di cui parlava già Sanguineti, da bandire del tutto da una poesia
contemporanea, in cui ogni terminologia deve essere concreta, colloquiale,
aderente ai tempi nuovi. Ma
questa non è una novità dall’epoca dei Futuristi e di Marinetti, potenziale
assassino del chiaro di luna. Non è questo il punto.
A me ha aperto il velo
non il discorso linguistico di Magrelli, quanto l’aspetto tematico e, anzi,
l’uso originale che di tale tematica consueta Sophia fa. In che senso infatti
lei parla di natura e, paradossalmente, si libera da ogni romanticheria di
gabbiani e tramonti? È questa la
questione. Rileggendo alcune sue poesie mi è balenata la risposta: non c’è mai
in Sophia una natura precisa, raccontata. Non descrive mai. I suoi sono cenni,
in fondo indeterminati, quasi a definire un concetto astrattamente vago, come
un’idea platonica che noi lettori riempiamo, dando un nostro significato
simbolico, allegorico o anche concreto, sulla base delle nostre singole vicende,
ma sotto l’esempio che l’autrice ha compiuto e compie per noi, facendoci
oscillare tra concretezza della vita e vaghezza delle aspirazioni, del
rimpianto indistinto, di nostalgie imprecisate e imprecisabili. Siamo nel campo
della vita reale, ma circondati in fondo dalla poeticità dell’indeterminato.
L’autrice ci dà un esempio di come l’arte possa fare parte delle esperienze di
vita ‘normale’, quotidiana direi, col suo fascio di eventi di gioia, di
sensualità, di pena, di dolore umano. Si tratta di dare alle cose, alla natura,
ai paesaggi, quell’anima che essi hanno sottesa e che si fonde con la nostra,
se il poeta si fa interprete per noi. Sophia quindi, pur senza volere, insegna
agli altri a cogliere queste realtà, a proiettarle e ad amplificarle
all’interno di noi lettori.
Questa, secondo me, è la
caratteristica precipua di Sophia e la sua peculiarità è proprio quella
capacità di trasferirla a noi con incredibile semplicità espressiva (Magrelli
la loderebbe!), ma con una grazia artistica e umana che ci allarga il cuore e
ci fa intuire una volta di più il miracolo della connessione della poesia
‘alta’ con ogni aspetto, anche ‘basso’, del vivere. Il reale appare concreto ma
sfumato: con pochi cenni si arriva allo spirito delle cose nel rifiuto di
descrizioni particolareggiate, francamente superflue, anzi limitanti. Dalla fisicità
alla metafisica, dalla concretezza del reale alla trascendenza.
Passando ai testi poetici
di Sophia de Mello Breyner Andresen,
sono tutti tratti dal volume citato: Il
giardino di Sophia, Il ramo
e la foglia 2022, curato da Roberto Maggiani, ad eccezione dei primi due tratti
dalla raccolta Poesia del 1944 che, incontrati sul mio cammino in un
portoghese estremamente limpido e chiaro, tradussi agevolmente per me e qui
riporto.
Da
Poesia, 1944
SENZA TITOLO
Talora penso di vedere nei
miei occhi
La promessa di altri esseri
Che avrei potuto essere
stata
Se la vita fosse stata
altra.
Ma da questa favolistica
scoperta
Mi provengono solo terrore e
dispiacere
Di sentirmi senza forma,
indefinita
Come l’acqua.
***
CASA BIANCA
Casa bianca di fronte al
mare immenso
Col tuo giardino di sabbia e
fiori marini
E il tuo silenzio intatto in
cui riposa
Il miracolo delle cose che
erano mie.
Da te ritornerò dopo
l’incerto
Calore di tanti gesti
ricevuti
Passati i tumulti e il
deserto
Baciati i fantasmi, percorsi
I mormorii di terra
indefinita.
In te rinascerò in un mondo
mio
E la redenzione avverrà
nelle tue linee
Dove nulla è andato perduto
Del miracolo delle cose che
erano mie.
Da Il giardino di Sophia,
2022
MARE
SONORO
Mare
sonoro, mare senza fondo mare senza fine,
La
tua bellezza aumenta quando siamo soli
E
così in profondità intimamente la tua voce
Segue
il più segreto danzare del mio sogno,
Che
ci sono momenti in cui suppongo
Tu
sia un miracolo creato solo per me.
***
QUANDO
Quando
il mio corpo marcirà e io sarò morta
Continueranno
il giardino, il cielo e il mare,
E
come oggi ugualmente balleranno
Le
quattro stagioni alla mia porta.
Altri
in aprile passeranno nel frutteto
In
cui tante volte sono passata io,
Ci
saranno lunghi ponenti sopra il mare,
Altri
ameranno le cose che io ho amato.
Sarà
lo stesso splendore, la stessa festa,
Sarà
lo stesso giardino alla mia porta,
E
i capelli dorati della foresta,
Come se io non fossi morta.
***
Io
parlo della prima libertà
Del
primo giorno che era mare e luce
Danza,
brezza, ramaglie e segreti
E
un primo amore morto così presto
Che
in tutto ciò che era vivo si incarnava.
***
NEL
TEMPO DIVISO
E
ora o dèi che cosa vi dirò di me?
Sere
inerti muoiono nel giardino.
Mi
dimentico di voi e senza memoria
Cammino
nei sentieri dove il tempo
Come
un mostro divora se stesso.
Per finire tre
poesie, lapidarie e incisive, sulla figura del poeta e sul significato della
poesia. Secondo lo stile caratteristico dell’autrice, troviamo realtà e
trasfigurazione, previsione ed evocatività, calibrate in forma di rigorosa,
classica armonia.
I
POETI
Solitari
pilastri dei cieli pesanti,
Poeti
nudi in sangue, o lacerati
Annunciatori
del mondo
Che
la presenza delle cose ha devastato;
Gesto
di forma in forma vagabondo
Che
mai in un destino si è placato.
***
IL POETA
Il poeta è uguale al giardino delle statue
Al profumo dell'estate che si perde nel vento
È arrivato senza che gli altri mai, lo vedessero
E le sue parole hanno divorato il tempo.
***
NELLA
POESIA
Trasferire
il quadro il muro la brezza
Il
fiore il bicchiere la lucentezza del legno
E
la fredda e vergine liquidità dell'acqua
Nel
mondo della poesia limpido e rigoroso
Preservare
da decadenza morte e rovina
L'istante
reale di apparizione e di sorpresa
Guardare
in un mondo chiaro
Il
gesto chiaro della mano toccando la tavola