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Grazie dunque a Pino per esserci e coltivare questa funzione concreta e benefica dell’arte della parola poetica.
Nei dieci autori del volume XXIII ciascun lettore troverà la voce a lui più congeniale, a seconda del gusto personale e della propria ‘idea’ di poesia. Personalmente
di Sara Albarello amo il senso pieno della sua frammentarietà eloquente: una incisività del dire che lascia spazio all’interiorità di chi si avvicina alla sua poesia.
Separazione
Che trova il vuoto interiore.
Margini interrotti
In un interiore sconfinato
Dove la completezza dell’io
È solo sognata.
Di Ada Crippa amo la discorsività descrittiva, che mi ha evocato immagini stupende della campagna lombarda e mi ha riportato alla mente la religiosità arcaica contadina di certe scene indimenticabili del film L’albero degli zoccoli di Olmi. Due forme artistiche, la cinematografia e la poesia, che possono compenetrarsi bene e potenziarsi reciprocamente.
Oh! quanto mi piacciono
i villaggi contadini
dove le oche passano davanti agli usci delle case
col loro passo dondolante bianco di piume
riflesso nelle pozzanghere dopo la pioggia
villaggi che ancora durano nella loro spoglia essenza
in terre lontane filmate
che vedo scorrere col fiato dello stupore
sullo schermo televisivo
richiamano le immagini
il mio tempo bambino e mi dicono
la distanza temporale delle realtà immutate
bambini ora – come me che fui
a radunare oche a sera
Ferito il silenzio
Di Annamaria Giannini mi ha colpito l’assoluta originalità dei testi, che tuttavia mi hanno creato momenti di disagio, va detto, per le scelte dell’autrice molto vicine a quelle di un… anatomopatologo! Ci vuole una bella capacità per poeticizzare una materia scientifica come l’anatomia, così fredda, quanto mai distante dalla creatività poetica. Lei riesce, tanto di cappello, a portarci dalla ‘lezione di anatomia’ alla riflessione poetica con grande disinvoltura.
Sono duecentosettanta
le ossa di un bambino
soltanto duecentosei
quelle di un uomo
crescendo
si saldano segmenti di scheletro
la cartilagine tenera
diventa duro tessuto osseo
saremo più resistenti
verrebbe da pensare
invece ci frammentiamo facile
si spezza il cuore, cedono le gambe
la mente vacilla, è tutto
un raccogliere pezzi intorno, la vita
Di Alfonso Graziano sottolineo
Stasera anche il cielo borbotta.
Tutti borbottano.
I cani abbaiano.
Il vento sbatacchia.
I vetri stridono.
E si rabbuia la strada.
Dei passi svelti
i lacci sciolti e il rischio d’inciampare,
nel nulla.
I primi sei versi, scabri: soggetto e verbo, nella frammentarietà del periodare, sanciscono l’idea di un equilibrio precario della vita, anzi diciamo pure squilibrio, che si chiarisce nel più mosso periodo finale, con la conclusione amara di un pessimistico nulla.
Se Graziano colpisce per la sua sintesi lapidaria, viceversa
Iole Chessa Olivares ha un dire ampio e solenne, ama scrivere diffusamentte più che suggerire e lasciare spazio alla creatività interpretativa del lettore. Nell’impossibilità, per via dello spazio, di riportare un intero lungo testo, inserisco di Solo il canto i primi undici versi perché, a parer mio, costituirebbero di per sé un componimento sintetico pienamente compiuto. Quindi un perfetto esempio di poesia.
Solo il canto
Nell'odissea dell'epilogo
si vorrebbe far finta di niente,
svezzarsi alla vita,
avere
con suprema adesione
una sola immagine,
senza maschere.
Si vorrebbe...
ma, tra le fessure intime,
cova il patire amaro
d'essere scintilla solo per svanire
[…]
Di Stefania Onidi voglio ricordare la bella poesia Cabirol
Cabirol
Come quando guardavo il mare
in cima alla scala di Cabirol
con la tua voce aggrappata alla mia spalla.
Attenta, non scivolare, dicevi.
Tu che appartenevi al sasso
e all’erosione.
Io che correvo il rischio di una canzone sciocca.
Il vento mi cacciava in bocca i capelli e il sale e tutto quell’azzurro bruciava in gola
come una biglia di spilli.
Qui
è ancora tutto troppo grande.
La scala del Cabirol, vicina ad Alghero – a Nord Ovest della Sardegna, presso Capo Caccia – è composta da seicentocinquantasei gradini che scendono fino al mare alle Grotte di Nettuno, in un tripudio di azzurro marino e di verde di macchia mediterranea. La poetessa di origine sarda ci offre un testo di grande immediatezza e di incredibile, evocativa, suggestione. Noi siamo lì, insieme ai protagonisti della poesia: sentiamo con i sensi il profumo del mirto e del lentischio, la salsedine dell’onda marina, ma ci appropriamo con la nostra interiorità di tutta la potenza, anche metaforica, di quell’immagine di grandiosa forza naturale e ne restiamo kantianamente annientati.
Regina Resta con il suo Autunno ci introduce invece a un lirismo quasi classico, nei toni elegiaci del trascorrere dei tempi delle cose. Il tono di pacata malinconia, che pure non esclude sofferenze, ci porta a un senso positivo di consapevolezza e di raggiunto equilibrio. Questo tono accorato ci permette quindi di credere e sperare in un’ultima stagione d’amore.
Autunno
Non è l’autunno a farmi paura
grossi nuvoloni bianchi nel cielo
attraversano il tempo
con scrosci di pioggia prima deboli
e poi come una tempesta a lavare le menti.
È il mio autunno che avanza,
il freddo non è sbocciato
ma nell’aria si sente il profumo di muschio e muffa
dei ricordi sempre più sfocati.
La pelle si ricopre di uno strato leggero di foglie
macchie sfumate che ti portano
alla realtà di un’età che avanza.
C’è il sapore di una stagione meravigliosa
quella della consapevolezza e degli ultimi cambiamenti
del giusto equilibrio dopo anni di cammino.
È tempo di riposo dalle lotte ma pronti per
l’ultima stagione d’amore.
Le poetesse lasciate per ultime, Terry Olivi e Angela Suppo, sono mie care amiche personali: conosco bene quindi le peculiarità caratteriali e quelle della loro scrittura. Le apprezzo tanto come amiche sincere e come poetesse, ma accennerò appena di loro, onde evitare di essere tacciata di favoritismo. Del resto le loro poesie parlano da sole, ogni cornice è superflua.
Di Terry Olivi, esperta conoscitrice e cultrice dell’arte orientale, presento quattro haiku di straordinaria leggerezza. La delicatezza della persona di Terry si trasferisce pari pari in poesia.
HAIKU
Gabbiano solo
alto sulla colonna,
nostromo d’aria
Roma, Santa Maria Maggiore, 2007
*
Cinque cicogne
sul palo della luce -
una famiglia
Ungheria, 1998
*
Vento e fuoco
pizzica la taranta -
sola in cucina
Roma, 2013
*
Ormai è un anno
anche nella magnolia
un cerchio in più
Velletri, 2006
Di Angela Suppo, poetessa dotata di ironia, di grande capacità di sintesi, creatrice di testi la cui suggestione si potenzia con l’abilità con cui dipana musicalità e ritmo del verso, segnalo una delle poesie che di lei prediligo da sempre.
Non interessa a Dio
il processo di qualità.
Lui, già sazio del mondo,
che vide buono,
annoiato dall’inutile diluvio,
si è arreso nel Figlio.
Ora tace.
E noi?
A noi ha lasciato
lo strazio del desiderio,
la nostalgia,
il cuore sospeso al Suo silenzio.
Di Marvi del Pozzo, che sono io, non dico nulla se non che amo, talora in poesia, far parlare tramite me, come fossi una medium, poeti del passato. In particolare qui il protagonista è Jaufré Rudel, poeta provenzale medioevale, recentemente ritradotto dalla lingua d’oc da Piero Marelli.
Un dire di spine e rose
Jaufré Rudel
a P.M.
Profumano gli sguardi
dell’amore di lontano
non si sfrangiano in polvere
ricordi mai vissuti
né pallide bellezze
appena immaginate.
Amore di pensiero
senza carne
senza sesso.
Perfezione nella teatralità
di un’idea.
Ma perché allora
questo vuoto sgomento
questo mio dire
di spine?
Di Giuseppe Vetromile, nostro anfitrione, non parlo in questa sede: tutti lo conosciamo non solo come infaticabile operatore culturale, ma come raffinato, sensibile, appassionato poeta. A lui, come Mecenate e come poeta, sempre il nostro grazie di esistere.