C’è generosità nella poesia di
Salvatore Contessini. Nella sua raccolta “Una tempesta di parole” (LietoColle
2011) l’autore non solo concede sè stesso alla poesia, ma concede la sua poesia
ad una forma feconda di amorevole condivisione del verso. Così l’autore si
abbandona al bene lasciandosi rapire dalle parole di altri poeti e a essi
risponde con una “tempesta di parole”. Ma non ci sono sovrapposizioni di voci
in questa sinfonia, bensì un coro che canta all’unisono ove ognuno svela il
proprio timbro interiore creando un tutt’uno armonico. Le parole diventano
personaggi ognuna per il suo significato più puro, e insieme una all’altra per
una composizione ritmica e semantica di forte e profondo impatto emotivo.
Il titolo stesso ci svela il
rapporto di forte passione che l’autore ha con la parola. E in quanto poeta si
sente completamente avvolto da essa, ammaliato, affascinato e forse anche soggiogato,
di sicuro spesso anche tradito quando essa non sopraggiunge ad afferrare nel
modo che si vorrebbe il senso del sentire interiore.
Ma voglio azzardare un’ipotesi
che, da sino-indologa, nasce in me quasi spontanea leggendo i titoli delle quattro
sezioni nelle quali è suddiviso il libro. Esse sembrano richiamare fortemente
la filosofia orientale; ricordano infatti il percorso fatto da Siddharta per
giungere al nirvana: “cosa si offre alla vista” il titolo della prima sezione, diviene
dunque la presa di coscienza del mondo, l’approccio con la realtà, ciò che è
intorno e fuori di noi; la seconda poi, “Percepire lo svanire delle cose”, rappresenta invece il lungo periodo di
eremitaggio di Siddharta quando il suo pensiero iniziava a comprendere
l’illusorietà della nostra realtà; Si arriva quindi alla terza sezione “Scivola
nel dubbio l’esistenza” traducibile quindi come la profonda crisi interiore di
Siddharta che riconosce come maya
tutto ciò che vedono i suoi occhi; Infine la quarta sezione, “Ripensare l’Essere
nella sua originarietà”, è dunque
l’apice della filosofia buddista, l’accettazione che tutto è illusione (maya
appunto) e che per sconfiggere il male è necessario acquisire tale
consapevolezza fino a riunirsi con il
Tutto, con l’Essere Supremo e Originario, giungendo dunque al Nirvana o come
viene tradotto da noi occidentali all’Illuminazione.
Forse è molto rischiosa questa
mia interpretazione ma ritrovo nelle poesie del Contessini una forte valenza orientaleggiante,
per l’appunto buddista con qualche concessione anche al taoismo: il bisogno di
sintesi nella ricerca del verso è palese; l’interrogarsi sul senso
dell’esistenza; sull’apparenza del mondo; la ricerca del silenzio.
Cinzia Marulli