domenica 10 settembre 2017

L'intensità della poesia. Correnti Ascensionali (CFR Edizioni 2013) di Laura Garavaglia.


Ho conosciuto Laura Garavaglia per volere del destino, di quel destino, come disse Dickens, che a volte ti fa bei regali. Come poeta e direttrice del Festival Europa in Versi avevo già sentito parlare di Laura, ma non avevo mai letto nulla di suo. Tuttavia, l’occasione di un festival di poesia in Colombia nel quale eravamo entrambe invitate ha colmato questa mia lacuna. E così Laura mi ha fatto dono dei suoi libri di poesia. Tra di essi mi ha colpito per primo “Correnti ascensionali” perché edito nel 2013 dalla casa editrice CFR del nostro indimenticabile amico Gianmario Lucini, esempio altissimo di onestà intellettuale e di sconfinato amore per la poesia.
“Correnti ascensionali “ mi ha folgorato: 11 testi poetici perfetti. Un cesello di parole che rappresenta la perfezione. Laura usa la “parola” come Matisse usa il pennello: con sinteticità, libertà e colore.  In questi 11 testi la Garavaglia ha compendiato un’infinità di tematiche affrontandole pienamente. Partiamo da “Autoritratto (pag. 11), un testo di soli quattro versi con i quali la poetessa ci pone davanti al senso umano dell’esistere attraversando la dimensione del tempo e della memoria, aprendo, altresì, la vista al percorso lento e inevitabile dell’individuo e dell’umanità. “Estate” (pag. 13), senza cadere nel banale della descrizione, ci porta in una dimensione marina, ci fa vedere il mare senza nominarlo mai e, tramite esso, ci proietta nella parte più profonda dell’uomo, forse anche melanconica, attraversando l’inquietudine del forse e il pensiero del finire.  In “Estate 2” (pag.16) il pensiero torna alla memoria, alla ripetitività di una certa esistenza quotidiana. Il tono è tagliente, impietoso e la chiusa ci pone di fronte all’illusione dell’apparenza. E’ quasi un monito, un richiamo per non cadere nel vuoto di un apatico trascorrere del tempo.  Con “Donna di sudori” (pag. 18) entriamo in un’atmosfera cruda. La parola si fa quasi spietata davanti al senso dell’inquietudine. La penna della Garavaglia in questo testo sembra quasi un bisturi che tenta di eliminare l’ottusità del sentire mediocre. Ne “Il filo” (pag. 20) il protagonista è il destino inevitabile della morte. L’immagine della foglia come metronomo del tempo ci unisce nel ciclo eterno e circolare della natura attraverso il ripetersi delle stagioni così come quello alternante della vita e della morte.  Di questi sette versi si potrebbe parlare e scrivere all’infinito tanto portano alla riflessione, alla meditazione e alla elaborazione di  interrogativi.  Il primo verso parla de il filo teso nero è forse il limite dell’uomo, il varco da oltrepassare o rappresenta le nostre paure, il lato oscuro dell’umanità? Ne “il collo del fringuello” (pag. 22) torna il pensiero dell’ineluttabilità della morte ma con una prospettiva differente, con un sentimento di totale accettazione: segno opaco di morte/ che non ho pulito. Il dolore della perdita, del distacco, è qualcosa d’incancellabile, che c’è e ci deve essere. Nella poesia “Sindrome di Asperger” (pag. 24) si affronta con senso di smarrimento una tema particolare: Non capisco/ la sbavatura del dolore/ l’emozione che scomposta deborda/ il bercio della vita.  Come comprendere ciò che è più grande di noi e che si cela nel mistero della scienza. Esiste un sistema perfetto?  In questo testo appare, dunque, il connubio scienza–poesia che tanto caratterizza la poesia della Garavaglia e che ritroveremo fortemente in un suo libro del 2016 “Numeri e stelle” (Edizioni Ulivo).  “La fretta del vecchio” (pag. 27) è una sottile meditazione sul valore del tempo, sulla caducità dell’esistenza, sul suo essere Tempo, limitato e circoscritto.  L’esistenza è l’elemento di collegamento con il dopo, anzi, come dice la stessa poetessa con l’incognita del dopo.  “Indicativo presente” (pag. 29) si presenta testo complesso e stratificato di significati. Tutto è percezione nei versi della Garavaglia. Lei ci porta al contenuto, o meglio ai contenuti attraverso parole materiche e rarefatte nel contempo che non sono mai descrittive, ma evocative.  In questo testo c’è la ricerca costante dell’uomo, la necessità di dare risposte al senso dell’esistenza. Sono testi, tutti, dove la bellezza prevale sia pure nelle riflessioni più inquiete. E’ una bellezza evanescente, fatta di luce, di sensazioni vibratili. L’ultimo testo del libro è “Meccanica quantistica” (pag. 32-34) che desidero riportare per intero:

Certe cose succedono e basta
non si può sapere il perché.
Non sarà l’alchimia nucleare
a spiegare
i sei gradi di separazione
che ci legano agli altri.
E poi, ogni tanto,
bere un bicchiere di vino
intuire il destino nei fondi di caffè
non sapendo chi resta, chi parte.
Del corpo più di ogni altra cosa
amo la bocca che si nutre del mondo
e scolpisce parole.

In questa poesia credo sia racchiusa la poetica di Laura, il suo pensiero, il mistero della vita e l’amore per essa.
Pur non avendo esaurito le mie riflessioni su “Correnti ascensionali” termino qui la mia scrittura lasciando agli altri lettori il piacere della conoscenza della poesia di Laura Garavaglia.

Mi piace però ricordare che questo libro, oltre a riportare un’attenta prefazione di Donatella Bisutti  e i testi nelle traduzioni in  inglese, rumeno e spagnolo di Barbara Ferri e Mario Castro Navarrete, è arricchito alle foto delle porcellane di Daniela Gatti, che, come dice giustamente la Bisutti, con i loro luccichii Klimtiani pongono l’accento sulla qualità variegata dei versi  e sul loro rapporto con la luce.

Cinzia Marulli

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