mercoledì 30 giugno 2021

Fili di condivisione a cura di Marvi del Pozzo: Amnesia dell'origine - poesie 2017 - 2020 - di Sergio Gallo (Puntoacapo 2021)

 

Fili di condivisione è la nuova breve rubrica a scadenza variabile che  intende accompagnare gli autori già in precedenza presentati in Letture condivise, segnalandone i lavori ulteriori. Come si sa, la poesia crea legami misteriosi e profondi che perseverano nel tempo. Oltre che rispondere a un desiderio di completezza informativa, la rubrica intende mantenere un filo di condivisione e di consolidamento di rapporto umano e artistico tra autore e lettore.

            Marvi del Pozzo

 

Segnalo la nuovissima raccolta di Sergio Gallo, molto ponderosa e innovativa rispetto alla precedente Beccodilepre, puntoacapo 2018, di cui parlammo in Letture condivise nel gennaio 2020. A parer mio quest’opera segna la svolta di maturazione dell’autore, aprendosi alle più rilevanti tematiche dei nostri tempi, dalla denuncia di misfatti collettivi di natura ecologico-ambientale, ai mali interiori e fisici che si abbattono individualmente su tutti noi, nel percorso e nel bilancio della nostra esistenza. Del resto mi pare quanto mai indicativo il titolo della raccolta Amnesia dell’origine, il cui significato Gallo, aiutando il lettore, spiega in nota: “non ricordare come abbiamo acquisito un ricordo” (v. Daniel L. Schacter, Alla ricerca della memoria, Einaudi 19996). 

Dello ‘scienziato’ Gallo, chimico e farmacista di Savigliano, ma anche filosofo, ricercatore della storia del pensiero dell’umanità, nonché sensibile cultore della parola scientifica e poetica insieme, è chiaro il messaggio primo: “non smettere mai di cercare” di natura antica, presocratica e socratica. La sua ricerca si esemplifica e si concreta nel linguaggio tecnico della scienza, abituale per l’autore, ma spesso arduo se non talora del tutto ignoto, per chi sia poco avvezzo alla terminologia connessa a discipline scientifiche. Ma questo linguaggio è il più caratterizzante, definitivo, per cose e situazioni e, relativamente all’autore (e alla sua poesia), è quello che lo qualifica, lo identifica, lo rende di assoluta originalità nel panorama della scrittura poetica italiana attuale.

Unico e inimitabile, per analisi approfondita delle fonti variegate, per vastità di orizzonti di sapere, ma anche nella ricerca di una ‘propria’ forma del dire, cosa che comporta l’uso di diversi registri – persino il sentimentale, che pure all’apparenza gli è estraneo – quando sia necessario servirsene, per esempio nelle rievocazioni dell’infanzia e di affetti familiari che il tempo ha dilapidato.  Il libro è vasto ed eterogeneo per varietà assoluta di tematiche e di stili linguistici. Una lettura di suggestione estetica e di ineludibile problematicità nei contenuti.


domenica 27 giugno 2021

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: "Coma" di Ada Crippa (Ed. La vita felice 2021)

Una prima osservazione, alla lettura di questo libro di Ada Crippa, riguarda ciò che mi ha maggiormente colpito nell’immediato: la capacità di rendere il dolore più devastante poesia pura, innalzandolo a un ‘sublime’ in fondo semplice, come quello originato dall’amore che tutto è in grado di sostenere tramite il cuore. La disperazione umana, questa forma di eroismo quotidiano, si trasforma in parole di poesia che, ponendosi esemplari e universali, conducono a una forma di superamento di ogni finitezza e caducità della vita umana. La sofferenza del mondo e quella personale della perdita e dell’abbandono della persona più cara, proprio nella capacità di cantare se stesse, trovano in sé una forma, se non di conforto, di unione con tutto il dolore universale: “sunt lacrimae rerum et mentem mortalium tangunt” [Virgilio, Eneide, I, 462]: “sono le lacrime del mondo e commuovono il cuore dei mortali”.

È questo di Ada un libro scritto con grande naturalezza e semplicità formale e, forse anche
proprio per questo, nasce l’incredibile condivisione nel lettore.

Non voglio parlare della vicenda personale, evidente del resto fin dal titolo del volume, soprattutto per una sorta di pudore dovuto al rispetto per questa storia d’amore che, dopo gli eventi drammatici del vivere, grazie ad Ada riesce a superare ogni transito fattuale e si eterna, vissuta in chi leggerà e amerà attraverso le parole della protagonista. A volte il non dire, o il dire parcamente, è utile più del dire se l’intento è quello di arrivare nel profondo dell’interiorità propria e del lettore. Così si fa percepire, o almeno intuire, il potere della poesia, forse proprio nella semplicità di eloquio, nella naturalezza della scrittura, nell’assoluta autenticità.

Poiché la poesia non ha età e siamo nell’anno delle celebrazioni dantesche, leggendo Ada Crippa quasi inconsapevolmente mi sono venuti in mente, con salto di secoli, i versi di Dante:

                       

mi son un che quando

Amor mi ispira, noto e a quel modo

ch’ei ditta dentro vo significando

                                   [Purgatorio XXIV, 52-54]

 

 È così anche per Ada e, credo, per ogni vero poeta: è lo spirito interiore che detta (per lei il grande amore che prova per il compagno di vita), carta e penna vengono dopo come elementi accessori, come ‘accidenti’. Altra è la ‘sostanza’ del sentire e della poesia.

Come accennavo in precedenza, ho scelto di entrare solo in punta di piedi nella vicenda concreta, medica e ospedaliera: propongo invece testi legati al vagare dei pensieri dell’autrice nei lunghi momenti di pena, vegliando in silenzio il viso spento dell’amato nell’attesa di qualche speranza di resurrezione che nella fattispecie, purtroppo, non ci fu per loro due.

 

Come una foglia stanca d'autunno

                       che s'imbarca sul fiume lento

senza sapere la foce

o un'ansa a girarle il corso

va in questa ora sospesa d'ansia

la vita

                                               23 giugno 2019

*

 

Tutto il mondo è fermo là fuori

quando un dolore impietrisce

 

vanno i sensi feriti in corteo

uniti attorno alla crepa del cuore

come bambini antichi in veglia

attorno a un focolare

                                               3 luglio 2019

*

 

Ci viene dato il mondo

quando nasciamo

 

il primo incontro con esso non

sappiamo

e neppure l'ultimo:

due punti cardinali uguali.

 

L’esistenza è un cammino

un annodare cerebrale

a ricordare il primo respiro

e ancora più indietro

 

all'incontro di due sconosciuti

fluttuanti che s' attraggono

senza nulla di essi conoscere

per sapere la polvere del mondo

                                               18 giugno 2019

*

 

Non c'è risposta al mio chiamarti.

 

Chiusa la tua voce da una valanga

di coscienza infranta.

 

Dormi un sonno che non conosco

e spero tu possa un giorno

parlarmene.

                                               24 luglio 2019

*

 

Il dolore è nella vita

come il ramo strappato dal suo albero foglioso

appare violento, improvviso.

 

Ferme le radici non si scompone il tronco

alla ferita

ma un silenzio solenne avvolge

e scuote le meningi

il bosco secolare e tutti i nidi

 

Nella speranza recondita di un momento futuro, in cui lui possa spiegarle la realtà di questo sonno assurdo, di cui Ada non può conoscere ma nemmeno immaginare la consistenza, l’autrice opera la metamorfosi di questa loro vita spezzata, identificando il loro percorso umano in certi aspetti della Natura madre. Ne deriva una forma di metempsicosi poetica tra uomo e aspetti naturali:

“l’albero secolare e tutti i nidi” scossi nelle meningi, il ramo violentemente strappato dal suo albero foglioso, la foglia stanca d’autunno “che s’imbarca sul fiume lento senza sapere la foce” “va in quest’ora sospesa d’ansia / la vita”.

 È estremamente suggestiva e accattivante questa similitudine di esistenza fluida tra uomo e vegetale che ci consegna al senso eterno, circolare del tempo alla greca, in cui tutto tende a ripetersi in maniera rotatoria come le stagioni, come il destino umano nel perenne alternarsi di vita e di morte in un eterno svanire e in un eterno ritornare, pur sotto diverse liquide, mutabili parvenze.

 

Vorrei andare sulle Dolomiti

là, nella tua terra natia di splendide albe

negli stessi occhi incantati scolpite cime

vedere insieme ammutoliti

la forte pietra arrossire al tramonto

acque limpide restituirci cielo

respiri silvestri lievi

 

mi resta questo azzurro lago in alto al viso

dove unire lacrime che ti riflettono

                                               18 novembre 2019

*

 

Avresti voluto suonare la tromba da piccolo

e io il pianoforte

musicisti mancati sì

nelle dita e nei fiati

ma c'era musica nell'andare alla vita

nei nostri passi che dai selciati si diffondeva

facendo danzare i fiori nei vasi dei davanzali

 

spartiti scritti nel sangue

nelle ali nascoste

noi uniti sospesi nell'aria

in quell'andatura incorporea dei sogni

quando ci amammo

                                               12 settembre 2020

*

 

Come è vasto il mondo.

Come è vuoto questo spazio di mura

edificate a contenere intimità

quando le voci dell'amore tacciono

 

non c'è favola nei libri narrata

che prende dimora

nella mia casa di vento

nessun sogno alloggia

 di assenza

nei letti vuoti d'abbracci

                                               I° novembre 2020

 

Nella prima di queste tre poesie troviamo ancora la consustanzialità di uomo e paesaggio (in questo caso le montagne Dolomiti, dove l’amato è vissuto) con effetto di forte resa emotiva ed evocativa; nelle ultime due, scritte quando il destino si è ormai totalmente, negativamente, compiuto, le memorie ormai si fanno più concrete, ma la lontananza temporale che incomincia a tingersi di assenza rende gli ultimi versi nostalgici e aerei, come i quadri sognanti degli amanti in volo di Chagall.

 

martedì 15 giugno 2021

Fili di condivisione a cura di Marvi del Pozzo: "Roma nostra" (Escamontage 2020) e "Quello che resta" (Progetto cultura 2020) di Lorenzo Poggi

Questa nuova breve rubrica a scadenza variabile intende accompagnare gli autori già in precedenza presentati in Letture condivise, segnalandone i lavori ulteriori. Come si sa, la poesia crea legami misteriosi e profondi che perseverano nel tempo.

Oltre che rispondere a un desiderio di completezza informativa, la rubrica intende mantenere un filo di condivisione e di consolidamento di rapporto umano e artistico tra autore e lettore.

 

 

Lorenzo Poggi

 

Del poeta Lorenzo Poggi, di cui presentai in Letture condivise nel febbraio 2020 il volume La Nauseatudine, edizioni La vita felice – libro che peraltro ha ricevuto apprezzamenti e premi – ho recentemente letto due volumi di poesia interessanti usciti negli ultimi mesi:

Roma nostra, EscaMontage 2020 è una raccolta di testi in romanesco ove l’immediatezza e la facilità d’espressione dialettale non scadono mai in contenuti comuni o convenzionali, ma servono invece a focalizzare la vena ironica, elegante non pecoreccia, dell’autore che sottilmente analizza usi, costumi, comportamenti, vizi costanti e pretese virtù del nostro vivere sociale. Satira puntuale e divertente, con qualche nota amarognola mai vergata con severità di censore.

L’altro volume, Quello che resta, Edizioni Progetto cultura 2020, scritto in periodo di Coronavirus, è un libro di poesia lirica dove l’autore mette a punto la sua poetica, ovvero il suo concetto di poesia e i propri intendimenti di poeta, al servizio della ricerca della sua verità esistenziale, condotta con sobrietà e forte senso civile e morale. L’aderenza ai valori di una vita totalmente ‘naturale’ – di rispetto per cose, paesaggi, animali, persone – e la scrittura figurata, ricca di estro creativo ma sempre fortemente antiretorica, mi hanno reso la lettura molto rasserenante e piacevole. M.d.P.


 




 

 

domenica 6 giugno 2021

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: "Il mio Pinocchio" di Pasquale Montalto (Macabor 2020)

Pasquale Montalto, poeta e narratore calabrese nato ad Acri nel 1954, è studioso di vasta esperienza in campo psicologico e sociologico, essendosi laureato alla “Sapienza” di Roma in Psicologia clinica e Sociologia e specializzato in Psicoterapia analitica. Lavora tuttora come psicologo e psicoterapeuta in territorio calabrese, a Cosenza in particolare.  È uomo del Sud e, come tale, ama essere ricordato e apprezzato anche nei suoi lavori poetici: è inserito infatti tra I poeti del Sud a cura di Bonifacio Vincenzi, Macabor editore 2020; in Quadernario Calabria, Lieto colle editore 2017; Noi poeti della Sicilia e della Calabria, Gabrieli Editore 1999. Sue poesie sono state tradotte in varie lingue e su di lui si è recentemente scritta una monografia ad opera di Tito Cauchi, Sogni e ideali di vita nella poesia di Pasquale Montalto, Totem edizioni 2020.

Devo dire che mi sono imbattuta in questa figura di poeta un po’ per caso e sono stata colpita dalla originalità del suo ultimo libro Il mio Pinocchio, Macabor 2020. Scrivere un volume di poesie sul fortunato burattino di Collodi ai nostri giorni mi è sembrata cosa fuori via, del tutto particolare, ed è così che, incuriosita, mi sono addentrata nella lettura.

Sicuramente è un libro composito: Pinocchio è metafora degli adolescenti e dei giovani di oggi, ma anche di tutti coloro che, di qualsiasi età, cercano il proprio mondo interiore per vie non sempre omologate e precostituite. Siamo tutti un po’ dei Pinocchio che trovano la propria strada a fatica: forse abbiamo fatto dannare i nostri Geppetto benpensanti, inseriti magari nell’abitudine di un conformismo confortevole e stabilizzato, ma sempre pronti, come genitori, a sostenere i figli, anche se non si comprendono nelle loro divergenze, sempre seguiti tuttavia con empatia viscerale affettuosa.

Ho detto che è libro composito, perché l’autore affianca alle poesie su Pinocchio altri testi, meno inseribili in questo filone: sono poesie d’amore, di sentimenti familiari, di valutazioni morali o psicologiche (attinenti forse anche all’impegno professionale del poeta). Ebbene questa parte, più consueta, mi convince un po’ meno, ma unicamente per mio gusto personale: mi suona piuttosto sentenziosa, moralistica, comunque meno originale, anche se la ‘normalità’ di certi testi viene trafitta qua e là da qualche verso davvero folgorante. Non intendo di certo muovere obiezioni alla validità indubbia di questo autore, ma esprimere opinione del tutto soggettiva.

Del resto, come spesso ho sostenuto e risostengo oggi, la poesia è fatta di tante sfumature, spesso inafferrabili. In sostanza, tuttavia, c’è sempre una parte ‘oggettiva’ unanimemente giudicabile, che è quella ‘tecnica’ – relativa all’arte della versificazione, alla conoscenza di tutte le nozioni necessarie per saper scrivere versi in modo accettabilmente corretto – e una parte ‘soggettiva’, del tutto personale che coinvolge, oltre all’autore, chi legge. Questa parte, che è la più rilevante perché riflette il mondo del pensiero e dei sentimenti del poeta, la sua storia umana, l’habitat culturale, il suo modo di sentire, è ovviamente suscettibile di maggiore o minore empatia da parte del lettore. Ma non deriva da ciò un giudizio di valore, bensì una maggiore o minore corrispondenza al testo, del tutto opinabile in quanto legata appunto al gusto personale.

Detto ciò, coltivando quindi le mie motivazioni soggettive, vi propongo alcune poesie relative alla figura di Pinocchio, seguendo la dedica che l’autore rivolge a Carlo Lorenzini, Collodi, padre di Pinocchio, al proprio padre Andrea e “ai padri che rendono possibile la vita di chi cerca con piacere il cammino dell’incontro” [Montalto]. Aggiungo io, magari con un percorso all’incontrario – come Pinocchio – dove le esperienze divergenti, per molti versi eticamente discutibili, servono a capire chi siamo e chi vogliamo diventare, quali percorsi dolorosi dovremo intraprendere per costruirci migliori, quali zone abissali di noi dovremo scandagliare prima o poi per fare i conti con noi stessi.

 

Sogni a primavera

 

Ascolta il fuoco,

la fiamma parla, gioca, danza,

e la vita

nasce dal legno,

apparentemente statico e freddo.

 

Ascolta il cuore

e con l'energia dell'amore

illumina la mente,

perché la vita

non perisca al buio.

 

Chiama, chiedi, cerca,

con amore,

e liberamente, sinceramente,

sicuramente incontrerai

la verità dei tuoi sogni,

in una lunga primavera.

 

*

Al campo dei miracoli

 

I

Corri Pinocchio, vola

 

Cogli un fiore Per la tua Fata

 

E a Geppetto

Porta un germoglio tenero

 

Non cercare complicità scadenti

Quando i gendarmi

Ti sbarrano la strada

 

Ma chiedi alla vita

Il dono dell'abbondanza

 

Non più burattino

Graffiato

Da un torto irremissibile

 

II

Corri Pinocchio, vola

 

E non perderti tra le nuvole

Per rincorrerne l’ebrezza

 

Il Paese dei Balocchi

 È un sentiero ancor più lungo

 

Che segue il verso

Di una girandola controvento

 

Libera la tua anima

Dietro al sogno di Lucignolo

 

E non tradire le tue lacrime

Nell'inganno di un miracolo

 

La prima poesia ci parla del bambino di legno, Pinocchio, cui forse Geppetto dona i primi rudimenti di vita essenziali: seguire il logos, il fuoco, il simbolo del pensiero, della parola, della forza della mente, quindi, ma anche dell’amore, della passione che anima ogni agire. Il fuoco è luce che nella poesia si contrappone al buio della perdizione, che non avverrà se Pinocchio vivrà non da sé e per sé, ma in una comunità di sentimenti e di affetti: “chiama, chiedi, cerca”. Non si vive da soli, non ci si salva da soli. Un insegnamento morale impartito con delicatezza e amore paterno.

Al campo dei miracoli è l’invito al burattino-ragazzino di vivere con letizia la sua età: “corri, Pinocchio, vola”, ma di avere obiettivi positivi, simboleggiati dal portare un fiore alla fata, un germoglio a Geppetto, con delicatezza e altruismo. “Non cercare complicità scadenti”, “Non perderti tra le nuvole per rincorrere l’ebrezza”. Qui forse viene fuori il salto generazionale tra i padri e i figli. Perché mai Pinocchio non potrebbe e dovrebbe imparare dagli incontri determinanti della vita, anche se non edificanti in senso stretto? E, soprattutto, perché perdere la bellezza dell’annegare tra le nuvole del cielo, tra la creatività indeterminata e vagante dei sogni? Il ‘paese dei balocchi’ ha un sentiero lungo e anche doloroso, è come una girandola controvento, ma talora è l’unica via che può responsabilmente portare a crescere, con scelte meditate e soprattutto proprie.

 

In carrozza

per Via del sole

 

Al cuore stringo

la giacca di Geppetto

- verde pisello, quella

consumata di mio padre

­e l'abbecedario,

rifiutata ombra nella memoria,

con fatica s'allinea al sussidiario,

sempre nuovo e ingarbugliato

tra quaderni e matite, che svogliati

zumpano nella cartella di cartone,

briglie sciolte e scorribande

al suono della campanella ...

 

negli anni

poi ...

 

dalla marionetta al burattino,

nella libertà del bambino (ri-)conquistato ...

 

sul serio

studio

fino all'ultima goccia di sudore.

 

Trovo bellissima e intensa questa poesia, dove Pinocchio e Geppetto vengono a identificarsi col poeta e il proprio padre in una vicenda contemporaneamente di favola e di storia vera, in cui protagonisti sono i sentimenti autentici, nudi e crudi, senza sentenziosità, senza moralismi, ma con tanta vitalità di cuore.

 

Le ultime due poesie che propongo non vedono direttamente protagonista Pinocchio, quanto tutti i suoi fratelli in carne e ossa, e non solo ragazzini.

Il rifugio del mantello adombra ancora un po’ tra le righe la figura del burattino e di Geppetto per alcune situazioni, che si aprono a metafore universali. Nell’ultima poesia, Parole in dono, si possono scorgere i messaggi conclusivi dell’autore sui valori salvifici dell’Arte e della Bellezza, che generosamente bisogna sapere offrire agli altri, perché fruttifichino per le vie mondo senza che siano trattenuti in modo egoistico, come gli sterili tesori dell’avaro.

 

Il rifugio del mantello

 

Nella bufera,

tra il vento e la pioggia,

aggrappati al ramo d'ulivo,

reggiti dritto in bilico,

non vacillare e attento

a non cadere vittima del drago;

 

manca poco all'alba

perché spunti

la tua giornata di sole;

 

avvolgiti

nel rifugio del tuo mantello

e ascolta

la corsa dei tuoi piedi,

che sull'onda del cuore

salgono la scala

che porta luce di salvezza,

 

dove tuo padre, maestro d'arte,

attende parole d'ogni bene.

 

*

Parole in dono

 

Non sapevo cosa regalarti

Per quanto mi sforzassi

Non riuscivo a scoprire

Cosa potesse renderti felice

 

Ho allora pensato

A cosa io avessi di più prezioso

Ed è comparsa Poesia

 

Luce colorata

Che non deve mai mancare

Sulla strada della tua vita

 

Versi di sole offerti in dono

Alla festa dell'equinozio estivo

Perché riscaldino

La tristezza di ogni tempo