Come molti sapranno il nostro caro amico Giacomo Caruso, appassionato musicista e irriverente poeta, ci ha lasciato l'altra notte dopo aver lottato contro il covid 19.
Il suo corpo, fatto di materia, ci ha lasciato, ma Giacomo non era solo questo, la sua essenza rimane indelebile come il sorriso e la gentilezza che ci ha donato sempre.
In una sua poesia Giacomo ha scritto "ora nasco bambino delle stelle" e mi piace pensare che quel bambino ora sia felice nel suo viaggio di luce, felice della vita vissuta, felice di aver fatto della sua vita una straordinaria poesia.
La casa editrice Progetto Cultura e io abbiamo avuto l'onore di pubblicare una sua raccolta di poesie nella collezione di quaderni di poesia "Le gemme" e ora, proprio per far vivere e viaggiare la "parola" di Giacomo, abbiamo deciso di comune accordo di pubblicare qui su ParolaPoesia tutta "la gemma" di Giacomo affinchè ognuno di voi possa leggerla e apprezzarla.
Cinzia Marulli
Apparenze
di Giacomo Caruso
Prefazione di Letizia Leone
Ballate
rap dalla fine del mondo
Correva
l’anno 1919 quando Paul Valéry, con inquietante precisione, metteva sull’avviso
che non
solo l’uomo è mortale, ma le stesse civiltà sono destinate
all’estinzione e che “l’abisso della storia è grande abbastanza per qualunque
cosa”.
Considerazioni
primonovecentesche, certo, incluse ne La crisi dello spirito, ma che
adesso, ad un secolo di distanza assumono la valenza di premonizioni
apocalittiche drammaticamente urgenti: le civiltà, interi sistemi culturali e
spirituali, come l’umanesimo, ad esempio, rischiano la sparizione, così come
già accaduto per molte specie viventi ed ecosistemi, inghiottiti in spirali
irreversibili di distruzione. Eppure non è un caso che tali riflessioni
critiche siano state scritte da un grande poeta perché la poesia si rivela
quasi sempre lucida testimonianza del contemporaneo, specchio della storia
collettiva ed individuale.
Questa
la premessa necessaria per entrare nella poesia di Giacomo Caruso.
La
sua scrittura poetica, infatti, risponde in pieno ad una vocazione civile, a
quella spinta della poesia a farsi
viaggio dentro l’anima del proprio tempo, oltre che del proprio io.
Il
suo canto inizia in medias res, ci catapulta subito nel bel mezzo del regno
delle Apparenze (la società liquida e materialistica con i suoi miti,
feticci, simulacri...), dove un nuovo medioevo mediatico e tecnologico pare
aver sostituito l’interiorità con l’esteriorità. Certo non è facile “recitar
cantando”, o per meglio dire, con versi diversi, persi, densi / di doglianze
e di voglia che non c’è, sintetizzare tutta la complessità della società
globalizzata e insieme l’agonia della civiltà occidentale dove ogni cosa sembra
dissolversi in una sorta di liquidità. E Zygmunt Bauman, che ha sancito l’idea
di “modernità liquida”, è convinto che questo interregno di crisi, di
liquefazione di ogni valore e certezze, durerà abbastanza a lungo. Allora il
poeta, costretto nella palude dell’attuale disorientamento (in questo stato
d’animo collettivo sublimato nei nuovi valori dell’apparire e del consumismo
bulimico), fissa una sorta di organigramma poetico:
non
voglio che questa mia poesia sia soltanto invettiva
la
poesia è un’eucarestia la voglio cosa viva
la
voglio più creativa, inventiva, sognante assonanza
vicina
alla danza del cuore e della mente non riesco
a
scrivere niente
che
non sia scaturigine del cuore, dell’immenso dolore
che
mi preme e mi opprime ombra scura che mi porto
appresso
che indosso ogni mattina quando il sole
prova
a schiarire il velo chiuso nel mio
impermeabile/corazza
Contro
i rischi di fraintendimento bisogna dichiarare intenzioni ma anche ri-fondare
il senso labile del fare poesia oggi: non solo invettiva... la voglio cosa
viva e sognante assonanza... scaturigine del cuore; e cioè ribadire che la
poesia è una forza viva alimentata dall’intelligenza del cuore e dalla
razionalità, da spinte emotive ed etiche insieme. Giacomo Caruso ha
introiettato il senso pasoliniano del voler “restare / dentro l’inferno con
marmorea / volontà di capirlo”, una continua tensione tra passione e ideologia
elettrifica i suoi versi distribuiti nei tre movimenti/momenti del libro,
“Apparenze”, “Considerazioni dal pianeta terra”, “Paura, Tempo, Eternità, a
piacere”.
Già
ad una prima lettura di questi testi, vere e proprie partiture verbali dalle
ampie volute ritmiche e melodiche, si intuisce come l’autore goda il privilegio
di una doppia ispirazione, quella del poeta e del musicista. La sua poesia,
nell’impianto dei versi molto ritmati, condensati in lunghe lasse strofiche,
rivela la struttura di un rapping di altissima qualità poietica dove la parola
tende a teatralizzarsi, esige la messa in scena vocale, necessita del canto o
per meglio dire di una scansione ritmico-sonora martellante ed energica.
Infatti
nell’esecuzione (sia lecito il prestito dal lessico musicale) e nell’ascolto di
questi poemetti, per non dire ballate rap di forte impatto comunicativo, si
viene investiti da un’onda sonora continua che prevede rare pause ed evoca,
quale sottotraccia invisibile di accompagnamento, un ritmo di percussività
sonore. Già Sanguineti aveva sperimentato il rap nella versificazione, la
recitazione ritmata, una “messa in forma delle parole” che riportasse in primo
piano il ruolo della musica all’interno della poesia. Nel laboratorio di
Giacomo Caruso troviamo tutti gli strumenti delle figure stilistiche e di
parola, la sua ricerca sul suono e sul significato si ricollega alla parentela
originaria e indissolubile tra suono e forma verbale, la quale ha ascendenze magiche
e incantatorie.
La
tessitura verbale è tramata sulle ripetizioni, dalle allitterazioni alle
paronomasie, dove l’uso delle iterazioni fonoprosodiche si assimila alle note
ribattute di uno spartito musicale. Ma l’insieme altamente ridondante della
composizione si avvale anche di anafore, giochi linguistici, assonanze,
omoteleuti e rime varie, dalle imperfette alle rime interne fino alla rarità
delle rime sdrucciole.
In
“Considerazioni dal pianeta terra” ci troviamo di fronte ad un recitativo dalla
robusta valenza segnica e semantica, quasi un diario di bordo confessionale
stilato sulla misura di un verso ipermetro che passa in rassegna drammi
planetari ed intimi dell’io, quali entità frammentate dopo la perdita di una
loro simbiosi originaria. L’ecocidio viene evocato nella figura dell’orso
polare a rischio di estinzione e nella denuncia della responsabilità umana, la
specie più pericolosa del pianeta:
...nella
massa, nella matassa debole e intricata, che
cresce
e si diffonde e confonde da secoli, millenni,
l’uomo
s’espande a dismisura e cambia la natura ...
Una
sperimentazione metrica ad ampio raggio, quella di Giacomo Caruso.
Nell’ultima
sezione viene attualizzata la ballata in endecasillabi con ritornello, e qui il
ritornello diventa segnale e richiamo contenutistico macroscopico: d’ansia
sottile è questo nostro tempo oppure è tempo ormai di dare tempo al tempo;
una allarmante eco che rilancia variazioni e approfondimenti sul tempo corroso
di questa nostra post-storia quotidiana...
Date
queste premesse diventa inutile sottolineare come nella poesia di Caruso si
riveli fondante e fondamentale l’atto dell’esecuzione, l’atto della lettura, la
grana e il timbro della voce che pronuncia le parole di questo ammirevole
montaggio acustico destinato a suscitare una specie di “pelle d’oca uditiva”
nel pubblico, come direbbe Seamus Heaney.
Letizia Leone
***
trasumanar
transumando di stanza in stanza colmare
la
distanza tra volizione e voluttà palingenesi e metempsicosi.
Apparenze.
ingresso riservato agli addetti ai lavori
se tocchi
i fili muori o cadi ammalato
gravemente
sostanze,
accidenti, soltanto apparenze i guasti del pensiero
occidentale
sono evidenti sotto gli occhi di tutti
pensieri
orizzontali, idee unidimensionali,
niente che
spazi, spezzi, voli
meritiamo
tutti il paradiso dell’ovvio, del banale
come
un cambio di canale, uno zapping metafisico
che poi la
sostanza sia soltanto apparenza o semplice
accidente
condizione necessaria e sufficiente lo narrano i
filosofi
da secoli psicologi, alchimisti
persino i
giornalisti ritengono di avere soluzioni buone per
tutte le
stagioni o in alternativa
nel breve
periodo nel soffio di un istante
cultura
arrogante ad ogni nuovo giorno la realtà terribile e
invadente
mostra il culto del niente altrove
si
stabilisce il come il quando si determina il quanto ed il
perché si
decide meno democrazia una libertà sotto tutela
altrove
il
capitale sta sferrando l’offensiva finale in maniera virtuale
in maniera
virale in maniera globale
***
la forza
del denaro genera denaro
hanno
deciso in nome del profitto di abolire il diritto
di
scatenare l’apatia, la monomania, la disperazione
e noi
siamo divisi, dispersi, uccisi chi si opporrà
ci
dobbiamo contare ci dobbiamo preparare stare pronti al
minimo
accenno alla campana in allerta perenne resistenti
renitenti
resilienti stare pronti ed attenti alla fine dell’eone
al colpo
di coda del dragone per nessuna ragione perdere di
vista gli
obbiettivi rimanere vivi senzienti se necessario
mostrare i
denti indossare di nuovo l’armatura imbracciare
cultura
rinsaldare i legami affinare la mente affilare le lame
risolvere
gli enigmi delle sfingi delle tigri di carta trascinare
il pesante
sollevare il presente sacche di resistenza di mondi
lontanissimi
contro il culto del male, della morte, del nulla
globale
contro la tecnoidiozia totalitaria e totale
miserere
all’Italia dei naufraghi e dei furbi
dialoghi
sui massimi sistemi tra passeggieri e
venditori
di almanacchi, tipi bislacchi, venditori
di carte
di credito e discredito, banchieri, grilli
parlanti, avventurieri,
non sono la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi mi illude, o forse
delude, ma
certo collude, e anche collide con le
mie idee
magari ne avessi di nuove di belle!
sostanze,
accidenti, soltanto apparenze
***
non fa
differenze chi sfrutta le miserie, misere, serie, di un
popolo
alla frutta allegrie di naufragi e nubifragi
e dissesti
e palinsesti, sconfitta degli onesti andiamo avanti
con
difficoltà non abbiamo la forza di guardare non
abbiamo il
desiderio di cambiare non abbiamo la fede di
aiutare
non abbiamo il coraggio di rialzare chi non arriva
alla fine
del suo viaggio chi non arriva
alla fine
del mese chi non arriva alla fine chi non arriva
voglio i
responsabili, voglio vederli in faccia se lasciano una
traccia
una scia di bava, esseri che si nutrono d’anima
succhiano
il cuore, lo lasciano vuoto involucro di carne e
sangue
disfatto distrutto e sul finire d’un febbraio muto
io piango
calde lacrime e salate una terra, la terra mia
adorata
luogo che mi ha generato diventato un paese
perduto
così inabitabile così ingovernabile così
spaventevole
così nonostantetutto così ancora amato così
***
aiutatemi
a coltivare la speranza
datemi
ancora un valido motivo per sentirmi più vivo
desideroso
ancora di lottare e cambiare una linea perversa
una strada
ormai persa
e sul
finire d’un febbraio muto
si ripete,
moderno antico rito,
’esercizio
della democrazia
cittadino
che esercita il potere, il diritto-dovere
tutto
quello che dovete fare è una croce sul
simbolo o
sul nome, non c’è preferenza dovrete
farne
senza, è la legge asino chi legge, chi elegge,
fette di
salame sugli occhi o nelle schede,
mangiatevi
anche quelle, partito del nonvoto,
antipolitica
populismo o demagogia, non c’è più
ideologia,
non c’è democrazia il rosso si è
stemperato
in un freddo arancione... sostanze,
accidenti,
soltanto apparenze
***
mi avvio
con levità immorale, immortale,
immotivata
verso versi diversi, persi, densi di doglianze e di
voglia che
non c’è non ce n’è mai abbastanza chi
conduce la
danza non cede duole e fa male l’anima
non voglio
che questa mia poesia sia soltanto invettiva la
poesia è
un’eucarestia la voglio cosa viva
la voglio
più creativa, inventiva, sognante assonanza vicina
alla danza
del cuore e della mente non riesco a scrivere
niente
che non
sia scaturigine del cuore, dell’immenso dolore che
mi preme e
mi opprime ombra scura che mi porto appresso
che
indosso ogni mattina quando il sole prova a schiarire il
velo chiuso
nel mio impermeabile/corazza chiuso nel cielo
di nuvole
e pensieri solite scarpe soliti jeans addosso e
troppo
tempo per pensare ombra scura che mi attende in un
fosso, al
semaforo rosso, al varco della vita
***
avevo da
bambino soldatini di carta e carrarmati e
inventavo
battaglie con me stesso
spada
finta - corazza di stagnola come sola compagna la mia
fantasia
la mia
fantasia
come sola
compagna
corazza di
parola - versi veri ed invento schermaglie di
destrezza
cerco da adulto nuovimondi di carta e
pentagrammi
***
quel
giorno era così freddo che si è cristallizzata la
tristezza
un frammento di gelo mi è rimasto - dentro una
fitta
lontana ed invadente lama luminescente un
pervadente
niente vago e persistente
***
cosa
aspettiamo ancora dalla notte se
non gli
abbracci i baci le carezze
sprofondiamo
nei sogni e nel diletto,
nel nostro
letto, astronave d’infinito, ci
accoglie
l’altrove e l’altroquando un
varco
cristallino, un arco astrale un
vortice
metatemporale un pensiero
bambino,
un gesto animale tutto si
ferma,
tutto si ricrea nell’amore
riprende
fiato il mondo il nostro e
quello
intorno finché arriva di nuovo il
nuovo
giorno ed i suoi affanni quelli di
ieri
riposati
anche loro dalla notte dal
sonno
***
ma tu, tu
che mi hai amato un tempo non lontano
disperdi
la mia immagine, se vuoi, in minuti frammenti
disperdimi,
triturami, frantumami in oligoelementi
disperdi
la mia vita, se lo vuoi, disperdi il bello e il buono
che c’è
stato tra noi, per noi, in noi.
disperdi
le carezze, e i baci, e le tenerezze,
disperdimi,
se vuoi.
disperdi i
versi miei leggeri, l’oggi e lo ieri,
le notti
insonni e i sonnolenti giorni.
disperdi
la mia vita, se lo vuoi,
non
finita, ma mai comiciata
prima di
te.
disperdimi,
se vuoi. disperdi me
sostanze,
accidenti, soltanto apparenze
***
provo
spesso una grande nostalgia di
tutte
quelle vite che non ho vissuto un
pesante
tributo alla realtà oggettiva al
bisogno e
alla necessità
mi piace
ultimamente - quando posso –
rintanarmi
in casa in me stesso
nel
territorio sterminato dei versi/delle note rifugio
dall’inquieta
moltitudine riparo dall’insana ingratitudine
dalla
tempesta in salmodiante spasmodica ricerca di un
angolo di
mondo
un luogo
ancora libero non virtualizzato
rimasto
inattaccato dalla minaccia globale
fuori o
dentro la mente nel bisogno
impellente
dell’attesa nell’estrema difesa
di quello
ch’è più sacro nell’estrema
difesa
amo in
realtà anche altre cose, ma sì, mangiare mi piace
e si vede
non amo
invece il sudore, fatiche coatte e palestre,
persone
distrutte o distratte dal culto del corpo... la
mente...
se la mente ha un culto lo sposo lo adotto lo
faccio
mio, tenere il cervello in funzione fino alla fine e
oltre
la coltre
di cielo di vento lo stelo di un fiore che muore
rumore,
rumore di foglia cadente sono soltanto
comete,
forse apparenze sognanti assonanze, le
stanze,
acquadanze d’istanti che corrono avanti, gli
anni son
tanti... di già?
e come ci
sono arrivato, che è stato, il tempo è
passato
inesorabile incommensurabile adorabile
devastante
***
siamo più
consapevoli in questa anagrafica medi-età?
siamo più
forti, più deboli, o morti? siamo vivi,
ancora,
resistiamo,
suoniamo, scriviamo, amiamo, ci siamo
e ci resteremo
nessun
cervello ripete all’infinito
ma
liberati in pura energia saremo tutto-in-uno al
multiverso
già mi sento un po’ perso al pensiero d’eterno ai
ricordi
d’inverno nelle ossa e nel corpo in fondo non
sappiamo
quali mondi ci aspettano al di là di quella crepa
che misura
di sé l’inconoscibile
che
informa in sé l’incommensurabile passaggio vago ad
altre
dimensioni puro presagio pieno d’energia vita di vita
altrove ed
oltre ancora galassia trasparente di pensiero è
certo che
dal noto all’ignoto ci sia stato un varco uno iato
una cesura
un guado così mi sento attanagliato e preso ma
non
sorpreso
di una
furente e imbarazzata quiete una stasi quasi una
depressione
una tristezza una dolcezza nuova
un’energia
vitale che scorre a tratti e poi s’inceppa fino
all’estremo
limite del tempo tralasciar trasalendo di rumore
in rumore
perdere il candore tra costrizione e correità
cosmogenesi
e metamorfosi. Apparenze. ingresso riservato
al solo
personale
se dici
che fa male rischi di essere odiato cordialmente
sostanze,
accidenti, soltanto apparenze
Considerazioni
dal pianeta Terra
I
pensavo
infatti che l’orso polare, il grande predatore,
è a
rischio d’estinzione - spacciato, segnato perché
ridotto
s’è lo strato dei ghiacci condannato dal
riscaldamento
globale del pianeta provocato dal
cosiddetto
effetto serra un effetto letale una guerra
un segnale
dell’insolente inconsistente incosciente
arroganza
e che di tutta questa terra la specie più
pericolosa
sia l’umanità
riflettevo
infatti che nel suo complesso senza eccezione
alcuna - anche
chi legge e chi scrive - ricompresi nella massa,
nella
matassa debole e intricata, che cresce e si diffonde e
confonde
da secoli, millenni, l’uomo s’espande a dismisura e
cambia la
natura intrinseca di questa scheggia di materia
incastonata
in un remoto angolo di un remoto sistema di un
remoto
universo perso in perpetuo moto tra milioni di altri
mondi
all’infinito
consideravo
infatti che per quanto si faccia, si dica, si
combatta
- cause
giuste sbagliate concrete astratte -
raramente
il nostro passaggio in questo mondo lascia
traccia,
ricordo, considerazione, al di là dell’effimero
deserto
abisso inevitabilmente insondabile che - ogni
giudizio
sospeso - appare in chiaro nel solo evidente
ribrezzo
per tutto ciò che induce ragionevoli certezze di
fede o di
speranza
rimuginavo
infatti che in eterne guerre o conflitti si
dibatte
l’essere detto umano inconsapevole pedina o
schiavo di
false convinzioni bisogni religioni che
invece
della liberazione impongono catene
e gravami
sempre più duri e strazianti
avviluppato
in una ragnatela mortifera e
perversa
persa colpo su colpo la rotta per l’eterno
passo su
passo verso l’inferno in questa terra
II
pensavo
infatti che da tempo non seguo più l’esempio di
chi mi ha
preceduto, ha creduto in quello ch’io non credo
ormai più
ed una nuova via soltanto mia devo inventare o
affrontare
camminare a lungo solitario alla distanza
ritrovare
una quiete un rifugio trovarlo senza indugio ché
già
incalza la stolida certezza del niente quodidiano
diamoci la
mano in cordata saliamo ancora e ancora laggiù
(lassù) un
barlume di salvezza gioia o serenità il dilemma
riflettevo
infatti come da grande desiderio d’infinito
questa
assetata umanità venga animata quando - ogni
eccezione
rimossa - viene scossa dal palpito alieno del
divenire
dal brivido feroce del capire quanto vicina sia la
meta
quanto distante sia dal comune sentire la via
maestra
che traspare negli attimi di luce induce in
tentazione
e sminuisce il quotidiano gioco complicato e
infecondo
giro giro tondo giù per terra
consideravo
infatti che non è esercizio di pessimismo
cosmico,
comico dibattersi, mera affabulazione, stolta
riflessione
su quanto ci circonda ci opprime ci deprime ci
abbatte
catartico il diluvio di parole che sgorga e si
profonde
non è così non è questo lo scopo il fine la
destinazione
non è tra pace e guerra che s’impone la scelta
è tra
essere e non essere partecipi della scintilla vitale
dell’energia
animale che permea l’universo
rimuginavo
infatti che è già tanto se riesco a dirmi un po’
sereno
provarci almeno la gioia se c’è stata è passata come
effimera
cosa un profumo di rosa un sentore un velo
trasparente
un niente lontano le dita di una mano le
occasioni
passate oltre andate senza rimpianti e senza
recriminazioni
emozioni oh sì ci sono ancora e allora diciamo
che la
gioia è speciale se c’è fa male porta lontano
metabolizza
la sconfitta l’età che avanza cambia la
prospettiva
cura la carne viva lenisce la ferita (molti la
chiamano
vita) alla fine
Paure,
tempo, eternità, a piacere
I
d’ansia
sottile è questo nostro tempo
mi
sorprende alle spalle la paura, paura
che si
snoda come serpe serpe
viscida
serpe quotidiana quotidiana
d’affanno
mi sorprende d’ansia
sottile è
questo nostro tempo
di paure
le eterne conviventi conviventi
di questo
nostro mondo mondo
fantasma
orrido bestiale bestiale
zoo reale
di paure d’ansia
sottile è
questo nostro tempo
di mostri
generati dentro il sonno
sonno
dell’intelletto, di memoria
memoria
selettiva e casuale casuale
mostra
d’efferati mostri d’ansia
sottile è
questo nostro tempo
è coltre
scurotetra che s’estende s’estende
di
terrore, di presagi presagi,
orrori,
gravide parvenze parvenze
vive
d’anima ch’è oltre
d’ansia
sottile è questo nostro tempo
voglio che
la paura mi attraversi
attraversi
la mente e non mi uccida uccida
nel
pensiero i desideri desideri
di volo e
vento io voglio
d’ansia
sottile è questo nostro tempo
II
tempo
trafitto trepido tremante
tremante
disperato ansante perso
perso di
gorghi attorcigliato sghembo
sghembo
contorto vorticoso tempo è
tempo
ormai di dare tempo al tempo
nell’angusta
clessidra ratto scorre
scorre
sabbia silicea silenziosa
silenziosa
parvenza di memoria
memoria
limitata ancora e angusta è
tempo
ormai di dare tempo al tempo
ne rimane
un’opaca trasparenza
trasparenza
e sostanza senza veli veli
di vitrea
vuota vanagloria vanagloria
del nulla
ne rimane è tempo ormai di
dare tempo
al tempo
tempo
frattale e franto di dolore dolore
che
indicibile rinnova rinnova le
rabbiose
spire d’ansia d’ansia febbrile è
questo
nostro tempo e tempo è ormai
di dare
tempo al tempo
tempo
corroso tempo della storia storia
vana
maestra senza eredi eredi privi
d’ali e di
memoria memoria esasperata
senza
tempo e tempo è ormai di dare
tempo al
tempo
III
il
pensiero d’eterno ora sgomenta la
mente mia
bambina ed un’angoscia
sottile mi
artiglia nello stomaco la
bocca
secca ed il pensiero fermo
statico
immoto concetto d’eterno
che il
prete ci trasmette dall’altare
un
immobile stare, un desolato
nulla
contemplativo e cristallino
vicina ora
l’idea di un divenire oltre,
sforzo
quantistico e vitale ritorno al
cosmo,
ancora, al tutto-in-uno più in là,
dove
coscienza sopravvive
dove
l’essenza pura che noi siamo
sceglie
tra sosta viva o nuova carne
vibrazione
assonante al multiverso
cosmogonica,
intera, unita, vera
un
desiderio forte di sedere a
dialogo
tra sogno ed infinito,
ritrovare
l’amore, quell’amore
ch’era
distratto e ruvido
al tumulto
il padre
ormai non più severo e stanco
la madre
cara lungamente amata la
sorella
preziosa, il suo sorriso tutto
ritorna e
tutto si confonde
cancellato
lo scorrere solenne di
quotidiani
affanni e d’incertezze
pacificato
il cuore finalmente di
tenerezze,
di passioni e d’anni
le
galassie si muovono al profondo
fanno
corona e ponte di passaggio
tra realtà
coesistenti e convergenti
di
continuum votati all’equilibrio
ora nasco
bambino delle stelle
risorgo
dalla polvere del cosmo
quale il
destino, quali le certezze
di nuova
vita e consapevolezza
risplendo
nell’umana divergenza di
nuova
forma, di nuova sostanza
risplendo
nell’aliena convergenza
dello
spazio dove s’annulla il
tempo
IV
a piacere
mi voglio regalare un canto nuovo e sapido nel
gusto, la
sapiente pietanza sopra il desco, decantare del
vino la
fragranza, la fresca birra, nettare divino, il r
obusto
arabico caffè, del limoncello l’aspro meridionale
afrore,
l’amore, l’amicizia, il virginale ardore, la bellezza
di tutto
il bello che pure ci circonda, un’onda, farsi
accarezzare,
travolgere, portare lontano, tenendosi per
mano nella
corsa e la fuga, pioggia che bagna e asciuga,
pioggia
d’estate
sopravanza
dei pensieri la danza, ed ai doveri mi richiami,
eccomi
arrivo, solo un momento ancora, sento fluire ora
vorticoso
il torrente di parola che si affanna si affolla, mi
seduce, mi
induce in tentazione, mi trascina mi porta oltre,
la sera la
mattina il giorno, vado ma torno presto, ché solo
al
pensiero di lasciare incompiuto un verso una trama un
capoverso
una lama che scinde
il vero
dal superfluo, mi travolge un dolore del cuore
dell’anima
degli occhi, in lacrime leggere
tutto
ritorna e tutto si trasforma e tutto in tutto a tutti fa
corona,
perdona, sempre più veloce, precoce il
cambiamento
dove sta scritto ch’io debba per forza stare al
passo ahi
me lasso senza smartphone né reader senza il
placet
della mondanità, del mondo che forse è ancora tondo
o
quadrato, non so più, privo del desiderio di rubare un selfie,
uno scatto
un segnale,
distratto dal volo d’una rondine, dalla foglia sul
ramo, dal
desiderio di dire ancora t’amo, la ricerca di un viso,
un
sorriso, una foto
interiore,
che resta solo mia, nel mio cuore
ecco il
mio preferito flusso di dati, frasi, sentenze, esperienze,
tutto
interiore e tutto manifesto, se sogno o son desto, non ha più
importanza,
quasi pacificato il cuore, in questo sterminato
territorio
d’amore, pianura rigogliosa e accattivante di pensiero
confidente
e straniero al tempo stesso, poeta dello spazio
interiore,
sazio e affamato adesso e oltre, stendo la coltre
delle
stelle sul mio sonno agitato pesante contrastato
preso da
ruvidi pensieri da scabri desideri ansie precoci
le voci
nel sonno amplificate, i rumori, di suoni bagliori
che spazio
ancora dare all’angusto versificare, onesto
o
maldestro incedere possente, più niente mi può ferire
(magari!)
o trascinare via, solo la poesia m’afferra m’atterra
mi lascia
e mi riprende risacca d’emozioni tremende, le sole
che
accompagnano un pomeriggio tardivo un crepuscolo
un voltare
di pagina l’atto finale della pantomima che la gente
s’ostina a
chiamare vita quotidiana, scarnificata resta poi la vita
quando il
fondo è toccato, arrivato, e vuoi, vorresti, puoi risalire
irriverente
al contesto vi mando uno sberleffo un saluto un gesto