sabato 25 settembre 2021

Per le donne di Kabul: Josyane De Jesus-Bergey (traduzione di Viviane Ciampi)

Dans la mémoire de nos révoltes

il faut marcher encore

 

 

Nella memoria delle nostre ribellioni

bisogna camminare ancora

 

 

Josyane De Jesus-Bergey

traduzione di Viviane Ciampi

 

domenica 19 settembre 2021

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: "Di terre straniere" di Carla Malerba (La vita felice 2010)

Carla Malerba ha coltivato il suo amore per il dire poetico fin dalla più tenera età, quando il suo talento fu individuato da Dino Buzzati e dai professori Gramigna e Sala, che in lei scorsero capacità lessicali e architetture tematiche di grande rilevanza, soprattutto in relazione alla giovanissima età dell’autrice, allora dodicenne.

Oggi mi piace riprendere, dopo la pausa estiva, le letture condivise con Di terre straniere, scritto appunto da Carla Malerba e pubblicato da La vita felice nel 2010. Non è un libro recentissimo, ma io non lo conoscevo ed è stata una delle scoperte dell’estate: lo ritengo particolarmente adatto per la ripresa della nostra rubrica in quanto tutti noi siamo ancora protesi alla memoria di luoghi, atmosfere, colori dei giorni di vacanza e ci troviamo quindi mentalmente inclini ad assaporare appieno il mondo di dolcezza e insieme di nostalgia di cui ci parla l’autrice.

Nel suo caso è un inno d’amore per Tripoli, La città natale che ha dovuto forzatamente abbandonare negli anni Sessanta e che rimpiange tuttora.

 

Quali terre di mare,

elette per caso,

dove soffia un vento

per ogni tempo e stagione,

dove poco cambiano

i segni sui tronchi nodosi

ho abitato per oscure ragioni?

 

Credo che tutti noi abbiamo un posto del cuore, il luogo eletto del nostro rimpianto, culla degli
affetti più cari, quello che ci ha plasmato nell’infanzia, ci ha dato l’imprinting e continuiamo a portarci dentro con un misto di tenerezza e di pena.  È l’elegia di ogni perdita che sia ‘costruttiva’, perché continua ad essere alla base della nostra essenza umana e quindi punto di riferimento ‘formativo’ imprescindibile, in quanto proprio a quel luogo dobbiamo la globalità, l’unicità della persona che siamo diventati e che siamo tuttora in divenire.

Ho scelto quattro testi, esemplari nella forma e nella sostanza della poesia di Carla. La sua peculiarità mi pare quella di saper trovare la chiave più limpida e immediata per arrivare all’interiorità del lettore, in assoluta verità, senza infingimenti o mezzucci letterari. Da questa autenticità il lettore è conquistato e viene accompagnato con semplicità alla condivisione. Si tratta di poesia ‘nuda e cruda’ nella sua essenzialità, quella che non ha bisogno di essere spalleggiata da forme pubblicitarie o da concorsi letterari perché non richiede riconoscimenti esteriori. Quando la scrittura è davvero poesia parla da sé e sa farsi strada da sola.  Una strada che resta  impressa in chi legge. Credo che sia questo il compito primo della parola poetica.

 

Se fossi nata

Se fossi nata

in un paese di brume

sarei, forse, come non sono:

brusca, taciturna e poco benevola.

Ma sono nata

all’ombra delle palme,

là dove il vento del deserto

fa fiorire le rose fra le dune.

Non abeti, ma bassi cespugli

conosco.

Mia madre è l’Africa,

già madre di mia madre.

 

Riporto per prima l’ultima poesia del libro, come del resto fa il prefatore della silloge, Francesco Prestopino, perché inquadra, in pochi cenni determinanti, la nostalgia per la terra natale ma anche quel ‘mal d’Africa’ di cui in generale si parla, indistinto ma reale, incomprensibile per chi in Africa non ci sia mai stato.  È questione di colori, di atmosfere ambientali, di naturalità, ma soprattutto di risonanze interiori che portano al ritrovamento di speciale accoglienza e al risultato di un senso stretto di appartenenza atavica, come gli ultimi due versi illuminano in modo inequivocabile:

 

Mia madre è l’Africa,

già madre di mia madre.

 

Cornamusa d’estate

Si perdono

le note di una cornamusa

dentro un perfetto tramonto

che non conosce

sbavature di profilo.

Prevaricano

sul sospiro dell'acqua

leggero.

Inducono

all'anima assorta

un'indolenza amara.

Intridono d'universo

una scomposta teoria

di pensieri.

Perché l'estate non è stagione di cornamuse.

 

Mi ha colpito di questa poesia l’essenza di una musica mista così come mescolati e frammentati in vari momenti sono i ricordi a formare una scomposta teoria di pensieri. La vita non è infatti una sommatoria di esperienze in successione: non c’è un prima e un dopo rigorosamente cronologico, ma la mescolanza inconscia, spesso indistinta ma indivisibile di queste esperienze sapienziali. La suggestione e la capacità del poeta consistono nel portarle alla luce, nel renderle, per il lettore, dall’inconscio al consapevole, pur mantenendone l’indeterminatezza dell’irreale e del sogno nella realtà poetica.

 

Altra vita

Altra vita era

quella di cui poco

è rimasto:

memorie di strada

e di volti,

gialla la luce

della sera

sulle case,

nei vicoli

canti e richiami.

L'ombra dei vent'anni

che scivola tra le dita

come acqua di fonte

e sentirsi a volte

come collocata a forza

entro paesaggi stranieri,

ferita pulsante

la non appartenenza

a questo, né a quello

di paese.

I.' unico paese

che mi è rimasto

è il mio cuore.

 

Chi è strapiantato a forza dal proprio paese, dalla propria cultura di formazione, vive dimezzato anche quando bene si inserisce in una nuova realtà. Resta lo spaesamento, in senso letterale, il dover venire a patti con la propria identità divisa, fare sempre i conti con se stessi e con le pene ‘ricattatorie’ di una esistenziale nostalgia che ritorna continuamente. L’autrice rende in modo poeticamente musicale, con immagini soffuse di grazia ai versi 9-13, un serio problema psicologico. Riesce a rendere con leggerezza questioni anche di rilevanza civile e sociale. Pensiamoci, per esempio, quando parliamo di immigrazione: prima di essere un problema colossale, di grandi numeri, di ben diversa natura rispetto ai temi affrontati da Carla, sicuramente si verifica la frantumazione dell’io di ogni singola persona, di ogni singola vicenda umana.

La poesia ha lo scopo di allargare la sfera di riflessione dal caso particolare  a un ‘generale’ che abbia qualche nesso di analogia, anche lontano, col primo. La vera poesia dall’emozione epidermica porta sempre alla riflessione e al pensiero ed è questo l’aspetto che ci fa crescere e può cambiarci la vita. In questo senso a me la poesia di Carla è servita tanto: ci agevola in tale processo la perfetta struttura stilistica e formale della lirica, la cultura dell’autrice, i riferimenti artistici in lei diventati cosa propria, indivisibili da sé. Come non pensare al migliore Ungaretti, nei versi finali di Carla?

 

 È il mio cuore

il paese più straziato

[San Martino del Carso]

 

Malastrana

Per ignote vie

strette

stride il violino,

balzano le note

contro i muri

delle case desolate,

urlano alla vita

pezzi d'amore

come specchi

rifulgenti al sole.

Lo zingaro

riprende il suo cammino

mentre s'alza il canto.

E le note,

le note

sembrano non aver mai fine.

 

A quanto detto sulla poesia Altra vita mi ricollego a proposito di Malastrana.

La nostalgia è un sentimento particolare, viene e va sull’onda di emozioni sfumate: non sai in che modo si metta in movimento, però ti coglie nel profondo, pur partendo da intuizioni sparse, imprecise. Certo non ha a che fare con la sfera logico-conoscitiva di noi. Per questo l’autrice nel libro l’accompagna spesso alla musica, ma non  a composizioni ‘organizzate’ –  che so un trio, una sinfonia, un lied –  quanto a sprazzi di melodia accennata e sfuggente come le note dello zingaro, che qui diventa ‘figura’ di ogni strapiantato nel mondo, di ogni forma di estraniamento. Queste note si dilatano nello spazio e sembrano non avere mai fine perché di fatto non ce l’hanno una fine: scavano un solco profondo dell’anima e lì restano.

 

 

Per le donne di Kabul: Annamaria Giannini

Ho appeso un lume alla porta

per dire che sopravvivere 

è possibile, cancellando 

la colpa che ha tagliato 

preghiere in silenzi, la ragione

in un pugno di sabbia

 

scaverò di poesia 

nelle tane, tra le sorelle

nude, sole e senza nome

scrivendo di ogni pena

e d'ogni resurrezione

 

saranno armi le parole

e scudo il mio racconto

l'ultimo atto di una guarigione

che ha segnato di guerra la carne

trovato per terra due passi d'amore

 

Annamaria Giannini

Per le donne di Kabul: Carla De Angelis

Ho sognato una

processione di donne

dall’aspetto regale

Un passo lento, un

andare mesto

l volto coperto

Il corpo nascosto in

lunghe tuniche

appena una fessura

per gli occhi

Non vedevo il sorriso, i

capelli

era un parlare senza

labbra

Non vedevo il ventre che

dà la vita

Il seno che nutre

Ad un tratto hanno tolto

il velo

Subito sono apparsi

“uomini”

Le hanno percosse

e uccise

Il loro sangue mi ha

bagnato

Il loro pianto mi ha

svegliato

Non era un sogno!

 

Carla de Angelis

lunedì 13 settembre 2021

L’animale della memoria” di Elsa Korneti tradotto e presentato da Alexandra Zambà

“L’animale della memoria” di Elsa Korneti, giornalista e poetessa greca.

Articolo pubblicato sul giornale greco ΑΥΓΗ-AVGI  

e tradotto per ParolaPoesia da Alexandra Zambà

 

La memoria ritorna. La memoria non dimentica. La memoria ricorda.

La memoria si indurisce e si coagula come il brodo primordiale fatto d'oscurità. La memoria diventa una vespa che punge nella mente una rosa ignara. Oramai niente assimila, il tutto resta indigesto e lo vomita e l'episodio finale dell'indigestione si svolge in una nuvola di rutti. Nel sonno grida invano Aiuto, la mia memoria non digerisce più.

L'ignorante nutre la sua memoria come un animale domestico con tossine e cibi grassi e altri elementi acidi e polinsaturi, e via via si gonfia e s’ingrassa e dal troppo accumulo diventa inattiva e si stende orizzontalmente. La sua memoria, un tempo fremente, diviene flaccida, sporca, ingombrante, rigida come la pietra. La sua memoria trema, scricchiola, si spezza e non si attacca più mentre giace esausto. Ed è allora che un programma fonico come un genio della lampada nervoso viene attivato dal suo fedele telefonino, così come lo strofina freneticamente ogni volta con un liquido antisettico per pulirlo. Allora uno strano fumo bluastro inizia a uscire dall’intelligente insonne smartphone che ha iniziato a somigliare ad una lampada magica. La magica lampada-cellulare immagazzina ciò che il portatore inspira ed espira, immagini di vita, esperienze ed esperienze che vengono trasformate in micro-pixel, magnetizzate tra loro e a loro volta immagazzinate dalla sua memoria alla memoria del telefono.

Stralci di vita come versi sparsi, paragrafi cliché, prologhi irrilevanti, epiloghi ciarloni, rimandi lillipuziani, si attaccano tra loro, si ammucchiano in nuvole invisibili, dando vita a nuove forme di paradosso da una memoria reale che si svuota del passato, del presente e del futuro e si affaccia un'altra tecnica che parallelamente si riempie di tutto questo.

Viene concepito un mondo nuovo, un mondo rinnovato con ciò che non è stato assimilato, indigesto, con ciò che è stato vomitato dal passato e dal presente si è assorbito dalla memoria dell’intelligente cellulare dal servizio della sua inconsapevolmente attivazione.

E lui non capisce cosa sta succedendo, e lo guarda in profondità nei suoi occhi digitali, sullo sfondo dello schermo di cristallo. Aspetta che il volatile bluastro genio si affacci di nuovo, aspettando il riconoscimento e l'accettazione di un " Credo in te, non ho dubbi, tu ci riuscirai", finché un certo giorno l’oggetto mette fine alla sua angoscia e gli risponde: "Non hai più bisogno del maestro o del professor, solo di me per diventare una mia degna copia fallata”.

Oramai ansima per messaggi e chiamate. Prega qualcuno di chiamarlo, apparire una immagine sullo schermo. Ma il dispositivo sembra muto e morto e le vecchie fiamme della vita virtuale giacciono congelate. L'ultima cosa che ricorda è quella testa pelata con le sopracciglia corrucciate nere e l’adamantina dentiera nel quadro che vaporizza, sorridendogli ampiamente con scintillanti lampi di malevoli saluti.

Lui si rende presto conto che non ha più alcuna esistenza, perché tutta la sua vita, tutta la sua memoria, la memoria della sua vita è penetrata lentamente,  insidiosamente, memorizzata nel suo cellulare intelligente e tutto ciò che possiede è un arioso, utile, bluastro genio con la dentiera adamantina scintillante, un genio che si comporta gentilmente, amichevole ed è in tutto e per tutto solidale; lui che ha perso la memoria perché proprio lei, la memoria, lo ha abbandonato obbedendo a un ordine ricevuto da un arioso e utile genio bluastro che vive inconsapevolmente nel suo smartphone; ha perso non solo la propria memoria, ma anche l'accesso  ad essa,  colei che oramai  si trova stipata nella intelligente movibile lampada, e lui è rimasto bloccato dall'esterno, come cranio vuoto di memoria, incapace di ricordare la minima cosa, non essendo in grado di ricordare nemmeno la  password di salvataggio.

 

Una poesia di Elsa Korneti

 

Κανονικέ άνθρωπε

 πες μου

πώς μπορείς να ζεις

χωρίς λοφίο

χωρίς παρδαλή ουρά

χωρίς μια γαλάζια ανταύγεια

στα φτερά; 

 

Uomo normale

dimmi

come fai a vivere

senza cresta

senza una coda maculata

senza un riflesso celeste

alle ali?

(traduzione di Alexandra Zambà)

 

 

Elsa Korneti

È nata a Monaco di Baviera nel 1969 e vive in Grecia. Ha studiato Scienze Economiche in Germania e in Grecia e ha lavorato come giornalista. Ha pubblicato dodici libri, otto dei quali di poesia. Un libro di traduzioni su poesie selezionate di Alda Merini tradotte in greco col testo a fronte. Due dei suoi libri di poesia sono stati selezionati e candidati, all'assegnazione del Premio Nazionale per la Poesia. Sue poesie sono state incluse in antologie greche e straniere e sono state tradotte e pubblicate in undici lingue. Pubblica regolarmente poesie, racconti, saggi, testi critici e traduzioni in riviste letterarie consolidate e traduce dall’inglese, tedesco e italiano.

Una sua poesia trd. Alexandra Zambà:




venerdì 10 settembre 2021

Per le donne di Kabul: Leopoldo Attolico

Tirata d’orecchi

 

Cara felicità

qui si sta esagerando:

la gioia ti da troppa libertà.

Tu ne approfitti

lasci caterve di condomìni sfitti

in balia dei disperati senza casa

 

Pensa a quando saranno cacciati.

Pensa all’infelicità che abita

ogni gioia privata del diritto d’abitarla

 

Cara felicità

Diventa dispensatrice di gioia desublimata,

quella legittimata dal diritto alla casa!

 

Leopoldo Attolico

martedì 7 settembre 2021

Per le donne di Kabul: Claudia Piccinno

A Banu Negar

poliziotta uccisa dai talebani

 

Fu una di noi a partorire

il boia.

Vi portò in grembo Maria,

così Talia Fatma Zaira.

Latte e miele divenne

poltiglia d'odio e rancore

a incerottare labbra

e sigillare umori.

Non alitava vento

di giovani promesse,

seppelliva libri

la fine del mondo.

Lo annunciò Maria

lo sapevano Talia Fatma Zaira.

Lo stesso ventre che vi partorì

invoca ora salvezza per

la nidiata buona.

Il mondo assiste alla

furia di Caino contro

Abele

la storia si ripete a ogni

latitudine.

A Eva la colpa della

serpe in seno.

Al sospetto si appella il

prepotente.

Negar non c'è più

né la creatura che aveva

in grembo.

Le hanno soppresse a

calci

accanto ai suoi parenti.

Addio Negar.

Per il tuo boia nessuna pietà.

 

Claudia Piccinno


Per le donne di Kabul: Fernando Della Posta

Violenza

 

Non si può trovare

l’ennesima giustificazione

all’ennesima spoliazione

cantando l’inno di giustizia

scritto dai profeti.

 

Non si può più avere

una coscienza indifferente

all’orrore delle culture,

alla mascolinità dei credi.

 

L’uomo è sempre superiore

la donna un semplice motore

carne da ingravidare.

 

Soddisfatti o rimborsati!

 

Un rimborso che restituisce sempre

un’usura d’interesse,

che annienta vite

che a nessuno è dato togliere.

 

La bestia dell’umano

che riveste lo spirito

è materia per latrine

di mondi ultraterreni.

 

Io oggi voglio l’uomo senza bestia,

l’uomo che rispetta,

l’uomo che non soverchia,

l’uomo che non si giustifica

ammantandosi di Dio.

 

Fernando Della Posta