Sergio
Gallo, piemontese cinquantenne, farmacista a Savigliano – in provincia di Cuneo
– dove vive, ha pubblicato una mezza dozzina di libri di poesie dagli anni
novanta ad oggi. L’ultimo è appunto Beccodilepre,
per Puntoacapo edizioni nel 2018. Ha partecipato a vari concorsi con
lusinghieri successi ed è stato finalista per due anni consecutivi al premio
Gozzano.
Perché
mi ha colpito questa sua ultima opera? Perché è una raccolta di testi sulla
montagna molto suggestiva e di largo interesse: ha un valore poetico, certo, ma
anche di conoscenza geografica relativa ad una zona del Piemonte molto
particolare ed evocativa, sotto l’aspetto storico, culturale, folcloristico.
Insomma, è una terra a sé stante, che non si saprebbe bene come classificare,
volendola incasellare.
Ai
confini della provincia di Torino verso quella di Cuneo si stendono nobili
terre di antica popolazione celto-ligure, poi romanizzata: da un lato ci sono
le nobili antiche piazzeforti militari che venivano palleggiate tra i Savoia e
la Francia, i cui domini si alternarono fino ai secoli XVII-XVIII: sono appunto
Fossano, Bra, Savigliano, Cherasco, Saluzzo. Sono città dalle ricche vestigia,
dai palazzi nobiliari, dai monumenti architettonici di rilevanza notevole. Da
lì si dipartono le colline del Roero, i vigneti delle Langhe, le torri
medioevali di Alba la rossa. Sono le terre di Fenoglio e di Pavese, dolci e
malinconiche, spesso tra le brume, quelle brume che sembrano conservarne la
fantasmatica presenza.
Dal
punto cardinale opposto la cerchia delle montagne dominate dal Monviso, monte
quasi sacro, che svetta in lontananza per chi arriva dal mare con la sua forma
piramidale, come la Grivola valdostana. Le valli di Cuneo, Val Maira e Varaita in particolare, come la Via del
Sale – da Cuneo oltre il Colle di Tenda – sono proprio diverse dalle valli
valdostane. Sono più basse le montagne, in primo luogo, hanno quindi una flora
ed una fauna più variata: si trovano specie di uccelli rari, insetti
inesistenti in Val d’Aosta, maggiori fioriture anche in alta montagna.
Paesaggio più allettante, ma uguali pericoli, forse maggiori per l’orografia,
il tipo di roccia, la mutevolezza del clima, ghiacci e slavine sottovalutati perché non si arriva
ai quattromila metri. Qui nel Medioevo dalla Provenza giunsero i Trovatori, qui
i Catari eretici perseguitati, qui i Protestanti, Valdesi ed Ugonotti. Qui la
lingua occitana esiste ancora con le sue musiche, danze, con le antiche canzoni
popolari, con le leggende di montagna, con le Masche (le anime dei morti o le
streghe). Nel Cuneese, nelle sue valli montane, le incantatrici si
trasformavano, per agire indisturbate, in uccelli rapaci o semplicemente in
gatti. Ancora oggi tra Barolo e l’Alta Langa, i turisti vengono accompagnati
tra vigneti e misteri. Io sono molto legata alla montagna della Valle d’Aosta,
mio marito è valdostano. Ma è una montagna chiara, leale, di grandiosità
sconcertante e talora spaventosa ma, come dire, senza mistero. Questa montagna
piemontese è arcana, magica, complessa. Difficilmente la comprendi: la sua ambiguità,
il suo sincretismo ti catturano e ti fanno capire tutta l’impossibilità di
coglierne l’essenza.
E
veniamo quindi alla resa di questa complessa entità nella poesia del suo
cantore Sergio Gallo.
L’ascesa
è fisica e metafisica attraverso sentieri
contorti (difficoltà reale), ruderi
militari (i secoli trascorsi lasciano segni), ma il salire metafisico è fatto
di nevai immacolati, silenzi… fitte nebbie, di venti sferzanti, nubi barocche… Il
mistero intrigante di un oltre da
raggiungere, sfida dell’uomo con sé stesso:
Lento faticoso inerpicarsi
in ambienti pascolivi, su
sentieri
contorti, antiche
mulattiere.
Luoghi di baite, ruderi, militari
fortezze. D'ostinati nevai
silenzi... Fitte nebbie.
Regno di venti sferzanti,
nubi barocche. Di luci
accecanti e fredde ombre.
E poi le leggende arcaiche, da medioevali bestiari
– la visionarietà della troppa ossigenazione –
Esiste l’auricorno, lo stambecco dalle corna d’oro, che pare
d’incontrare tra un Eden di animali?
Luoghi di sconfinate solitudini,
d'incontri inattesi.
Rauco ciarlare di taccole,
gracchi, corvi imperiali.
Il grido stridente del falco pellegrino,
il querulo richiamo dell'astore,
i versi del gipeto e della poiana.
Luoghi di sconfinate solitudini…
La natura montana ribalta le situazioni della
vita: l’ospite è l’uomo nel regno impervio vegetale ed animale. Anche le
cappellette votive, create dall’uomo, non sono che abitate da lui
saltuariamente, per il tempo di un’escursione; sono invece quotidianamente
ricetto di piccoli animali: ragni, insetti, topi, uccelletti. Il ribaltamento
dei ruoli in questo Deserto verticale
Gli occhi neri vitrei del
topo
che a tremila metri nella
cappella
di Nostra Signora Addolorata
in cima al Thabor,
dietro un grosso pane
raffermo guardavano...
L'abbacinante ostinata
coltre
di nuvole a negarci il
panorama...
Lunari aspetti d'un deserto
verticale.
Centimetro per centimetro
attraverso le strettoie d'un
labirinto
in cerca di bucce, torsoli,
croste
rosicchiare ex-voto,
crocifissi
madonne... in attesa di
avanzi
d'altri generosi visitatori.
Un’ultima poesia, estremamente suggestiva,
dedicata al poeta Beppe Mariano, anche lui cantore da sempre della montagna
incantata che è il Monviso, dei suoi paesaggi, delle sue leggende magiche, dei
suoi misteri:
Il
paese sommerso
a
Beppe Mariano
Se mi chiedono dove sono
nato
indico un punto preciso
là in mezzo al lago.
Quando tra il '38 e il '42
fu costruita la diga
e riempito d'acqua l'invaso,
ero bambino.
Là c'era la borgata sommersa
di Chiesa.
La parrocchiale, un piccolo
cimitero,
poche case dai tetti a lose.
Se ne possono ancora vedere
affiorare i resti,
quando il livello delle
acque
cala, in primavera.
Tra melmosi fondali
e cristalline acque di
nevai,
della mia infanzia sono
sepolti
i più bei ricordi.
Ma alla mia età, le memorie
sono ormai morene,
d'orditura le usurate travi.
I sogni – fulgidi e aleatori –
come cascate di ghiaccio.
E così, quando la vecchiaia
mi diverrà insopportabile,
è là che, nottetempo, andrò
a morire,
seguendo la pesante ancora
di ghisa
della mia piccola barca.
I paesani ancora a chiedersi
a che diavolo può servire
ad un folle vecchio di
montagna
un simile oggetto. Ed io già
avrò per tomba quindici
milioni
di metri cubi d'acqua.
Quel dì, semplicemente
si fermerà
l'ombra dello gnomone
sulla mia meridiana.
Sul Mongioia, sul Peyron,
sulla Niera
sulla ripida via per i Laghi
Blu,
una torretta votiva
forse porterà il mio nome.
E quando la masca Smeraldina
nel bosco dell'Alevè
libererà il mio spirito al
vento,
non udirete che un fievole
fischio
nei vostri orecchi foderati
d'agarico e muschio.
Mi rendo conto di avere parlato oggi più dell’ambiente evocato dalla
poesia che della poesia stessa. È vero, ma i versi sono così diretti nella loro
linearità, così forti nella loro capacità di colpire il lettore e fargli vivere
la concretezza della situazione, che passa per me in secondo piano l’esigenza
di analizzare il testo scomponendolo nei suoi elementi portanti. Equivarrebbe a
sminuirlo e far perdere al lettore l’armonia dell’insieme, sottolineando
particolari irrilevanti, anzi addirittura controproducenti in quanto distraenti
dalla completezza dell’immagine evocata con grande forza emotiva.
Gli elementi costitutivi della composizione sono di per sé ridotti
all’essenziale, nella loro semplicità di grande impatto visivo. Immagine segue
immagine, senza superflui termini di collegamento che appesantirebbero il testo,
facendo perdere forza ed efficacia. L’impatto risulta notevolmente vivo.
Intendo rispettare questa struttura felice, non casuale ma fortemente voluta –
a mio avviso – dall’autore, con le mie riflessioni tese a mantenere, senza
troppe parole superflue, lo sguardo sull’ambiente e sui luoghi profondamente
amati e vissuti.
Marvi del Pozzo