domenica 31 ottobre 2021

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: "La vita là fuori" di Mariapia L. Crisafulli (Macabor, 2021)

La vita là fuori, raccolta di poesie pubblicata recentemente da Macabor edizioni è la terza opera di una venticinquenne intellettuale e poetessa messinese, Mariapia Crisafulli che, nonostante la giovanissima età, collabora a diverse iniziative culturali ed editoriali: in qualità di critica letteraria è presente su varie importanti testate giornalistiche, collabora altresì al bimestrale di poesia Il sarto di Ulm di Macabor edizioni.

Devo dire che ho riscontrato nel volume della Crisafulli una capacità stilistica e una maturità di pensiero che vanno ben al di là dell’età anagrafica di questa giovane poetessa. Intanto è un libro che si legge d’un fiato: tutt’altro che monocorde, sa snodare le problematiche affrontate attraverso cinque corpose sezioni, per cui emerge al termine un quadro ricco, vario, filosoficamente articolato: La misura delle cose – Le notti del pellicano – Generazioni contrarie – La casa della nonna – Sulla invenzione poetica.

La libera creatività dell’autrice si sposa alla profondità di una ‘poesia pensante’, in cui il pensiero appunto, pur coordinato in forma organica, si apre alla suggestione evocativa della parola poetica con grande effetto liberatorio.

 

L’ora d’aria

Siamo poeti il tempo di una sigaretta

Poesia è inalarne tutto il fumo

contaminare l’aria circostante

 

Poi ognuno a casa propria

 

L’esempio della sigaretta è efficace, rende l’idea, anche se non è dei più calzanti in quanto a precisione di immagine. Il fumo ammorba l’aria, è cosa negativa per uomini e ambiente; la poesia dovrebbe essere vitale e continuare a lavorare in positivo dal di dentro anche in tutti quegli… uomini ognuno a casa propria, siano essi scrittori o lettori. Ma la cosa è chiara e la differenza dei termini di paragone rende ancora più luminosa la poesia nel suo ruolo maieutico anche per il più semplice dei lettori proprio per contrasto. Forse l’uso di quel verbo negativamente urtante, contaminare, è scelto a bella posta per evidenziare, pur nella similitudine, il contrasto della divergenza delle situazioni , negativa e positiva. La poesia, se è tale e quindi autentica, non può che fare sempre un gran bene.

La Crisafulli, come ha rilevato nella prefazione Franca Alaimo, vive una crisi di insicurezza, di non appartenenza a un mondo che sente a sé estraneo; giovane, affamata di vita, di contatti, di esperienze, si ritrova in una realtà senza volto definito: è una società problematica, la nostra attuale, in crisi d’identità e di valori, non appare un futuro nello spaesamento di gente amorfa, asfittica, che vive i giorni senza un perché, senza neppure supporre di potere farsi parte attiva nella società.

 

Lo smarrimento diventa totale: ci si lega alle piccole cose, trascurate, minute, senza neppure sapere che peso salvifico possano avere… c’è solo qualche intuizione sparsa, una certa qual forma di ancoraggio nel bilico quotidiano.

 

Reperti quotidiani

La polvere è ricchezza

 

di macerie che rinascono

Di ricordi che non lasciano la loro casa

Della vita [microbonda] che resiste

sotto noi che la scacciamo

con un panno. Ingrati

 

E lei ritorna:

sulle foto, sopra i mobili,

tra scaffali chiusi

Dentro libri mai aperti

e mai paghi di attenzione

Sotto il letto

che non dormi o su cui

ti abbandoni

coi vestiti logori

di giornate in mezzo al mondo

o stanche dal divano

 

La polvere è ricchezza

 

Storia che rimane

e ricomincia

persino dentro le narici

 

*

La misura delle cose

La storia si conta per secoli

La vita per decenni

 

E i giorni per cose fatte o da fare

E le notti per occasioni consumate

o perdute

 

Le poesie si contano per fogli sparsi

come le case per finestre accese

in attesa di un ritorno

o intimando un addio

 

Immagino, ma non so

 

*

Divertissement

Sono qui, ma non ora.

 

La terra scivola immane

e un uomo stordito vi si adagia

sorridente, assetato d'altra noia

quel po’ che ancora sfugge

all'occhio non attento

 

Sono qui, ma non ora.

 

Bussate più in là, per favore

 

Sembra che anche il passato diventi quasi inesistente: la storia non esiste perché non serve più, non insegna a orientarci né nel presente né tanto meno nel futuro. La cultura o non esiste o è libresca e stantia. Ne consegue una moltitudine umana di individualità chiuse, di monadi-zombi soffocate dalla propria vita di morti viventi. Ciascuno è in preda, senza rimedio, a una ‘solitudine tremenda’, come direbbe Manzoni, ma senza neppure lo sbocco offerto dalla spiritualità o dal sociale del romanzo manzoniano.

 

Protocollo della trascuratezza

Quando qualcuno muore

lo avresti visto l'indomani

 

chiamato la mattina

stretto la sera

tra le braccia

 

Oggi tratteggi a memoria

ogni ruga del suo viso

che ieri confondevi

tra tutta l'altra gente

 

in morte di un poeta

 

*

Ci vediamo domani

Ma domani è già ieri

da parecchi giorni

 

*

Testimoni

Questo male di vivere

lo conosci anche tu:

gli dai un altro nome

ma è lo stesso del mio

 

C'è la vita là fuori di tanti anni fa

 

Noi la vediamo sorridere ancora

noi che non la viviamo

e imparammo a bramarla

 

Tutti ci dissero che non era la nostra

Tutti ci dissero che era la loro

 

Ma loro tu pensi la vissero mai?

 

Il vuoto dei tempi può forse riempirsi, a livello individuale e quindi sporadico, con le proprie memorie: si ricerca il senso della vita tra le proprie ultime generazioni familiari, quelle che non ci hanno lasciato solo tratti somatici o caratteriali, ma hanno costruito per i nipoti tradizioni, usanze, modi di vita semplici ma intensi, quelli che con la loro struttura sapienziale potrebbero servire da ancora sentimentale nel naufragio dei nostri tempi. Potrebbe essere una prospettiva di fermezza alla fluidità del mondo d’oggi. Potrebbe.

Ma come abbiamo letto testé nella poesia Testimoni, loro – le generazioni passate – si resero conto di costruire qualcosa, intendevano farlo o non vivevano anch’esse alla bell’e meglio, quasi senza volontà, così come fan tutti oggi, come facevano tutti allora?

 

La casa della nonna

Ho chiesto alle ombre

di spegnere la luce

Ma erano la sola cosa ferma

nella stanza

a parte me

a parte la lampada sul comò accanto

a libri e cornici consumate

Ed erano la sola cosa viva

nella stanza

a parte la luce soffusa

a parte i miei piedi

sul ciglio della porta

 

*

Constatazioni

Potrei cantare le visioni dei vivi

i presagi che i morti sussurrano loro

aprendogli il varco dall'altra parte

 

Ma la mia mano è ferma

e il mio sguardo veglia sulle cose

che tocco e respiro

 

I morti mi vivono dentro e mai accanto:

 

viviamo qui insieme

nessuno muore ancora

 

Là fuori c'è solo la vita

 

Il superamento di una contingente, deludente realtà può avvenire, per la giovane poetessa, attraverso la parola poetica: non è una medicina valida forse a livello generale, ma è un indubbio aiuto a ripartire dalle proprie radici familiari al fine di trovare realizzazione di sé e un senso finale esistenziale. Del resto la realtà visibile non dà risposte né chiare né univoche. Il dubbio metodico è forse l’unica strada percorribile e la frase Immagino ma non so [da: La misura delle cose] dell’autrice mi sembra un via sia di grande intelligenza, sia di intensa sensibilità.

 

Incontro

Verrò a parlarvi di poesia

come lei parla a me

e come io parlo a lei:

senza parlare

 

Interrogando i vostri sguardi,

il solco delle rughe d'espressione

Mentre osservo il silenzio

del vostro ascoltare

me

mentre seduta taccio

 

e una voce confida all'aria

intorno a noi

l'inquietudine di notti accese

o mattini ancora bui

sulle rotaie ...

 

No, non esistono i poeti

 

In quest’ultima sezione, Sull’invenzione poetica, l’autrice manifesta tutta la sua passionalità totalizzante per la poesia, cui si dedica quasi con furia smodata, in obbedienza ad un imperativo etico ed estetico che diventa fulcro della sua vita e si pone come onere e come senso esistenziale delle sue giornate faticose. Poesia sintetica, talora smozzicata, frammentaria nella forma, sempre però di incalzante tensione, con “sussulti sia sintattici che lessicali, in cui i legami logici sono talvolta sottesi” [Franca Alaimo]. 

È poesia di foga giovanile, ardente e vitale, per contenuto e per forma stilistica, è poesia personale e nuova, che ben sintetizza la complessità e le contraddizioni del mondo d’oggi.

Poesia molto moderna, davvero specchio della contemporaneità.

 

 

 

giovedì 28 ottobre 2021

Fili di condivisione a cura di Marvi del Pozzo: "In Viaggio" di Pasquale Montalto e Stanislao Donadio (Apollo Editore 2021)

Questa nuova breve rubrica a scadenza variabile intende accompagnare gli autori già in precedenza presentati in Letture condivise, segnalandone i lavori ulteriori. Come si sa, la poesia crea legami misteriosi e profondi che perseverano nel tempo.

Oltre che rispondere a un desiderio di completezza informativa, la rubrica intende mantenere un filo di condivisione e di consolidamento di rapporto umano e artistico tra autore e lettore.

 

Pasquale Montalto

In viaggio

Apollo editore 2021

 

Di Pasquale Montalto, presentato nel giugno scorso per il volume Il mio Pinocchio, Macabor 2020, segnalo In viaggio, libro scritto a quattro mani con Stanislao Donadio, edito da Apollo editore nel maggio 2021.

Il sottotitolo, Poesie di vita e di dolore, evoca tematiche e pensieri che si affacciano alla mente in tempi di
pandemia in modo istintuale e farraginoso. Si è spesso condotti, in questi periodi difficili, non da rigore logico, ma piuttosto da spinte sentimentali inclini a un pessimismo globale, in cui l’uomo è canna al vento, elemento del tutto irrazionale. Questa totale inconsistenza dell’uomo sembra infine annegare in un’anomala passività che blocca anche l’intelligenza.

 È un libro da discutere perché fa discutere nelle sue tesi talora dirompenti, a volte persino sconcertanti. Del resto compito della poesia è anche quello di aprire un contraddittorio sulle condizioni del vivere e sulle problematiche reali. Il dibattito delle idee è sempre e comunque necessario: importante è non fermarsi a un pensiero unico. Da questo punto di vista questo libro è quanto mai stimolante!

Marvi del Pozzo

 

domenica 17 ottobre 2021

Fili di condivisione a cura di Marvi del Pozzo: "Manufatti del dissesto" di Gabriele Borgna (Minerva Ed. 2021)

 

Questa nuova breve rubrica a scadenza variabile intende accompagnare gli autori già in precedenza presentati in Letture condivise, segnalandone i lavori ulteriori. Come si sa, la poesia crea legami misteriosi e profondi che perseverano nel tempo.

Oltre che rispondere a un desiderio di completezza informativa, la rubrica intende mantenere un filo di condivisione e di consolidamento di rapporto umano e artistico tra autore e lettore. 

 

Gabriele Borgna

Manufatti del dissesto

Cleide – Minerva edizioni 2021 

Riprendo con l’autunno a segnalare nuove pubblicazioni di autori già in precedenza presentati in Letture condivise.

Di Gabriele Borgna, di cui parlammo nel novembre 2019 relativamente alla silloge d’esordio Artigianato sentimentale, è uscito ora Manufatti del dissenso, Cleide – Minerva edizioni 2021. L’autore persiste con grande nitidezza formale e coerenza personale nell’evocazione della sua Liguria di Ponente e proprio attraverso i paesaggi precisa il suo excursus umano di maturazione e di ‘dissesto’.

Poesia di tensione, talora di mistero, apprezzata da Pontiggia “per disciplina di forma e sintesi di pensiero, immaginazione e sensibilità”. L’autore, persona in ‘crisi’ (dal greco: mutamento, ma anche scelta, discernimento) trova ‘figura’ del sé e della sua corrosione interiore nei paesaggi, case, edifici del Ponente ligure – sua terra natia – ‘smangiati’ dal vento e dal sale. Logorante è la ricerca di chiarezza nel buio del mistero, troppo spesso insensato, del vivere; lucido il pensiero e grande lavorio sull’interpretazione di se stesso e sulle contraddizioni del mondo attuale, come si evince già dall’introduzione del poeta alla silloge: cinque domande, una forma di intervista di chiara perspicuità per guidare il lettore verso la poetica rigorosa dell’opera.

 

Marvi del Pozzo

Per le donne di Kabul: Janine Gdalia (Francia) traduzione di Viviane Ciampi

Ici là

 

Ailleurs encore

Au plus lointain

Monde interdit

Où je n’ai pas lieu

 

Janine Gdalia (France) 

 

Qui là

 

Altrove ancora

Mondo proibito

Dove non ho luogo

 

Traduzione di  Viviane Ciampi


domenica 10 ottobre 2021

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: "Taccuino della madre" di Sonia Caporossi (Ed. Progetto Cultura 2021)

foto di Dino Ignani
Dopo avere letto il Taccuino della madre di Sonia Caporossi, Edizioni Progetto Cultura 2021, ho capito che non potevo esentarmi dal consigliarne assolutamente la conoscenza nella rubrica Letture condivise, pur essendo conscia di andare a caccia di guai perché avrei dovuto, su due fronti, fare i conti con quel senso di inadeguatezza che talora mi prende, retaggio del passato, quando mi trovo di fronte a cose troppo intense e profonde per essere rese, anche in minima parte, dalle mie parole limitate. Qui ci sono ben due elementi impareggiabili con cui confrontarmi: un testo di ‘vetta altissima’, dove una tematica importante viene espressa con verso e stile rasentanti l’umana perfezione e, in secondo luogo, una altrettanto perfetta prefazione di Cinzia Marulli, dove ogni parola, essenziale, si adegua al testo poetico e riesce ad aprire una chiave importante di conoscenza all’ignaro lettore, in modo sintetico ma irrinunciabile. Mi limito quindi ad esporre le mie osservazioni così come mi sono venute alla mente durante la lettura del Taccuino, senza alcuna pretesa di letterarietà.

In questo caso, in particolare, si tratta di autrice che considero molto non solo sul piano professionale, ma in primo luogo umano e di una prefatrice cui sono legata da un rapporto di ‘idem sentire’: per questi motivi, dico, mi sembra il caso di esprimermi familiarmente esternando con semplicità le mie sensazioni di lettrice. Del resto, com’è noto, io non sono un critico letterario di professione e spero mi vengano perdonate pertanto eventuali ingenuità. Nella poesia inoltre le emozioni, cronologicamente, prevalgono sulle riflessioni dell’intelletto, che arrivano in successione, in tempi anche lunghi e talora tendono persino a condizionare il fattore emotivo e a modificarlo, alla luce di un pensiero più coordinato e organico dello slancio del cuore.

Il Taccuino della madre è la storia di due donne, madre e figlia, due solitudini, due sofferenze, due incapacità di comprendersi, due amori malati. Mauriac scrisse un testo, Amarsi male com’è tradotto in italiano, Les mal aimés in francese, che io lessi da ragazzina e questo lancinante titolo, nelle due lingue, si attagliò spesso alle vicende della mia vita, così come mi pare alla vita di Sonia.

Riporto qualche testo di straziante bellezza:

 

 

ricordi d’infanzia

 

gli altri bambini scendevano a giocare sulla spiaggia

i pomeriggi risuonavano di grida e tonfi di pallone

 

quante facce li osservavano da queste bianche mura

ecco il cobalto vagare nel vago ricordo del mare

 

nuvole d'ebano e cenere sulle loro mani sporche

sulla rotondità perfetta e nuda della terra

 

rimanevo in casa a guardarli senza invidia

dallo spiraglio australe della finestra spalancata

 

non ci si può aspettare altro che uno sguardo passeggero

 

non c'è rimasto altro che un fotogramma sbiadito

 

non anelavo certo al calore della sabbia

non all'asprezza infetta delle ginocchia sbucciate

 

desideravo alle mie spalle soltanto le carezze

che priva d'interesse mia madre non mi dava

 

*

passeggiata sulla spiaggia

 

la risacca schiuma

la sabbia sospesa

cade giù

sbatte storto verso l'acqua

e vaga correndo

 

guardo mia madre perdersi nel sole

certi scafi le giacciono accanto

come cose morte riposano

 

il suo pensiero vola

accompagna un gabbiano

che richiama la compagna

col suo ignaro stridore

 

mentre io son qui, giaccio sul molo

col mio costumino a fiori

a cui ha tolto il pezzo di sopra

 

la vedo allontanarsi

e come quel gabbiano, io la chiamo

e urlo, e mi dispero

finché una nebbia non nasconde quel volo

 

e ognuno è con se stesso, quasi vuoto

e ognuno è con se stesso, solo

 

Poi, percorso fatale nella vita dei genitori, la malattia grave, tentativi di convalescenza, speranze vane, la fine:

 

convalescenza

 

oggi ricerca l'apatia delle mattine a letto

quando il tempo è convenzione e l'orologio è lontano

a due metri da lei abbandonato sul tavolo

due metri nell'eterno che dura un solo attimo

 

*

speranza

 

e rinnega l'attimo

in cui dispera

con questo tempo per nemico

di vani giorni daltonici

quando la luce si nasconde

dietro le persiane della speranza

 

*

nel buio

 

ora nel buio

tutto cambia in oro

 

baluginano i fosfeni

sulla calotta delle palpebre

 

la veglio nelle ultime notti

lei urla strozzando il respiro

 

la volta del soffitto

scurisce in un vago richiamo

 

l'insonnia mi volta lo sguardo

la vedo, lei è sveglia con me

 

due occhi rivelatori

che cercano sull'orologio

 

un ultimo istante concesso

per darsi una tregua dal pianto

 

ora nel buio

tutto cambia in nero

 

non so quanto ancora rimanga

per potermi dire con te

 

Mi pare di intuire che in queste poesie la morte non sia divisione, separazione eterna, ma forse momento determinante di comprensione. Si sanano gli opposti. Due solitudini, sempre più sole nell’addio terreno, si uniscono in una congiuntura che, reale o illusoria, in qualche modo pacifica, permettendo alla figlia che resta di andare avanti e realizzare se stessa anche in nome di quella madre, assente, sfuggente, dolorante, di certo irrealizzata, che ha causato tanto dolore, forse senza neppure rendersene del tutto conto.

Forse il rapporto tra madre e figlia non è mai un idillio, quasi sempre è lunga, sconosciuta epopea: talora assume i toni di moderna tragedia greca, in cui però lo spettatore – qui lettore – vede, come nell’antichità, la ‘figura’ del proprio percorso umano; si ritrova appieno e il coinvolgimento totale porta alla catarsi e ad una forma di rasserenamento non solo del presente, ma di tutto il percorso a due che viene finalmente ad assumere un senso compiuto e può persino aprirsi a una diversa prospettiva di pensiero. Non è questione di comprensione per ciò che è stato né di perdono, ma la presa d’atto finale di due vicende umane che portano chi resta a fare i conti con sé e col proprio passato, oltre alla consapevolezza che si è la persona che si è diventati proprio attraverso gli eventi dolorosi del vissuto e degli scogli superati con lacrime e sangue. Raramente mi è capitato di sentire così profondamente un libro sul rapporto madre-figlia, di ‘patirlo’ nel senso greco della parola, come mi è avvenuto per questo Taccuino. Eppure molti sono i libri di poesia editi, negli ultimi tempi, sull’argomento.

 

Magica Sonia!

All’intensità del suo pensiero e del suo sentire corrisponde la magia della parola e lo strabiliante uso di essa. Rara prerogativa. Non mi è capitato recentemente di imbattermi in uno stile tanto personale. Non direi ‘immaginifico’, perché non è solo questione di immagini, è di più.  È quando l’immagine, resa in una parola adeguata, accostata magari ad un’altra di massimo valore semantico, riesce a penetrarti dentro creando non un’immagine, appunto, ma un fiorire di sentimenti e una realtà globale di figure e poi di pensieri che emergono dalla parola stessa.

Cinzia Marulli parla giustamente di parola nuda, perché è la parola giusta, inequivocabile e nello stesso tempo evocativa, creativa, quella ‘unica’ che determina nel modo più preciso (significato), quella stessa che suggestiona con i riferimenti più vaghi, immateriali e inconsci (significante). La parola che fa dire a Giovanni Tesio, docente all’Università di Torino e saggista:

La parola non è solo veicolo di contenuto e di senso, ma ha natura di scatola sonora, tessuto iridescente di suoni. La parola poetica viene a contare di più per i suoi valori evocativi e allusivi legati al suono, entro cui si creano nuovi significati supplementari che non per la sua corrispondenza con la cosa che designa.

La parola del testo poetico non rimanda più semplicemente alla realtà di cui si fa veicolo e portavoce, ma assume un valore in sé.

… Il testo poetico ha valore per se stesso, per la musica che crea e per i significati che da essa scaturiscono, inediti e moltiplicati.

[Giovanni Tesio, I più amati, Interlinea 2012]

 

A questo punto forse io non parlerei di parola nuda, ma di parola dalla cui unicità rampolla quella miriade di significati, di riferimenti, di quadri inaspettati, che erano già insiti nel termine lessicale stesso, ma come in potenza, non in atto, inanimati senza la forza creatrice del poeta. Il termine nudo mi evoca, per personale difetto caratteriale probabilmente, un ‘nudo e crudo’ essenziale, esatto, ma riduttivo rispetto al caleidoscopio magico che la parola, usata dall’artista riesce a suscitare in un animo ricettivo.

Forse sono questioni di lana caprina, ma se vi ho insistito  è unicamente per far comprendere quale risonanza questo volumetto e la sua prefazione abbiano avuto in me. Sicuramente la mia reattività è causata anche dall’ambivalenza di un contrastato rapporto con la figura materna da figlia, ambiguità questa che purtroppo non ha agevolato il mio percorso di madre quando lo diventai a mia volta. La figura materna, nel bene e nel male, domina nella vita delle donne non solo durante l’esistenza comune, ma per sempre la madre resta presenza ingombrante, di nostalgia o di pena, di sentimenti inespressi o insufficientemente chiariti, di mancanza rancorosa o di bisogno d’amore.

Anche la pacificazione è impresa faticosa: e Sonia rende magistralmente questo percorso esistenziale così personale e universale insieme, così sofferto, ma infine liberatorio grazie al potere della parola poetica, che libera chi scrive e chi legge dal contingente ed eleva in qualche modo al rasserenamento olimpico dell’arte (quando arte sussista e ti investa l’animo, come in questo caso avviene).

 

Vi lascio con due poesie conclusive:

 

estraniazione

 

pronuncio il suo nome

nell'aria umida della sera

come se volessi chiamare qualcuno

ma non ne ricordassi il volto

 

ma la potenza dell'aggettivo si perde

l'essenza del verbo è fallace

il sostantivo stesso perde forma

e sviluppa un'idea oscura

a cui non corrisponde

nulla

 

*

sopravvivere

 

invenzione

è un respiro ritrovato

nel coraggio dell'ignavia

tra pensieri palombari

incagliati nell'apnea