domenica 20 dicembre 2020

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: la poesia di Bruna Dell'Agnese

Confesso che non conoscevo la poetessa Bruna Dell’Agnese prima che me ne parlasse una amica di vecchia data, Anna, che vive il suo tempo negli stessi luoghi che videro snodarsi l’esistenza della poetessa: la bella stagione nei pressi del lago d’Orta, l’autunno e l’inverno a Milano. Mi sono sentita quasi in colpa per la mia ignoranza (anche se il grande Orazio, poeta sommo latino, mi giustifica nell’Ode IV.4, v. 22: “non è possibile sempre sapere tutto”): io da tutta la vita mi dedico alla poesia, Anna invece è un’archeologa, eppure quel giorno mi ha colta impreparata. Mi ha stimolata a leggere qualcosa di questa poetessa in quanto, conoscendomi bene, era certa che avrei trovato vari punti di contatto tra la mia poesia e la sua, e quindi mi sarei scoperta in consonanza con questa personalità di autrice.

Sotto diversi aspetti la mia amica Anna aveva ragione. Un primo motivo di affinità: la scelta di una vita riservata, lontana per lo più da ciò che chiamiamo il mondo letterario, soprattutto lontana dalle mode del momento, da condizionamenti di sorta. Anch’ella riteneva che solo così ci si potesse esprimere con un’intensità superiore, più pulita, nel senso che in alternativa al mondo materiale meglio si potesse costruire il proprio mondo dello spirito, sicuramente più autentico e vero, in quanto meno sottoposto a beghe, compromessi, distrazioni mondane. Certamente questo avviene a scapito di una più facilmente ottenibile notorietà ma, come dico sempre, è questione di chiarirsi gli obiettivi e poi perseguirli con coerenza. Sarà il tempo a dare ragione delle scelte fatte e, a tre anni dalla morte, Bruna Dell’Agnese incomincia ad essere riscoperta, studiata e conosciuta (un po’ come è avvenuto per la milanese d’acquisto Piera Oppezzo)

Non ho trovato molte notizie sulla sua vita, ma è anche vero che non ne voglio cercare a bella posta, per rispettare quella sua riservatezza sul privato che è anche la mia. Era nata a Borgomanero nel 1930, ma visse molto anche a Vacciago d’Ameno, sul lago d’Orta, quando non era costretta da impegni a Milano. È morta ad ottantasette anni l’11 agosto del 2017. Poetessa, conferenziera, traduttrice di Emily Dickinson e di Silvia Plath (tra le mie poetesse preferite), tradusse anche dall’inglese il poeta ebreo-ungherese, qui da noi quasi sconosciuto, Miklos Radnoti (poeta di cui mi sto occupando in questo periodo, al fine di trarne un monologo teatrale. Un caso?). Per sapere di più su Bruna, forse potrei contattare i suoi due figli Federico ed Elena, ma il rispetto dell’indole schiva della loro madre mi preme più delle sue umane vicende. Voglio che mi parlino la poesia ed una sua intervista - mirabile - del 2008. Un’altra annotazione va fatta: gli “ammiratori” della sua arte e gli amici poeti con cui mantenne rapporti, soprattutto nei periodi di vacanza, sono i miei poeti prediletti del secondo Novecento, Attilio Bertolucci e Vittorio Sereni. Anche in questo caso non penso che l’identico avvicinamento tra lei e me a questi due poeti, tra tante voci contemporanee, sia casuale. Nulla avviene per caso.

È arrivato il momento di presentarvi qualche poesia:

 

da Correndo l’anno, Edizioni del Leone 1999

           

Racconto d’estate

Andavo da un giardino all’altro

come il vento senza confini,

o l’ape, che nessuna siepe arresta

se un profumo l’attragga a sé

su un’altra sponda. ( In basso

il mare era, come nelle favole,

un’onda di pura luce).

Così accade nei miti:

passavo da un giardino all’altro

per cancelli un poco arrugginiti

sui cardini; e, come l’aria, invisibile,

sostavo con gli amici seduti

a chiacchierare e a bere vino.

Col suo battito d’ala la vita,

(o era la morte?) passava in silenzio

lì vicino.

 

da: Bassa marea, Edizioni del Leone 1996

 

Passaggio segreto

Parole d’amore e di preghiera,

come inutili monete fuori corso,

giacciono nel giardino sfiorito

dove le abbiamo abbandonate.

Ma quel luogo dimenticato, aperto

al vento, quel luogo inspiegato

e il momento che sussiste inalterato

al di là di macerie di memorie,

dischiusero per noi, smarriti eredi

del quotidiano, un passaggio segreto,

imprevedibile, insperato.

 

da Vuoto in giardino, Edizioni del Leone 1993

 

Il bosco in prigionia
Al bosco hanno applicato dei cancelli
ma gli alberi – disarmato stuolo –
si staccano dal suolo
dove sono confitti e salgono
diritti verso il cielo
stormendo in alto con un principio
irresistibile di volo.
Ciò disorienta gli uccelli
che se ne vanno altrove, ma qualcuno,
restando, crede di capire in quel loro
stormire, in quel tendere d’ogni foglia
o ramo al più lontano cielo, oltre
il consueto velo della nebbia, oltre,
l’audacia di certe nubi o pioggia,
che giù fin dalla roggia scura
dove la radice affonda
si nasconda questo sogno d’aria,
questa sete di altezza
che la brezza alimenta come un segno
ben chiaro, un preciso progetto
attuato di gradino in gradino,
di ramo in ramo, più in alto
e sempre più leggero,
per cui l’antico tronco si diffonde
in rivoli traccianti una vaga orma
nell’aria; come un’arte nuova,
una storia inedita, o come
un pensiero
che si muti lentamente in forma.

 

In queste poesie, dove la natura ha tanta parte, notiamo quanto il paesaggio viva dei sentimenti dell’uomo: è un campo di osservazione animato che stimola l’attività dello spirito e si fa metafora della vita umana. E’ vero: la natura vive dell’uomo che le dà i suoi sentimenti, lei dà viceversa i suoi momenti di equilibrio e anche quelli di squilibrio (cataclismi, fenomeni distruttivi). La natura, come le persone, non è uniforme, è varia e contraddittoria. Ci insegna che anche l’incoerenza ha una forma di creatività “sublime” ed un suo perché. A contatto con la natura emerge una poesia pensante come in un dialogo tra anime affini. Questo io vedo nella Dell’Agnese. Se ne esce a livello più universale, poeti meno autoreferenziali e persone più aperte ad ogni diverso da noi.

 

ancora da Correndo l’anno, Edizioni del Leone 1999

 

Case d’ombra

Le nostre; e chiusi dentro noi

mentre di là dalle finestre naviga

l’estate con tutte le sue flotte.

Le soglie, sbarrate da un’ombra

che indugia su di noi

come sopra un esitante stormo

la notte.

Quali porte apriremo ora sull’estate

eterna con api e fiori,

quali porte, se non riconosciamo più

forme e colori?

Quali danze faremo, se non abbiamo

piedi per ballare e dita

che inseminino i cieli con il volo

di teneri soffioni?

Noi, che non abbiamo sogni e stiamo

chiusi dentro case d’ombra

che non hanno porte, né stanze dove

si ascolti un canto. O dove

suoni il suo cembalo d’aria

il folle, il santo.

 

*

Il cielo

Trascolorando in aria e nuvole

o in sciami di stelle forse

già naufragate e tuttavia

isole di luce;

fiume di gloria, vasto sterminato,

il cielo riceve ogni nostra

preghiera, ogni sconfitta e anche

ogni vittoria.

Il cielo tutto accoglie, muto,

e non ne trabocca. Le sue ardenti

sfere non si sciolgono dagli

antichi abbracci;

troppo esile, il nostro triste

infinito non lo tocca. Indifferenti,

gli astri incandescenti non vanno

alla deriva:

greggi silenti sfilano, ordinati,

arcani armenti che vincastri di luce

guidino nel buio. Assente ogni

clamore o affanno

vanno, e si raccoglie nella loro scia

scrutato e incompreso l’universo.

Vanno nel buio, portando come lucciole

la propria luce.

Ma forse, anche meno delle lucciole,

lo sanno.

 

Da queste poesie emergono alcuni concetti base:

 

1.     Tutto ciò che è esistente (oggetto di osservazione o di pensiero) può diventare occasione di poesia. Le piccole cose quotidiane possono sublimarsi e arrivare a significati straordinari.

2.     La poesia è, di per sé, indefinibile, come del resto ogni attività dello spirito. Ogni definizione è per sua natura un limite quando la poesia è invece inesauribile. Forse può, come altre attività della mente, significare per noi un percorso verso la conoscenza della nostra interiorità, per poi aprirsi agli altri. Questa è la peculiarità della poesia.

La Dell’Agnese è contro ogni forma di autoreferenzialità, come già si è detto.

3.     Compito della poesia: riconoscere in sé tutta l’umanità e quindi interpretare e condividere i sentimenti dell’uomo di ogni tempo e nazionalità, pur nel cambiamento degli anni e delle forme espressive che mutano nel tempo, come avviene in tutte le forme artistiche, non solo in poesia.

 

Un pensiero ricorrente di questa poetessa nasceva dalla citazione di Marina Cvetaeva, secondo cui “esiste un unico poeta, sempre!”. Forse è lo stesso pensiero di Borges, per cui egli chiede scusa ai suoi lettori: di essere arrivato solo un attimo prima di loro ad esprimere quanto tutti sentono nel cuore, ma non hanno scritto.

La Dell’Agnese, che leggeva spesso poesie in incontri pubblici e conferenze - come capita a me da anni al gruppo di poesia Tempo di Parole - notava l’intensa compartecipazione e commozione dei presenti proprio per i succitati motivi. Diceva: “il sentire è suddiviso in minutissimi frammenti nell’animo di ogni uomo, anche se a qualcuno, per un particolare talento, è dato di poterlo con maggior forza manifestare e rivelare”.

Mentre vi lascio alle due ultime letture, ribadisco che questa poetessa mai si è allontanata da se stessa e dal suo mondo e, con grande coerenza di pensiero e di scrittura, è riuscita ad attraversare il cuore dei lettori, pur portandoli oltre alle emozioni, alla riflessione ed alla poesia pensante.

Se un piccolo neo si deve ricercare in questa scrittura, forse va detto che, a parer mio, lo stile è eccessivamente legato alla tradizione lirica italiana un po’ retrò. In questi anni tendiamo a sfrondare ridondanze, cerchiamo la sintesi, la lapidarietà dell’assunto, l’immagine immediata e folgorante, l’intensità di una metafora o di un ossimoro. Del resto mi pare fosse questa la strada che la poetessa intendeva percorrere nei suoi ultimi anni, riguardo al proprio stile di scrittura. Ne fanno fede i due inediti che vi propongo e con cui vi lascio:

Il primo, I duellanti, decisamente moderno, il secondo, Cattedrali del duemila, forse rimasta da rivedere.

 

            I duellanti

Ci fossimo mai sfiorati, noi

duellanti senza misericordia,

che mangiavamo ogni giorno

il pane della discordia

e bevevamo veleno.

 

Noi, corazzati dietro le porte chiuse,

assediati dagli anni dalle cose che

ci guardavano senza intervenire,

le cose mute, pazienti, che ci vedevano

morire.

 

Avessimo, mentre oltre le sbarre

il sole scoloriva, deposta la spada,

le visiera, l’abito di ferro, e piano,

ci fossimo almeno sfiorati con la mano

sulla pelle nuda.

 

*

Cattedrali del duemila

Splendidi gusci ma di conchiglie

morte, adagiate su torbidi fondali.

 

E noi, giunti per disuguali percorsi,

accampati come soldati ubriachi

 

dentro sacri recinti che videro

– oltre notturne porte dischiuse

 

per preghiere oggi dimenticate –

 

sorgere dei e dee dispensanti

grazie doni e, forse, felicità.

 

Incapaci oramai di decifrare

i nostri e gli altrui sogni,

 

noi, tra stipiti violati, scorgiamo

solamente l’oscurità che preme.

 

 

Bruna Dell’Agnese, originaria di Borgomanero, è scomparsa nel 2017. Le sue raccolte di poesia: Stanza Occidentale (presentazione di Attilio Bertolucci, 1985), Bassa marea, Correndo l’anno, Nel fruscio del quotidiano, Gli improbabili confini (2004), ricapitolate nel volume Sul confine del tempo – Poesie 1985-2009 (Moretti & Vitali, 2011), Geometrie imperfette – le ultime poesie con prefazione di Silvio Raffo (Puntoacapo Editrice 2019). E’ stata anche traduttrice di poeti: accanto alle poetesse del romanticismo inglese (Bronté, Barrett Browning, Dickinson), Poe e poeti contemporanei come Charles Tomlinson, o Mikos Radnoti). Ha pubblicato anche una raccolta di saggi dal titolo Il teatro dell’assenza (Moretti & Vitali, 2007), la raccolta di racconti Il messaggero del Prado (Greco & Greco, 2009) e un saggio sul Lago d’Orta, scrigni di luci (Alberti, 2006), illustrato dal pittore Carlo Rapp.

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