domenica 14 febbraio 2021

Letture condivise a cura di Marvi del Pozzo: "Pienezza dell'occhio" di Blanca Varela (Ed. La vita felice 2020)

Nell’ottobre scorso è stata inaugurata per La vita felice, nella collana Labirinti, la sezione di poesia ispano-americana curata da Cinzia Marulli e Mario Meléndez. Non poteva iniziarsi con auspici migliori, arrivando in Italia e con questo volume ad una più vasta diffusione, una poetessa straordinaria, di mente e di cuore, di grande ricchezza creativa e, seppure totalmente diversa dalle nostre consuetudini di scrittura, così rapinosa, affascinante. Uso questi aggettivi in senso concreto, non metaforico: la malia di Blanca consiste proprio nel rapirti verso un mondo diverso, primordiale direi, ma non apollineo, non da Eden perduto, quanto dionisiaco, sanguigno, caliente al limite della violenza.

Ma questa fisicità, sensualità di profumi, di colori del Sud del mondo, che abbacina e trascina, riporta il lettore stranamente proprio al ritrovamento di sé come creatura primigenia, conduce ad un “Alto”, al Metafisico, quasi all’essenzialità di una linea filosofica di pensiero.

 

 

 

 

Da Quel porto esiste (1949 -1959)

 

Mezzogiorno

E’ tutto pronto per il sacrificio.

L’animale muggisce nel tempio di mattoni.

Lacrima dura e rossa,

rocce di fuoco,

silenzio e odore forte di girasole,

di galli coronati.

 

Non cadrà una foglia,

solo la specie cade,

e il frutto cade dall'aria avvelenato.

 

Non c’è centro,

sono fiori terribili

tutti quei volti piantati sulla pietra,

astri in subbuglio, senza volontà.

 

Neanche un'ora di pace in quest'immenso giorno.

La luce crudelissima divora la sua porzione.

 

Il mare è lontano e solo,

la terra impura e vasta

 

Da Luce del giorno (1960 -1963)

 

Epitaffio

Questo è oggi,

qualcosa di perduto.

 

Brilla il prato.

Cade una foglia

ed è come il segnale atteso

perché tu torni dalla morte

e attraversi con splendore

e silenzio di stella

la mia memoria.

(Morte nel giardino)


Alba

Al risveglio

mi ha sorpreso la perduta immagine di ieri.

Lo stesso albero nella mattina

e nel canale

l’uccello che beve

tutto l'oro del giorno.

 

Siamo vivi,

chi lo mette in dubbio,

l’alloro, l'uccello, l'acqua

e io

che guardo e ho sete.

(Morte nel giardino)

 

Tra la metafisica e il terrestre si snoda la vita di noi tutti, con svariate esperienze nell’esistenza e, per Blanca, anche diverse sperimentazioni di vita poetica. Va detto che la poesia in lingua straniera comporta sempre una complessa opera nella traduzione. Emilio Coco ha reso giustizia al testo spagnolo penetrandone perfettamente non solo la lettera, ma soprattutto lo spirito, cosa molto più ardua, perché si tratta di entrare nell’anima del poeta, coglierne l’essenza nella specificità e farla propria prima di potersi responsabilizzare al compito di donarla agli altri, in lingua e sonorità diverse, senza tradire ogni elemento costitutivo. E’ operazione complessa che pochi riescono a rendere in maniera compiuta. Onore al merito ad Emilio Coco, dunque!

 

Torniamo a Blanca Varela, nata a Lima nel 1926 e mancata nel 2009. Ha sperimentato, nella sua lunga vita, gli influssi di varie correnti letterarie del tempo, dagli inizi segnati dal Surrealismo internazionale, fino a giungere alle poesie della raccolta La falsa tastiera del 2000, in cui ormai infrequenti diventano metafore ed allegorie, lo stile si fa stringato, più narrativo, descrittivo, ma il sottofondo di pensiero, anche se appena accennato, porta il lettore a meditare su quanto suggerito da poche puntuali immagini: il senso della vita, il senso della morte.

Si sposò a vent’anni col pittore Fernando de Szyszlo e ne ebbe due figli. Di natura schiva e riservata non andava a caccia di notorietà. Ebbe vari premi importanti e riconoscimenti anche internazionali, ad esempio il premio Reina Sofia de España nel 2007 per la poesia ibero-americana. Ma la Varela sapeva che i premi passano, come le gratificazioni, come la vita stessa degli individui. La poesia invece ha una storia propria,  permane nel tempo al di là di ogni stile e moda, solo se vale in sé, grazie all’intuizione di un poeta e al suo lavoro impegnativo, in fondo fine a se stesso, generoso, perché unico scopo è dare vita a qualcosa che trascenda l’autore e parta per un suo cammino, di cui nessuno può immaginare né percorso né meta. Non so sinceramente se, senza lo sprone del messicano premio Nobel per la Letteratura 1990 Octavio Paz, entusiasta della sua scrittura, Blanca si sarebbe avventurata a credere in se stessa e nel valore della sua poesia.

E’ poetessa di fluidità e di silenzi, di natura trasfigurata, di incendi di immagini e di caos bollente, come afferma il relatore del libro Miguel Angel Zapata, ma il miracolo della sua poesia è che Blanca riesce a sanare gli opposti e ad arrivare ad un’armonia che entra nella psiche e nel cuore dei lettori, come un respiro che si placa al termine di una corsa dirompente. “Il respiro della poesia è l’ossigeno dell’anima” disse un giorno ed è quello stato di quiete dopo la tempesta che avviene nel lettore attento.

 

Da Valzer e altre false confessioni (1964 -1971)

 

Mezza voce

la lentezza è bellezza

copio queste righe altrui

respiro

accetto la luce

sotto l'aria rarefatta di novembre

sotto l'erba

senza colore

sotto il cielo guasto

e grigio

accetto il dolore e la festa

non sono arrivata

non arriverò mai

al centro di tutto

c’è la poesia intatto

sole ineludibile

notte senza voltare la testa

mi aggiro tra la sua luce

tra la sua ombra animale

di parole

fiuto il suo splendore

la sua orma

i suoi resti

tutto per dire

che una volta

sono stata attenta

disarmata

 

sola quasi

nella morte

quasi nel fuoco

 

Negli ultimi anni la poesia di Blanca  diventa più concisa, essenziale. Si parte da un terrestre quotidiano, talora persino un po’ troppo prosaico (tagliarsi unghie capelli), per giungere al metafisico, all’Alto, come già dicevo all’inizio. Dal concreto quotidiano al cielo, all’idea di Dio, al senso della morte.

Il passo non è così lontano come si potrebbe pensare. Sono poesie che vanno dal 1999 al 2000: c’è una modernità di stile, di contemporaneità, un’asciuttezza del dire molto lungi dai primi testi degli anni ’50-’60 (si veda Mezzogiorno) che vi ho presentato.

 

Da Concerto animale (1999)

 

Morire ogni giorno un po' di più

morire ogni giorno un po' di più

tagliarsi le unghie

i capelli

i desideri

imparare a pensare al piccolo

e all'immenso

alle stelle più lontane

e immobili

al cielo

macchiato come un animale che fugge

nel cielo

spaventato da me

 

Da La falsa tastiera (2000)

 

Così deve essere

Così deve essere il volto di dio

il cielo rabbiosamente attraversato

da nuvole grigie, viola

e arancioni

e la sua voce

il mare di sotto

che dice sempre la stessa cosa

così monotono

così monotono

come il primo

e l'ultimo giorno

 


Nessuno ci dice

Nessuno ci dice come

girare la faccia contro il muro

e

morire semplicemente

così come hanno fatto il gatto

o il cane di casa

o l'elefante

che ha camminato dietro alla sua agonia

come chi va

a un'improrogabile cerimonia

battendo le orecchie

al ritmo

del cadenzato ansimare

della sua proboscide

solo nel regno animale

ci sono esempi di un simile

comportamento

cambiare il passo

avvicinarsi

e odorare il già vissuto

e girarsi

semplicemente

girarsi

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento