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foto di Inês Gonçalves
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Riprendo dopo l’estate la rubrica Letture
condivise sovvertendo l’ordine previsto degli autori da presentare, perché
stimolata dal momento politico-sociale del nostro paese. Dopo la crisi
governativa nel cuore di luglio, tra una decina di giorni si andrà alle urne,
ancora in periodo di ferie, di vacanze protratte, di disimpegno (in linea di
massima anche legittimo). Siamo comunque tutti chiamati, con coscienza come non
mai, al voto: si tratta di assumerci la responsabilità in proprio, di chiarirci
quale possibile corso dare ai numerosi e multiformi problemi del paese. In
questo momento storico noi, come popolo e come singoli votanti, non possiamo
moralmente crearci alibi. Una cosa sola ci è richiesta: essere responsabili del
nostro voto, ovviamente qualunque sia la scelta libera di esso.
Allora, e qui vengo al punto che ci interessa, la
figura e la poesia di Sophia de Mello diventano determinanti. La sua è una
presenza poco conosciuta nel nostro paese: io stessa mi preparavo a
presentarla, soprattutto come interessa sostanzialmente a me, dal punto di vista letterario, strettamente
stilistico e poetico: parlarvi della sua limpidezza formale, della sua
linguistica chiarezza, semplice e incisiva, quale sua cifra distintiva. Pensavo
di comunicarvi la sua poetica fatta di sguardi reali sul mondo, da cui emerge
una poesia personale e oggettiva insieme, un desiderio di bellezza che è anche
di rigore e verità.
Come scrisse l’autrice stessa, l’opera d’arte fa
parte del reale: è destino, realizzazione, salvezza e vita… perciò la poesia è
una morale… e il senso della giustizia è da sempre una coordinata fondamentale
dell’opera poetica. Nel teatro greco, per esempio, il tema della giustizia è il
respiro stesso delle parole, perché si confonde con quell’equilibrio delle
cose, con quell’ordine del mondo con cui il poeta vuole integrare il suo canto.
Dice infatti il coro di Eschilo: “nessuna muraglia difenderà colui che, ebbro
della propria ricchezza, deruba l’altare sacro della giustizia”. Forse questo
termine ‘giustizia’ è analogo a quell’amore di Dante che muove il sole e le
altre stelle, si confonde con la nostra fiducia nell’evoluzione dell’uomo, con
la nostra fede nell’Universo…
Queste parole di Sophia, riportate nelle pagine
120-125 di questo bellissimo libro tradotto e curato da Roberto Maggiani,
appena edito nel maggio di quest’anno, fanno parte della postfazione
dell’autrice alla seconda edizione di Livro sexto 1984 (Arte Poetica
III).
Sugli aspetti poetico-estetico-civili di Sophia, che
pure sono l’oggetto primo di Letture condivise e ne qualificano il
senso, parleremo diffusamente nel prossimo articolo (tra una ventina di giorni,
al massimo), visto che ho deciso, per l’attualità del problema e dell’imminenza
della nostra chiamata elettorale, di proporre in due puntate la trattazione di quest’autrice e anticipare
ad oggi il suo pensiero sul senso e sulla funzione di un poeta all’interno
della società civile. Dalle parole chi vi ho citato di Sophia e per le poesie
che vi presenterò oggi, risulterà chiaro quanto poco ella pontifichi
astrattamente sulle teorie sociopolitiche e su questioni di lana caprina e
quanto, invece, la sua parola-bisturi, semplice e precisa, trovi la via più
esplicita e diretta per entrare nell’animo altrui in modo autenticamente
costruttivo.
Intanto qualche notizia biografica:
Sophia de Mello Breyner
Andresen, portoghese, nacque a Porto nel 1919 da agiata famiglia e morì a
Lisbona nel 2004. Dal padre, che come si evince dal cognome Andresen era di
origine danese, fu educata secondo principi di cattolicesimo liberale e
all’Università di Lisbona, ove studiò Filologia classica, fu leader del
movimento universitario cattolico. Sposata al giornalista Francisco Souza
Tavares dal 1946 ebbe da lui cinque figli (tra cui lo scrittore Miguel Souza
Tavares). Amante della classicità
greco-romana, viaggiò a lungo sulle orme della cultura del passato e incominciò
ad essere conosciuta in particolare per i suoi libri di poesia a metà degli
anni Sessanta con Livro
sexto, pubblicato nel
1962 e premiato dalla Società Portoghese
degli Scrittori col Gran
Premio della Poesia nel
1964.
È in questo volume di
versi che trovano voce testi critici sulla politica portoghese del tempo. Il
governo di Antonio Salazar fu in pratica la forma del Fascismo portoghese:
autoritario, corporativista. Ministro delle Finanze dal 1928 e Primo Ministro
dal ’32, Salazar fu a capo della più lunga dittatura europea del XX secolo, dal
’32 al’68. Di fronte alla censura, alla persecuzione di socialisti, comunisti,
obiettori di fronte all’intenso sfruttamento colonialista, al sistema
repressivo della polizia politica verso i contrari al regime, c’è sempre con
fermezza e coraggio anche Sophia, che sottoscrive il Manifesto dos 101 in cui 101 importanti figure pubbliche del paese,
in particolare i cattolici progressisti, criticano le politiche interne e
coloniali di Salazar.
In particolare, ciò che
mi interessa sottolineare al di là delle diverse situazioni storico-politiche
fra i nostri paesi (per fortuna del tutto incommensurabili) è il pensiero
dell’autrice sul ruolo del poeta, che deve dimostrare anche con i suoi scritti,
ma soprattutto con la propria coerenza personale un impegno attivo: la figura del poeta, attraverso la
depurazione più completa del proprio vocabolario, può e deve farsi portavoce
della richiesta di giustizia di chi non ha voce, secondo un binomio ‘justiça-justeza’,
dove il primo termine indica la giustizia degli uomini e con ‘justeza’ si
intende l’esattezza della parola poetica.
Estremamente chiarificatore in tal senso è un articolo pubblicato da Sophia nel
giugno 1963 sulla rivista O
Tempo e o Modo interamente
dedicato al ruolo dell’artista all’interno della società: Esiste un'unità della
verità. Colui che ricerca una relazione giusta con il mare, con la pietra, con
l'albero, contribuisce a una relazione più giusta tra gli uomini. Ognuno ha i
suoi termini, le sue strade. Uno parlerà di scogliere e vento, un altro parlerà
di città e lacrime. Ma, visto che la poesia è la nostra esplicazione
dell'universo e la nostra più intima implicazione nella realtà, ci sono temi a
cui nessun poeta può restare indifferente. [ ... ] Il poeta non si limita a
raccontare e a cantare il mondo. Lo modifica, anche. [ ... ]Non è possibile purificare
le parole senza purificare anche la relazione dell'uomo con la realtà [ ...
]Per il poeta la poesia è una maniera di salvare se stesso e gli altri. E
questa ricerca di salvezza non può essere distinta dalla ricerca di una forma
concreta e pratica di giustizia.
Ho riportato queste
notizie su Sophia dalla eccellente postfazione dell’acuto studioso di
letteratura portoghese, dell’Università di Tor Vergata, Claudio Trognoni, che
qui non trasferisce solo il suo sapere ai lettori, ma li stimola mediante una
sapiente e appassionata scrittura a conoscere più in profondità l’autrice, a
penetrarne maggiormente l’anima, insieme con la poesia.
Vi lascio – finalmente! –
alla lettura di alcuni testi civili di Sophia de Mello, che volutamente non
commento ora, permettendo quindi ai versi di esporsi in toto e ai lettori di
costruirsene un’idea personale assolutamente libera. Del resto la poesia parla
da sola. È la sua peculiarità.
Nel prossimo articolo,
sempre su questa poetessa, analizzeremo concretamente tematiche e stili. La sua
è una scrittura calibrata ma intensa, tale da creare relazioni vere tra uomo e
uomo, tra uomo e natura, tra passato e presente, tra scrittore e lettore. Senza
contorcimenti verbali, senza sovrastrutture della mente. Cosa rara ai nostri
giorni.
Ci dedicheremo, nella
prossima lettura condivisa, a temi più leggeri, di olimpico classico respiro,
di coinvolgente apollinea bellezza. Di fronte allo splendore del mondo, al mare
e alle spiagge dell’Algarve, ai colori di madre natura, Sophia si incanta e si rallegra con passione, per dirla con parole sue, ma è la stessa persona
ingenuamente creatura che, di
fronte alla sofferenza del mondo si ribella con passione. E continua, sempre nella postfazione al Livro sexto già citata, non accettiamo la fatalità del male.
Come Antigone: “sono colei
che non ha imparato a cedere ai disastri”. C’è un desiderio di rigore e verità
che è intrinseco all’intima struttura del poema e che non può accettare un
ordine falso.
L’artista in ogni tempo,
attraverso le sue opere, influenza la vita degli altri, anche solo per il fatto
del suo rigore nella ricerca di verità e di responsabilizzazione, contribuirà
alla formazione di una coscienza comune. Il poeta per Sophia de Mello, e non
solo per lei fortunatamente, è l’erede
della libertà e della dignità dell’essere.
Forse non sempre noi ce lo ricordiamo. È
più comodo abdicare e pensare, come dice Guicciardini, al nostro ‘particulare’,
anche se in momenti di rara lucidità ci ritroviamo amareggiati o in crisi con
noi stessi.
Da Mare
nuovo, 1958
NAUFRAGO
Ora
oscilli morto
Al
gusto delle correnti
Con
meduse invece di pupille.
Ora
regni tra immagini pure
In
paesi trasparenti e di vetro,
Senza
cuore e senza memoria
Diluito
in tutte le presenze.
Ora
liberato dimori
Nella pausa bianca dei poemi.
E
il tuo corpo sale e scende in ogni onda,
Senza
nome e senza destino
Nella
limpidezza dell'acqua.
Da
Il Cristo gitano, 1961
PATRIA
Per
un paese di pietra e vento forte
Per
un paese di luce perfetta e chiara
Per
il nero della terra e per il bianco del muro
Per
i volti di silenzio e di pazienza
Che
la miseria lungamente ha disegnato
Rasente
alle ossa con tutta l'esattezza
Di
una lunga relazione irrecusabile
E
per i visi uguali al sole e al vento
E
per la limpidezza delle tanto amate
Parole
sempre dette con passione
Per
il colore e per il peso delle parole
Per
il concreto silenzio limpido delle parole
Da
dove si ergono le cose nominate
Per
la nudità delle parole abbagliate
–
Pietra fiume vento casa
Pianto
giorno canto ardore
Spazio
radice e acqua
O
mia patria e mio centro
Mi
duole la luna mi singhiozza il mare
E
l'esilio s'inscrive in pieno tempo
***
IL
VECCHIO AVVOLTOIO
Il
vecchio avvoltoio è saggio e liscia le sue penne
Il
putridume gli aggrada e i suoi discorsi
Hanno
il dono di rendere le anime più piccole
Da
Il nome delle cose, 1977
25
DI APRILE*
Questa
è l'alba che attendevo
Il
giorno iniziale intero e limpido
In
cui emergiamo dalla notte e dal silenzio
E
liberi abitiamo la sostanza del tempo
*Anche per il Portogallo, come per
l’Italia, il 25 aprile segna la libertà. Il 25 aprile 1974, con la cosiddetta Rivoluzione
dei garofani, si è ripristinata la democrazia mediante un colpo di stato
militare incruento, da parte delle forze armate più progressiste. Segue un
periodo, tuttavia, di aspre lotte politiche
***
RIVOLUZIONE
Come
casa pulita
Come
pavimento spazzato
Come
porta aperta
Come
puro inizio
Come
tempo nuovo
Senza
macchia né vizio
Come
la voce del mare
Interiore
di un popolo
Come
pagina in bianco
Dove
la poesia emerge
Come
architettura
Dell'uomo
che erige
La
propria abitazione
(27 aprile 1974)
***
CON
FURIA E RABBIA
Con
furia e rabbia accuso il demagogo
E
il suo capitalismo di parole
Ebbene
bisogna sapere che la parola è sacra
Che
da lontano molto lontano un popolo l'ha portata
E
in essa ha posto la sua anima confidente
Da
lontano molto lontano fin dall'inizio
L'uomo
ha saputo di sé attraverso la parola
E
ha nominato la pietra il fiore l'acqua
E
tutto è emerso perché egli ha detto
Con
furia e rabbia accuso il demagogo
Che
si promuove all'ombra della parola
E
della parola fa potere e gioco
E
trasforma le parole in moneta
Come
si è fatto con il grano e con la terra
(giugno 1974)
Da
Navigazioni, 1983
DERIVA
III
Nudi
si bagnarono in grandi spiagge lisce
Altri
si perdettero nel repentino azzurro dei temporali
(1982)