foto di Inês Gonçalves |
Allora, e qui vengo al punto che ci interessa, la figura e la poesia di Sophia de Mello diventano determinanti. La sua è una presenza poco conosciuta nel nostro paese: io stessa mi preparavo a presentarla, soprattutto come interessa sostanzialmente a me, dal punto di vista letterario, strettamente stilistico e poetico: parlarvi della sua limpidezza formale, della sua linguistica chiarezza, semplice e incisiva, quale sua cifra distintiva. Pensavo di comunicarvi la sua poetica fatta di sguardi reali sul mondo, da cui emerge una poesia personale e oggettiva insieme, un desiderio di bellezza che è anche di rigore e verità.
Come scrisse l’autrice stessa, l’opera d’arte fa parte del reale: è destino, realizzazione, salvezza e vita… perciò la poesia è una morale… e il senso della giustizia è da sempre una coordinata fondamentale dell’opera poetica. Nel teatro greco, per esempio, il tema della giustizia è il respiro stesso delle parole, perché si confonde con quell’equilibrio delle cose, con quell’ordine del mondo con cui il poeta vuole integrare il suo canto. Dice infatti il coro di Eschilo: “nessuna muraglia difenderà colui che, ebbro della propria ricchezza, deruba l’altare sacro della giustizia”. Forse questo termine ‘giustizia’ è analogo a quell’amore di Dante che muove il sole e le altre stelle, si confonde con la nostra fiducia nell’evoluzione dell’uomo, con la nostra fede nell’Universo…
Queste parole di Sophia, riportate nelle pagine 120-125 di questo bellissimo libro tradotto e curato da Roberto Maggiani, appena edito nel maggio di quest’anno, fanno parte della postfazione dell’autrice alla seconda edizione di Livro sexto 1984 (Arte Poetica III).
Sugli aspetti poetico-estetico-civili di Sophia, che pure sono l’oggetto primo di Letture condivise e ne qualificano il senso, parleremo diffusamente nel prossimo articolo (tra una ventina di giorni, al massimo), visto che ho deciso, per l’attualità del problema e dell’imminenza della nostra chiamata elettorale, di proporre in due puntate la trattazione di quest’autrice e anticipare ad oggi il suo pensiero sul senso e sulla funzione di un poeta all’interno della società civile. Dalle parole chi vi ho citato di Sophia e per le poesie che vi presenterò oggi, risulterà chiaro quanto poco ella pontifichi astrattamente sulle teorie sociopolitiche e su questioni di lana caprina e quanto, invece, la sua parola-bisturi, semplice e precisa, trovi la via più esplicita e diretta per entrare nell’animo altrui in modo autenticamente costruttivo.
Intanto qualche notizia biografica:
Sophia de Mello Breyner Andresen, portoghese, nacque a Porto nel 1919 da agiata famiglia e morì a Lisbona nel 2004. Dal padre, che come si evince dal cognome Andresen era di origine danese, fu educata secondo principi di cattolicesimo liberale e all’Università di Lisbona, ove studiò Filologia classica, fu leader del movimento universitario cattolico. Sposata al giornalista Francisco Souza Tavares dal 1946 ebbe da lui cinque figli (tra cui lo scrittore Miguel Souza Tavares). Amante della classicità greco-romana, viaggiò a lungo sulle orme della cultura del passato e incominciò ad essere conosciuta in particolare per i suoi libri di poesia a metà degli anni Sessanta con Livro sexto, pubblicato nel 1962 e premiato dalla Società Portoghese degli Scrittori col Gran Premio della Poesia nel 1964.
È in questo volume di versi che trovano voce testi critici sulla politica portoghese del tempo. Il governo di Antonio Salazar fu in pratica la forma del Fascismo portoghese: autoritario, corporativista. Ministro delle Finanze dal 1928 e Primo Ministro dal ’32, Salazar fu a capo della più lunga dittatura europea del XX secolo, dal ’32 al’68. Di fronte alla censura, alla persecuzione di socialisti, comunisti, obiettori di fronte all’intenso sfruttamento colonialista, al sistema repressivo della polizia politica verso i contrari al regime, c’è sempre con fermezza e coraggio anche Sophia, che sottoscrive il Manifesto dos 101 in cui 101 importanti figure pubbliche del paese, in particolare i cattolici progressisti, criticano le politiche interne e coloniali di Salazar.
In particolare, ciò che mi interessa sottolineare al di là delle diverse situazioni storico-politiche fra i nostri paesi (per fortuna del tutto incommensurabili) è il pensiero dell’autrice sul ruolo del poeta, che deve dimostrare anche con i suoi scritti, ma soprattutto con la propria coerenza personale un impegno attivo: la figura del poeta, attraverso la depurazione più completa del proprio vocabolario, può e deve farsi portavoce della richiesta di giustizia di chi non ha voce, secondo un binomio ‘justiça-justeza’, dove il primo termine indica la giustizia degli uomini e con ‘justeza’ si intende l’esattezza della parola poetica. Estremamente chiarificatore in tal senso è un articolo pubblicato da Sophia nel giugno 1963 sulla rivista O Tempo e o Modo interamente dedicato al ruolo dell’artista all’interno della società: Esiste un'unità della verità. Colui che ricerca una relazione giusta con il mare, con la pietra, con l'albero, contribuisce a una relazione più giusta tra gli uomini. Ognuno ha i suoi termini, le sue strade. Uno parlerà di scogliere e vento, un altro parlerà di città e lacrime. Ma, visto che la poesia è la nostra esplicazione dell'universo e la nostra più intima implicazione nella realtà, ci sono temi a cui nessun poeta può restare indifferente. [ ... ] Il poeta non si limita a raccontare e a cantare il mondo. Lo modifica, anche. [ ... ]Non è possibile purificare le parole senza purificare anche la relazione dell'uomo con la realtà [ ... ]Per il poeta la poesia è una maniera di salvare se stesso e gli altri. E questa ricerca di salvezza non può essere distinta dalla ricerca di una forma concreta e pratica di giustizia.
Ho riportato queste notizie su Sophia dalla eccellente postfazione dell’acuto studioso di letteratura portoghese, dell’Università di Tor Vergata, Claudio Trognoni, che qui non trasferisce solo il suo sapere ai lettori, ma li stimola mediante una sapiente e appassionata scrittura a conoscere più in profondità l’autrice, a penetrarne maggiormente l’anima, insieme con la poesia.
Vi lascio – finalmente! – alla lettura di alcuni testi civili di Sophia de Mello, che volutamente non commento ora, permettendo quindi ai versi di esporsi in toto e ai lettori di costruirsene un’idea personale assolutamente libera. Del resto la poesia parla da sola. È la sua peculiarità.
Nel prossimo articolo, sempre su questa poetessa, analizzeremo concretamente tematiche e stili. La sua è una scrittura calibrata ma intensa, tale da creare relazioni vere tra uomo e uomo, tra uomo e natura, tra passato e presente, tra scrittore e lettore. Senza contorcimenti verbali, senza sovrastrutture della mente. Cosa rara ai nostri giorni.
Ci dedicheremo, nella prossima lettura condivisa, a temi più leggeri, di olimpico classico respiro, di coinvolgente apollinea bellezza. Di fronte allo splendore del mondo, al mare e alle spiagge dell’Algarve, ai colori di madre natura, Sophia si incanta e si rallegra con passione, per dirla con parole sue, ma è la stessa persona ingenuamente creatura che, di fronte alla sofferenza del mondo si ribella con passione. E continua, sempre nella postfazione al Livro sexto già citata, non accettiamo la fatalità del male. Come Antigone: “sono colei che non ha imparato a cedere ai disastri”. C’è un desiderio di rigore e verità che è intrinseco all’intima struttura del poema e che non può accettare un ordine falso.
L’artista in ogni tempo, attraverso le sue opere, influenza la vita degli altri, anche solo per il fatto del suo rigore nella ricerca di verità e di responsabilizzazione, contribuirà alla formazione di una coscienza comune. Il poeta per Sophia de Mello, e non solo per lei fortunatamente, è l’erede della libertà e della dignità dell’essere. Forse non sempre noi ce lo ricordiamo. È più comodo abdicare e pensare, come dice Guicciardini, al nostro ‘particulare’, anche se in momenti di rara lucidità ci ritroviamo amareggiati o in crisi con noi stessi.
Da Mare nuovo, 1958
NAUFRAGO
Ora oscilli morto
Al gusto delle correnti
Con meduse invece di pupille.
Ora regni tra immagini pure
In paesi trasparenti e di vetro,
Senza cuore e senza memoria
Diluito in tutte le presenze.
Ora liberato dimori
Nella pausa bianca dei poemi.
E il tuo corpo sale e scende in ogni onda,
Senza nome e senza destino
Nella limpidezza dell'acqua.
Da Il Cristo gitano, 1961
PATRIA
Per un paese di pietra e vento forte
Per un paese di luce perfetta e chiara
Per il nero della terra e per il bianco del muro
Per i volti di silenzio e di pazienza
Che la miseria lungamente ha disegnato
Rasente alle ossa con tutta l'esattezza
Di una lunga relazione irrecusabile
E per i visi uguali al sole e al vento
E per la limpidezza delle tanto amate
Parole sempre dette con passione
Per il colore e per il peso delle parole
Per il concreto silenzio limpido delle parole
Da dove si ergono le cose nominate
Per la nudità delle parole abbagliate
– Pietra fiume vento casa
Pianto giorno canto ardore
Spazio radice e acqua
O mia patria e mio centro
Mi duole la luna mi singhiozza il mare
E l'esilio s'inscrive in pieno tempo
***
IL VECCHIO AVVOLTOIO
Il vecchio avvoltoio è saggio e liscia le sue penne
Il putridume gli aggrada e i suoi discorsi
Hanno il dono di rendere le anime più piccole
Da Il nome delle cose, 1977
25 DI APRILE*
Questa è l'alba che attendevo
Il giorno iniziale intero e limpido
In cui emergiamo dalla notte e dal silenzio
E liberi abitiamo la sostanza del tempo
*Anche per il Portogallo, come per l’Italia, il 25 aprile segna la libertà. Il 25 aprile 1974, con la cosiddetta Rivoluzione dei garofani, si è ripristinata la democrazia mediante un colpo di stato militare incruento, da parte delle forze armate più progressiste. Segue un periodo, tuttavia, di aspre lotte politiche
***
RIVOLUZIONE
Come casa pulita
Come pavimento spazzato
Come porta aperta
Come puro inizio
Come tempo nuovo
Senza macchia né vizio
Come la voce del mare
Interiore di un popolo
Come pagina in bianco
Dove la poesia emerge
Come architettura
Dell'uomo che erige
La propria abitazione
(27 aprile 1974)
***
CON FURIA E RABBIA
Con furia e rabbia accuso il demagogo
E il suo capitalismo di parole
Ebbene bisogna sapere che la parola è sacra
Che da lontano molto lontano un popolo l'ha portata
E in essa ha posto la sua anima confidente
Da lontano molto lontano fin dall'inizio
L'uomo ha saputo di sé attraverso la parola
E ha nominato la pietra il fiore l'acqua
E tutto è emerso perché egli ha detto
Con furia e rabbia accuso il demagogo
Che si promuove all'ombra della parola
E della parola fa potere e gioco
E trasforma le parole in moneta
Come si è fatto con il grano e con la terra
(giugno 1974)
Da Navigazioni, 1983
DERIVA
III
Nudi si bagnarono in grandi spiagge lisce
Altri si perdettero nel repentino azzurro dei temporali
(1982)
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