Dopo Marzo
Dimenticare città, nomi,
desideri
di uomo: voglio solo
fiorire, rivivere, io non più io, ibisco, acacia,
conca aperta e tremante di un anemone.
Avere piedi e nodi d'erba,
io
non più io, mani guantate di germogli, ciglia nuove blu, di
scorza il torace, spezzato e vivo.
Ho dimenticato tutto, scrivo
perché dimenticare è un
dono: non desidero più che alberi, alberi, prode
di vento, onde che vanno e tornano, l'eterno
rinascere sterile e muto
delle
cose
“Marzo è stato freddo e triste, ma
poi l'Aprile, praterie, portenti
di scarlatto lieve, ciliege, e le prime
rose”
Ci sono poesie senza tempo come questa di Giuseppe Conte, scritta più di
trentacinque anni fa, che non solo non è affatto datata, non ha perso la sua
fatata freschezza evocativa, anzi acquista ai nostri giorni disorientati ,
prosaici, il sapore di una visionarietà preziosa, giocata sul ritmo di una
leggerezza quasi estatica ormai difficile da ritrovare. E’ la realtà della
Natura percepita come trasfigurata dallo stupore di un ragazzino che ha avuto
in sorte la fortuna di nascere nella terra benedetta della Liguria.
L’Oceano e il ragazzo è un volumetto la cui
lettura consiglio a tutti gli amanti della poesia grande, a quelli che si
ostinano a credere che i versi abbiano ancora il potere di allargare l’anima
facendoci intravedere, o almeno intuire, che esiste un Oltre a salvarci dal
grigiore di certa quotidianità, se quest’Oltre sappiamo cogliere seguendo guide
(e poesie) che passo passo ci conducono in viaggi dello spirito, diventati per
noi rari, esotici, solo per noncuranza, disabitudine a questo tipo di viaggio
incantato. Disassuefazione che porta all’atrofia della sensibilità, della
capacità di ogni stuporoso incantamento.
Ma il motivo della riproposta di questa poesia di Conte è un altro: vuole
essere una specie di dimostrazione di un assunto che mi sta particolarmente a
cuore, proprio come una verità, sperimentata, che può portarci lontano, non so
neppure io fino a dove.
Io credo che la Poesia, quella vera, quella alta, abbia la
caratteristica, tra le altre, di essere inesauribile, cioè di dire sempre cose
nuove a che la interpella, al di là del tempo: anni, secoli, millenni. Certi versi,
introiettati nell’animo da chi legge, fatti tutt’uno con una nuova intelligenza
creatrice, danno avvio ad altre poesie, ad altre forme di immaginazione. La
Poesia non si ferma, se no sarebbe limitata e quindi statica, finita: altri
partiranno invece da lì e porteranno avanti altre strade, altri messaggi con un
percorso che teoricamente, mi piace pensare, potrebbe non avere mai
conclusione. Penso infatti alla Poesia con l’immagine di una catena senza fine,
dove ogni maglia non è conclusiva ma dà origine ad un altro anello di catena
che la prolunga e la porta verso approdi nuovi, sempre a partire da un anello
precedente che ci ha aperto a nuove emozioni ed abbiamo fatto nostro, dando
avvio però a ulteriori, diverse prospettive che mantengono un forte legame con
i punti di partenza precedenti. Non sarà il nostro un punto d’arrivo, bensì
quello di partenza per altra creazione, per altro pensiero progressivo.
Come esempio concreto di questo procedimento mentale, che avviene in modo
automatico, non voluto razionalmente o premeditatamente, vi segnalo la poesia Sera d’estate, in cui il verso di Conte:
“dimenticare è un dono” è diventato
l’incipit di un altro testo. Certe forme di “idem sentire” vorranno dire ben
qualcosa di insospettabile, visto che accomunano persone diverse per sesso,
età, frequentazioni e… capacità poetica. Posso fare quest’ultima osservazione a
cuor leggero visto che Sera d’estate
la scrissi io un po’ di anni fa. Non accusatemi d’immodestia, la presento solo
a scopo esemplificativo della mia asserzione di base: poesia come catena
inesauribile di emozioni e di collegamenti tra passato e presente, tra poeti
del tempo che fu e giovani di oggi.
Sera d’estate
Dimenticare è un dono
scrivere è immaginarericucire spezzoni di passato
sperperato dall’altra che io ero.
Fotogramma sbiadito in film non visto.
Fantasia è insufflare vita nuova
a maldestri ricordi frantumati,
in passatoie riannodare trame
di vite calpestate. – Fin che posso –
Questa memoria che non è memoria
a metà tra reale e immaginario
vibra vivida, forte, a dissetare
il riarso tramonto di un’estate
di canicola stanca.
Marvi del Pozzo
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