Giuseppe
Vetromile, napoletano, svolge la sua attività letteraria a Sant’Anastasia (NA)
ove vive da una quarantina d’anni. Poeta e infaticabile operatore culturale,
realizza Festival di poesia, è fondatore di circoli culturali, di blog
letterari in rete (tra cui Transiti
poetici), cura antologie, promuove rassegne e incontri tra letterati e
poeti.
La
sua indole generosa lo porta ad essere così attento agli altri e così prodigo
verso nuovi talenti che spesso egli stesso si dimentica di sé, in assoluto
atteggiamento di modestia, non promuove a sufficienza il suo lavoro di autore
proteso a dedicarsi a organizzare ad ampio raggio per gli altri. Ed è così che,
suggestionata dal suo comportamento pubblico, socialmente aperto, ho trascurato
anch’io finora di parlare della sua poesia, che mi è scivolata nel silenzio del
suo carattere schivo. Questa sua poesia, apprezzata e pluripremiata dagli
addetti ai lavori, ma poco appariscente, ha la luminosità, l’altezza, la
tessitura di mente e di cuore della poesia più raffinata, quella che vale la
pena di conoscere e di fare amare intorno a noi. Si
vive attraverso la storia: la macrostoria degli eventi eclatanti dell’umanità e
la microstoria degli avvenimenti personali, come le vicende familiari, la
storia delle proprie origini, il percorso di chi ci ha preceduto, ci ha dato
esempi, valori e comunque l’imprinting di quello che siamo. Tutto questo, a
nostra volta, vorremmo trasmettere a chi verrà dopo di noi, figli e nipoti in
primo luogo, naturalmente, ma anche – in modo più generico – alle generazioni
future, forse perché i nostri valori tradizionali trascendono le persone e,
forse, perché vorremmo restasse un po’ di noi nel tempo.
Ogni
mio volume di poesia ha nel frontespizio, riportato a mano da me, un pensiero
poetico, che ho fatto mio, di qualche poeta a me caro. La logica delle nuvole, ultimo libro pubblicato, presenta questi
versi di Ghiannis Ritsos (da Il guardiano
del faro):
Esiste sempre il modo
di donare
qualcosa
e forse di
restare anche noi
con quello che
doniamo
Incredibile
consonanza non solo col mio pensiero, ma col sentire di Giuseppe Vetromile.
Egli
sviluppa poeticamente la ricerca della propria storia personale in due mirabili
libri. Nel primo – Congiunzioni e
rimarginature, Scuderi Editrice 2015 – protagonisti sono padre e madre,
predecessori, ormai ombre, presenze vive tuttavia nell’esistenza del figlio
“che non interrompe la lunga catena del creato e della vita” [dall’Introduzione
dell’autore]. La penna del poeta sottrae ‘quel’ vissuto alle intemperie del
tempo materiale: è un modo per eternare l’agire umano al di là dell’esistenza
concreta delle persone che sono scomparse e, allo stesso modo, di collegare le
generazioni, passate - presenti - future, nel fluire del tempo.
La mano già sulla valigia
La mano già sulla valigia mi
dicesti dunque
io parto
ma tu non seguirmi e
non cospargere di petali la
scia d'amore che ti lascio
e neppure rendimi le parole
che ti ho fatto
misura del tuo corpo
figlio
perché un giorno tu possa
convertirle in inchiostro indelebile
sulla tua pelle pellegrina
Allora non ti vidi più
padre
come risucchiato dal cielo
o confuso nella terra
sparito dalla stanza
e il tempo è un'invenzione
per crederti ancora qui
seduto sulla tua poltrona
preferita
accanto alla radio a galena di tua costruzione
(ti piacevano i rottami del mercatino delle pulci
che tu rimettevi a nuovo come per incanto)
Partisti allora sì
ma per lidi tenebrosi e
speranzosi
quando l'afa di agosto era
già alle porte
ti seguii fino all'orizzonte
senza luce
una goccia di rugiada si
scioglieva
e il sole ignaro un'altra
volta all'alba
risorgeva
Mia madre aduna ancora le
sue forze
Mia madre aduna ancora le
sue forze
in questa baracca d'ossa che
le è rimasta
frastagliata dalla vita in
giù
e scricchiolante e in bilico
sui novant'anni e passa
della sua esistenza
Ed io non so più quale
rumore ella avverta
nel fragore del silenzio tra
le orecchie
sorde dalla nascita
quale melodia batta ancora
nel suo cuore antico
e ultimo di tanti suoi
ventricoli
inanellati ai grandi vecchi
del passato
(suo padre e sua madre dalle
tele appese
sopra l'étagère
hanno ancora sguardi fieri e
attenti
immobili nel tempo)
Mia madre è un campo di
battaglia
ancora frequentato dai
dottori
che a stento riescono a
fornirle
qualche appiglio fino
all'orizzonte
Ma io so che ama i sogni e
il paradiso
Dice infatti raccontandomi
le sue visioni:
io tranquilla aspetto qui
che si riapra
quella finestra nella camera
da letto
per vedere come veramente è
fatto l'universo
per sentire finalmente di
cosa è fatta
la voce di Dio
Dei
vestimenti dismessi
Dall'armadio alla pelle è
solo un transito minimo
: sono gli abiti che ci
dicono il giro da farsi
ogni giorno
e la vita non è che un cambiarsi
continuo la camicia
senza mai sapere di che
veramente è vestito
il nostro andare sfumando
*
Ho trovato in fondo al
cassetto il vecchio fazzoletto ricamato di papà
nel breve rimediare un mezzo
sorriso di ricordo
ho aggiunto quel tassello al
mio mosaico familiare
mancava come l'accenno di un
addio con la mano che si agitava lenta
quando sapeva che mai più
sarebbe riapparso nella casa
*
Ed anche la cravatta a righe
bianche e rosse di traverso
- mai messa per mancanza
d'un giusto accoppiamento -
è risultata all'improvviso
dietro la giacca
appesa ad una gruccia
sarà il caso forse che
l'indossi
una volta tanto e senza
remore
così
giusto per una fugace
apparizione
e poi dichiararla persa
nel sacco degli indumenti
smessi
come qualche volta accade
per i vecchi stanchi e
depressi
*
Un completo grigio fumo che
più non mi va
veramente non mi è mai
andato giusto
era sbagliata la taglia fin
dall'acquisto
ora giace sbilenco
nell'armadio
come se volesse fuggire via
pentito
o pieno di vergogna
ieri vi sono stato dentro
per una prova
ma - ahimè! - lo sapevo già
che sarebbe stato
tutto inutile
perché la giacca non
s'abbottonava
e la lampo dei pantaloni
rimaneva
a metà strada
ho realizzato di non essere
più io
ma l'aria che dentro quel
vestito
cercava sfogo in qualche
modo
verso il paradiso
Dentro
casa
Dentro casa non ho l'altezza
delle pareti
mi appiattisco dunque sul
pavimento per sentire meglio
il suono della terra
proveniente dall'altra parte
della mattonella
io così evito il blablà dei
condòmini tutti
reclusi nei metriquadri a
loro spettanti
come unità immobiliare unica
fede
del loro ancorarsi qui sulla
costruzione
palazzo massimo con comodità
ad ufo
mentre si stacca remota
un'ala trasparente
nel consunto volo d'angoscia
slargato
sui millenari perché
(ed io sono e dove sono e
dove vado
ma perché)
Sciama lontano uno sfilaccio d'anima
e così noi un piede dentro la stanza
una mano fuori tesa
verso l'oltre
in equilibrio instabile
crollerò alla prima morte
condominiale
sbalordito sul pianerottolo
e incredulo
che si possa così facilmente
attraversare
l'abbaino
rovesciarsi nel nulla e
volare verso il centro del
creato
raggiungere un immaginabile
Dio
mai visto pur stando
di notte
sul tetto a trasalire
Nel
secondo libro – Proprietà dell’attesa,
RP libri 2020 – il protagonista è l’uomo,
ontologicamente parlando, cioè
l’autore stesso, che diventa simbolo dell’aleatorietà umana. Sue e di tutti
sono le domande esistenziali, suo e di tutti lo snodarsi del vivere in
sospensione, tra attese continue di certezze in eventi che restano
imponderabili, oscillanti tra gli opposti: serenità e sofferenza, ansie e
speranze, preghiere e maledizioni, altezze e abissi, sicurezze e perplessità.
In
questo stato ‘fantasmatico’, totalmente incerto, della condizione umana, ove
l’inaffidabilità incontrastata impedisce la realizzazione di una felicità che
sia ‘durata’ e non questione di pochi attimi isolati, dove la stabilità è
proprio data solo dall’attesa, l’autore scandaglia attentamente proprio nella
varietà fenomenologica di quest’attendere. È in questa situazione di
sconfortante incertezza che Pino, proprio dal caos dell’irrequietezza di
pensieri e sentimenti, si eleva con la poesia, fiore miracoloso che nasce
inaspettato nelle sterpaglie della labilità. È il canto di un’anima battuta
dagli eventi, subissata da domande cui non c’è risposta attendibile, ma
esaltata tuttavia dalla voglia di ‘esserci’ comunque, di agire per lasciare un
segno, ma anche per realizzarsi in vita con quanto di più alto sia concesso
all’uomo: la solidarietà generosa per gli altri, il recupero del ‘meglio’ del
passato tramite la musica, l’arte, la bellezza, l’amore. E allora,
miracolosamente, nella poesia si sciolgono i nodi del contingente, le antinomie
della ragione, le illusioni e le delusioni del vivere, i grovigli dell’anima.
Così si può arrivare non solo alla pacificazione con sé stessi, ma alla
comprensione del significato del vivere e del morire delle generazioni umane,
delle civiltà, della storia, persino delle stelle e delle galassie. Si intuisce
che tutto ha un senso e tutto può essere grazia.
Vetromile
con la sua poesia realizza quello che era il suo obiettivo nel precedente Congiunzioni e rimarginature: aggiunge
la sua ‘maglia’ alla catena del creato e della vita e chi legge le sue poesie
non può non ricollegarsi, istintivamente e concettualmente, ai grandissimi che
lo hanno preceduto ed evidentemente nutrito di poesia. Penso ai nostri
classici, al senso del poetare e del vivere del Foscolo, che trova solo nella
speranza di eternità del canto la purificazione dai demoni delle sue
illusioni-delusioni, dalle attese franate e dalle speranze incompiute. Penso al
Leopardi della solidarietà della Ginestra
e dell’amore-amato, nonostante gli estremi inganni degli ultimi Canti.
In
questi pensieri – che entrano nell’animo forti, per quanto appena abbozzati, a
livello sentimentale, volutamente non elaborati logicamente, perché la poesia è
intuizione impalpabile, non è fatta di materia logico-consequenziale – io
riconosco la grande lezione, la catena che dai nostri classici arriva fino a
Pino Vetromile. Mi incanto al pensiero cui questo poeta per mano mi accompagna:
l’intuizione dell’Eterno attraverso le sue parole e quelle di chi ci ha
preceduto, in una catena di luce che altri continueranno dopo di noi.
L’attesa è
nuda
Vestita di cenere l'attesa
cova sotto l'ora del tramonto
Ha proprietà inderogabili
come
il tempo che non gira
indietro né
lascia passare un grano di
dolore
ma lo incastra inesorabile
tra me e te
che sei lontana ogni oltre
dire
Vestita di carta lacera
questa mia ombra
fantasma che aspetta il
tempo buono dell'alba
per liquefarsi in certezza
quotidiana
per proseguire come se nulla
fosse
il viaggio a Itaca
rimossi gli scogli dalla
rotta
resa infinita
irraggiungibile
la speranza di un abbraccio
Non ti dirò del mio penare
su ignote spiagge
provvisorie
né nei porti di fortuna
dove sostare di quando in
quando
come vuole il vento o il
caso
o l'ardore di un amore
dimenticato a poppa
Questa mia attesa è nuda
: sarà così fino al prossimo destino
Non sognare altro che un
balzo da qui all'eternità
Assorbirmi questa grande
luna sul terrazzo
e non sognare altro che un
balzo da qui
all'eternità
: questa notte è così chiara
che tutto mi confonde e mi
smateria
Anche la minima parte di
certezza
si è sgretolata al raggio
diretto dell'astro
qui sulla mia pelle in
attesa
Ma verranno druidi a
consulto nei boschi
ancestrali
e stabiliranno finalmente il
guado
da attraversare in
impellenza di vita
giacché troppo si è
costruito vanamente
ed ora ogni cosa va rifatta
al biancore candido e
innocente della luna
quella che non ha
spiegazioni da fornire
quella che sanno gli amanti
di sfuggita
quando raccolgono petali di
luce
e vanno avanti con l'unico
occhio buono
del cuore
Della mia
stupida attesa su questo granello impotente del creato
Nel vuoto della sera non c'è
alcun sogno restauratore
: chiuso nelle stanze di
questo amaro condominio
il tetto è l'unica
piattaforma da cui librarsi
nonostante l'assurdità della
pesantezza
e il grave delirio del corpo
che
declama una lieve tiritera
La favola rimane
imprigionata nel fanciullo che ero
ed hic et nunc
mi degrado fino
all'intercapedine dell'irrealtà
dove rimane luminosa la mia
ipotesi d'uomo
creato dal fato
illo tempore
per essere o non essere
per vivere o morire
Ma noi siamo deflagrati in
un incubo immane
orrenda storia è questo
cammino che si propaga
fino all'oscuro antro di
Sibilla
dove ci diranno il come e il
quando
ma non il perché delle cose
o della mia stupida attesa
su questo granello impotente
del creato
Forse è questa l'unica
ragione
di questa attesa infinita
di una vita
Ti lascerò le mie rovine nel
cassetto della scrivania
in un angolo ben visibile ma
discreto
perché tu le possa cantare
in un giorno di sole
quando la mia alba si sarà
fatta inutile
e gli Altri andranno avanti
sulla strada
abbandonandomi indietro
come inutile penombra
Sarai forse tu la mia
speranza e la mia fede
un sorriso che si fa eterno
nel domani
che mi preparo già adesso
qui su questo ripiano
sconsolato
Amore che senso ha la mia
poesia
se non questo disperato
ardore
che io ti viva dentro
come memoria d'una probabile
esistenza
***
Mi canterai dunque in un
giorno di sole?
Dimmi - forse è questa
l'unica ragione
di questa attesa infinita
di una vita