L’ultimo libro di Agnese Coppola rivela nel titolo La sete della sera il legame poetico e affettivo con la poetessa argentina Alejandra Pizarnik, di origine ebraico-russa, che è stata definita “poetessa dell’assenza” proprio come la sua amica Cristina Campo, che le scriveva in una lettera: “Bisogna fare deserto di sé e del mondo per vivere, nel mondo essere deserto in faccia agli uomini che ci vedono ma non vedono… bisogna calarsi nel sottosuolo di sé”. L’oscurità, che permette di fare chiarezza paradossalmente molto di più della luminosità distraente, è un elemento costitutivo della poesia della Coppola.
La notte era in effetti entità particolarmente cara alla Pizarnik, che scriveva:
La notte sembra sapere di me
e in più mi cura come se mi amasse
mi copre la coscienza con le sue stelle…
e altrove, nella poesia Incontro dice:
Tu parli come la notte
ti annunci come la sete
È qui forse la chiave di lettura dell’essere e la possibilità di restare al di là di ogni traversia esistenziale. Ma la parola poetica è anche immaginifica, va al di là della concretezza dei sensi, favorisce la scoperta di un mondo parallelo, tra finito e infinito, adeguato alla nostra sete di metafisica, in cui scoprirci forse più autentici, più coincidenti con la nostra realtà interiore o, comunque, col nostro obiettivo di arrivare prima o poi a questa limpida, totale, credibilità.
Ho avvicinato fin qui per alcuni aspetti oggettivamente rilevabili (il titolo del volume della Coppola fa fede) Agnese alla Pizarnik, ma c’è, nella sostanza, una incommensurabilità tra le due figure: l’argentina è un’anima fragile, battuta da inquietudini insanabili, da abissali squarci interiori; Agnese Coppola è una donna consapevole e ardita di oggi, un’autrice che “sa dove arrivare e come arrivare. La sua è una poesia lontana da gesti inutili” come giustamente sintetizza la curatrice della collana di poesia italiana contemporanea della Vita felice, Diana Battaggia.
Essenziale, determinata, consapevole la parola di Agnese: questa decisa autocoscienza della donna d’oggi si palesa fin dalla dedica, perché tutto sia chiaro: “A me, per amore”. La donna Agnese non solo si accetta, ma vuole bene a se stessa, così come è determinata ad andare avanti senza mai rinunciare a se stessa. E subito nella prima pagina, dopo il titolo dell’opera, troviamo scritto a mo’ di enunciazione programmatica:
Nella vita mi hanno detto:
‘rinuncia ai sogni’.
Ho risposto:
‘sono io i miei sogni’
È una poesia di ombre, ma spesso di luce (ritorna nei versi il colore bianco luminoso), di immagini trasfigurate, di un vitalismo coinvolgente che nasce dalla fusione di elementi che proprio dall’eccesso o dalla contraddizione trovano una loro forma di equilibrio. È una parola poetica multiforme, talora amica, altre volte inquieta, dirompente, talvolta vero punto di rottura, specchio di abissi interiori destabilizzanti. L’essere è bifronte, la poesia “schiude l’apertura tra mondo e parola”: noi stessi peraltro non sappiamo bene chi siamo, lo specchio ci rende un’immagine falsata: “il vetro è una ruvida ferita”. Lo specchio è senz’anima.
Un pomeriggio sarò
davanzale disteso di luce
verrai merlo di neve impazzita
la giornata respira.
Tu lo sai
il vetro è ruvida ferita
non basta portare
su un lato le tende.
Il tempo rimane tessuto
dallo scuro scucito.
*
Pesante è la coltre del silenzio
fugge per non incontrare
la sua faccia.
Tienimi,
da lontano vicino al cuore.
Tienimi, tienimi,
tu tienimi
ancora una notte
e avrà un respiro lungo
anche il silenzio.
mele carnali
San Pantaleo, Sardegna
Intorno le ombre suonano
accordi confusi strumenti
io danzo nei tuoi occhi
tu inciampi sulla mia bocca
tra le mani ventagli di parole
portate via dal vento.
E la luna accesa gioca
tra le tasche delle montagne
a nascondere le guance.
*
Mi ostino. Dico. Buona notte
sono coriandoli le stelle
grattugiate nella notte.
Le falde faglie a parola
tra i denti battono
Senti. Lo schianto. Il Silenzio.
Gli angoli di luna
affettano gli occhi.
Le costellazioni sono lì
da anni e noi siamo
briciole di pane quotidiano,
Dio mastica l'infinito
e ci sputa.
Ho appeso corde
ai bottoni del cappotto
Ho cucito gli avanzi
che l'universo mi deve.
L'amore non è un interruttore
ON OFF
OFF ON
È una stella fissa
anche quando il cielo
la oscura
con il bagliore del giorno.
L'amore è un dono
che fai al mondo
anche quando lo lasci andare.
Lo specchio è senz’anima. Noi siamo altro, sentiamo di essere altro, ma chi? Sicuramente non figlie di Eva quanto di Lilith, la moglie ribelle di Adamo che osò ripudiare, lei, l’uomo e, con la rinuncia alla maternità, una vita già prefissata anche fisiologicamente.
È evidente la conoscenza di Agnese, nonché la sua adesione, al poemetto della poetessa libanese contemporanea Joumana Haddad, Il ritorno di Lilith. Quest’opera, simbolo attuale dell’emancipazione femminile, anche sessuale, canta la mitica donna che prende in mano il proprio destino: ella sa manipolare il mondo maschile con la trasgressione, con una sensualità che non conosce regole né limiti, assumendo un potere disinibito, provocatorio, assoluto. Il fascino della figura leggendaria di Lilith, che ebbe l’ardire di perpetrare il primo divorzio della storia umana, rifiutando Adamo e la vita coniugale, è presente in certe poesie più orgiastiche e sensuali di Agnese che la fanno avvicinare a certe voci del mondo mediorientale contemporaneo. Penso non solo, come si è detto, alla libanese Haddad, ma anche a Maram al Masri, siriana, e soprattutto a Zhabiya Khamis degli Emirati arabi, il cui linguaggio, impudicamente esplicito, si apre più specificamente a sostenere i diritti delle donne tuttora calpestati.
Trovo stimolante, per concludere, accostare la poesia su Lilith della Coppola a un brano tratto da Il ritorno di Lilith della Haddad sulla stessa mitica figura [da: AA.VV., Non ho peccato abbastanza - Antologia di poetesse arabe contemporanee, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori 2007] anche per avere un confronto, su analogo tema, relativo a voci femminili di diversa area geografica, pur legate entrambe al Mediterraneo e alle rivoluzioni culturali delle donne d’oggi.
Agnese Coppola
Ho sputato chiodi
dall'imbuto fornace dei miei sensi
anche Dio è passato da lì.
Sulle rive del Mar Rosso
sparso l'ultimo sale
mi sono spogliata della corteccia dell'altra.
Donna non sai, io sono Lilith
e tu sei figlia di un doppio parto
croce e spillo di due lune.
Dal secondo pallido legno hai ereditato
il talamo supplice ai piedi
di un crocifisso a profilo di costole.
Ma l'uomo invocherà il mio ritorno
nel riflesso flesso degli occhi di Eva,
lei ha mammelle di latte per nutrire carne
e carne da tronco a germogli
che lo escludono,
ci poserà la giacca a sera.
Non saranno le tue labbra
a tenerlo nel letto
saranno gli altri venuti da te.
Nell'abisso del ventre incompiuto
la mia lussuria gonfierà
la polvere del suo sesso
spaccate le radici del peccato
si consumerà in me:
io sono Lilith, la prima donna
io sono ventre in cui
non è vergogna
io sono la tempesta.
In omaggio a una scultura di Silvano Bulgari
Joumana Haddad
Io sono in cammino.
Indosso una nuvola ogni notte e viaggio.
Solo io mi dico addio
e solo io mi accolgo.
Il desiderio è il mio cammino e la tempesta la mia bussola
in amore non getto l'ancora in nessun porto.
Di notte lascio gran parte di me stessa
poi mi ritrovo e mi abbraccio appassionatamente al ritorno.
Gemella del flusso e del riflusso
dell'onda e della sabbia
dell'astinenza della luna e dei suoi vizi
dell'amore
e della morte dell'amore.
Di giorno
La mia risata appartiene agli altri, ma la mia cena segreta
mi appartiene.
Chi comprende il mio ritmo mi conosce
mi segue
ma mai mi raggiunge.
Da quanto annotato spero si possano intravedere la ricchezza di registro e la vastità di tematiche della poesia di Agnese Coppola, che si pone tra le voci più giovani e interessanti della nostra poesia contemporanea. Vorrei che da qui si originasse una curiosità stimolante a prendere in mano questo libro e… nella sera, casalinga per pandemia, si estinguesse nel lettore una buona dose di questa sete di bellezza e di poesia.
Marvi del Pozzo
Interessanti e affascinanti le poesie di Agnase Coppola che si rifanno al mito di Lillith, tanto presente nella cultura ebraica. Come anche l'accostamento con la poesia di Jumana Haddad che ci aiuta a uscire ' dai nostri confini per allargarci all'area mediterranea intera. Grazie Marvi
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