La suddetta raccolta di saggi critici si
offre alla lettura in modo fertile e piacevole lungo il corso di ventisette
capitoli, dal Sommo Poeta fino a Giulia Perroni. E se posso aggiungere qualcosa
alla notevole prefazione di Donato di Stasi, direi che “la bella critica” della
Vanalesti evidenziata dallo studioso si rivela ad un tempo una fonte di
mirabile freschezza esegetica: non spiegandomi altrimenti la grazia rigorosa e
coinvolgente che mi ha avvolto nel bel mezzo dei percorsi critici del libro. I
grandi classici, sappiamo bene, son tali perché presenti e vivi nella nostra
vita; ed ecco come, all’altezza del secondo capitolo dedicato all’ultimo canto
del PARADISO, Anna Maria Vanalesti sia in grado di farci assaporare
l’accortissima “insufficienza della parola poetica” al cospetto della Somma
Luce (non senza sottolineare l’acme stilistica raggiunta da Dante in virtù
della famosa terzina “così la neve al sol si disigilla”). La finezza esegetica
della studiosa non è da meno nel capitolo successivo focalizzato sulla
“rimembranza in Petrarca”; tirandola in apparenza per le lunghe, la Vanalesti
infatti fa toccare con mano al lettore l’ubbidienza, nel Canzoniere, di
elementi contingenti e terreni alla logica ferrea di quel processo d’astrazione
lirica che vede in Petrarca un maestro incomparabile e ineludibile. Ma è il
capitolo quinto del volume, dedicato all’EPISTOLARIO leopardiano, ad aver
suscitato in me il più vivo apprezzamento.
“E’ nelle lettere che si forma lo
stile della prosa”, ci ricorda giustamente la studiosa in merito al grande
Recanatese talvolta disperato in esse ma non patetico (puntualizzazione
sacrosanta!)...tuttavia Giacomo un poeta proprio non riesce a non esserlo
rileggendo -come felicemente suggerito dalla Vanalesti- un passo della lettera
da lui indirizzata alla sorella Paolina (Bologna, 9/12/1825) laddove,
raccontandole della visita a colei che in passato aveva servito in casa
Leopardi, così si esprime: “Andai, trovai Angelina, che sentendo ch’io era
Leopardi, si fece rossa come la Luna quando s’alza”. Qui sono grato alla
studiosa non tanto per il riscontro circa l’ineluttabilità del grande
Recanatese quale poeta della Luna; quanto piuttosto per avermi ricondotto
nell’ipertesto verosimilmente sotteso alle parole leopardiane: “Luna…/ at si virgineum
suffuderit ore ruborem” (Virgilio, GEORGICHE, Libro Primo, 427-30).
Risulta peraltro ben nota la competenza di Anna Maria Vanalesti riguardo ai testi leopardiani; e veramente lo spirito del Recanatese aleggia lungo lo sviluppo di TRANSITI NELLA POESIA con riferimento al costante richiamo, nel libro, alla poesia come “voce del cuore”: avendo bene in mente la studiosa in tutta evidenza il passo 36 dello Zibaldone in cui Leopardi dice del Monti: “Egli è un poeta veramente dell’orecchio e della immaginazione, del cuore in nessun modo”. A riprova del succitato spirito leopardiano che intride TRANSITI NELLA POESIA, il densissimo, rigoroso studio sul “sistema linguistico” di Elio Pecora; a parte infatti i “prolegomeni” leopardiani presenti in tale studio, c’è in esso una osservazione particolarmente efficace della Vanalesti che occorre qui rammentare, ossia quella relativa alla grande sobrietà di aggettivi nel ductus poetico di Pecora (del tutto correlata alla profonda eticità di questo autore). Quanto detto finora esprime in modo chiarissimo la suindicata fertilità di lettura indotta dal libro in oggetto; e qui lo spazio è particolarmente tiranno nel farmi omettere cenni a diversi capitoli di cospicuo valore critico (penso soprattutto a quelli dedicati a Pascoli, Campana, Pavese e Bertolucci). In ogni caso prima di concludere, mi piacerà ricordare almeno la bellezza del capitolo XVII dedicato al Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini di Mario Luzi; giacché la Vanalesti stupendamente riesce a romanzare con esemplare sorveglianza la lirica trama del grande poeta toscano. E ancora, come tacere del capitolo relativo ad Amelia Rosselli (dal leopardiano titolo “Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso”)? rigorosa si rivela al riguardo l’analisi di una lirica come La passione mi divorò giustamente, vero manifesto delle poetiche altezze toccate dalla Rosselli. Infine, se la poesia è “voce del cuore” per Anna Maria Vanalesti, è altrettanto vero che questa nostra cara e grande studiosa trasfonde tutto il suo amore per essa in modo toccante a pagina 153 del libro dicendo: “qui bisogna mettersi con umiltà in ginocchio davanti alla poesia ed ascoltarne in silenzio i battiti e trattenerne con religioso stupore il respiro”. La lirica alla quale la Vanelesti si riferisce è La casa dei doganieri di Eugenio Montale, di indicibile forza evocativa. Ringrazio veramente di cuore l’autrice di questi TRANSITI pieni di grazia e autorevolezza critica.
Risulta peraltro ben nota la competenza di Anna Maria Vanalesti riguardo ai testi leopardiani; e veramente lo spirito del Recanatese aleggia lungo lo sviluppo di TRANSITI NELLA POESIA con riferimento al costante richiamo, nel libro, alla poesia come “voce del cuore”: avendo bene in mente la studiosa in tutta evidenza il passo 36 dello Zibaldone in cui Leopardi dice del Monti: “Egli è un poeta veramente dell’orecchio e della immaginazione, del cuore in nessun modo”. A riprova del succitato spirito leopardiano che intride TRANSITI NELLA POESIA, il densissimo, rigoroso studio sul “sistema linguistico” di Elio Pecora; a parte infatti i “prolegomeni” leopardiani presenti in tale studio, c’è in esso una osservazione particolarmente efficace della Vanalesti che occorre qui rammentare, ossia quella relativa alla grande sobrietà di aggettivi nel ductus poetico di Pecora (del tutto correlata alla profonda eticità di questo autore). Quanto detto finora esprime in modo chiarissimo la suindicata fertilità di lettura indotta dal libro in oggetto; e qui lo spazio è particolarmente tiranno nel farmi omettere cenni a diversi capitoli di cospicuo valore critico (penso soprattutto a quelli dedicati a Pascoli, Campana, Pavese e Bertolucci). In ogni caso prima di concludere, mi piacerà ricordare almeno la bellezza del capitolo XVII dedicato al Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini di Mario Luzi; giacché la Vanalesti stupendamente riesce a romanzare con esemplare sorveglianza la lirica trama del grande poeta toscano. E ancora, come tacere del capitolo relativo ad Amelia Rosselli (dal leopardiano titolo “Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso”)? rigorosa si rivela al riguardo l’analisi di una lirica come La passione mi divorò giustamente, vero manifesto delle poetiche altezze toccate dalla Rosselli. Infine, se la poesia è “voce del cuore” per Anna Maria Vanalesti, è altrettanto vero che questa nostra cara e grande studiosa trasfonde tutto il suo amore per essa in modo toccante a pagina 153 del libro dicendo: “qui bisogna mettersi con umiltà in ginocchio davanti alla poesia ed ascoltarne in silenzio i battiti e trattenerne con religioso stupore il respiro”. La lirica alla quale la Vanelesti si riferisce è La casa dei doganieri di Eugenio Montale, di indicibile forza evocativa. Ringrazio veramente di cuore l’autrice di questi TRANSITI pieni di grazia e autorevolezza critica.
Andrea Mariotti
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