Due poesie di Franco
Canavesio
I desideri dei sonnambuli (inedito)
Tra terra e cielo, per
sentieri
inaccessibili ad occhi
aperti, i desideri dei
sonnambuli
schiudono su precipizi
d'azzurro, fidarsi dell'aria
per coglierli, in sereno
equilibrio sui bordi,
il passo notturno ha la
stessa densità
del vento.
Una direzione, ogni notte un
continente
giardini già conosciuti
sulla carta, non solo fiori
aceri, datteri, manghi,
succo e polpa, ora matura
dei loro frutti.
Una catena d'oro mi lega al
sogno
d'Africa - schiavo, scrivano
del mio sogno‑
migrante
in senso contrario al tempo
sul tetto estremo del faro
d'Alessandria
lì toccavo le stelle, ad
occhi chiusi, sulle dita
contavo le punte, e racconto
ora della loro luce
tersa,
mai uno sbavo, non debordo,
del papiro millenario
ho chiara la dimensione del
foglio
e l'illimitata voglia di
suggere.
Filtravo, ora distillo, sono
state la mia forza
le piene e il limo, le maree
in un bicchiere d'acqua
dolce.
Ho calcato le melme
dell'India,
a ogni pagina, varcavo il
confine
un passo di indice e medio
sulla mappa,
era chiaro, senza bolo di
betel, il senso del viaggio
monsone d'infanzia, potente,
inondava le rive del Gange,
ardeva l'ultima face delle
pire galleggianti,
vita in circolo, dalla
cenere sciolta alla polpa
zuccherina del mango.
Anche il deserto, e
m'asciugo
e scurisco di pelle
nero, senza caravelle,
confuso all'aliseo
schiavo del sogno, in volo e
col corpo son sveglio
in moto anche senza luna e
stelle
seguo la catena sommersa tra
i due continenti
- solo se anneghi t'accorgi
dell'acqua ‑
è reale il mio
traversamento.
Le foreste, oltre
l'Atlantico
tronchi alti come torri, verdi da millenni, radici
profonde
schiavi legati alla terra, e
il sogno mio non
vorrebbe
ma su questa ha piedi ben
saldi.
È vita vera il passo
notturno
a occhi chiusi il ritorno dai luoghi d'infanzia
la coscienza ben salda e con corpo vivo
di giovane sonnambulo.
Mi sento con serenità d’animo di definire Franco Canavesio “il Poeta” con la P
maiuscola, cioè colui che personifica il concetto di poeta valido in tutti i
tempi, la persona che vive la sua età ma non solo quella, che è inserito nel
mondo ma non è del mondo, quello che coglie l’anima segreta della natura e
delle cose e le fa parlare per trasmetterle a noi, quello che percepisce
“l’oltre” e riesce a rendere a noi tutte le intuizioni misteriose che ci
sfuggono, che finiscono in genere inghiottite con i loro segreti nel mare
magnum della quotidianità materiale, spesso superficiale, talora becera dei
nostri giorni. Franco è l’uomo toccato dalle Muse, quello per cui Platone
diceva (ovviamente non a lui, ma pensando a qualcuno come lui, duemila
quattrocento anni fa circa) nei dialoghi dell’Amore ed in particolare nel
Fedro, che per la poesia… non serve il
terrestre, non ha importanza scienza, tecné, capacità espositiva, perché la
poesia è ispirata direttamente dall’alto e all’alto riconduce, esprime
l’inesprimibile, dà voce alle cose che non parlano quasi a nessuno, si fa
veggente di altri modi di essere e di sentire, insomma vede l’invisibile,
sente ciò che il mondo non sa ascoltare, si nutre degli odori mischiati
dell’aria, della terra, della natura, del mare e li rende palpabili e
trasferibili con una parola che si fa spirito tanto è ariosa, rarefatta, quasi
non di questo mondo. Questa è
l’indicibilità dell’arte, resa concreta solo in parte, grazie alla magia della
parola poetica, se la parola riesce a farsi poetica.
Le mie possono sembrare sterili parole di lode, ma non lo
sono. Il perché ve lo esemplifico per far capire cosa voglio dire, parlando di
arte e di fantasia creatrice, con la condivisione di alcune sue poesie: la
prima, I desideri dei sonnambuli, è un
bellissimo testo inedito dove capiamo concretamente dall’atmosfera che l’autore
sa inventare che il sogno è vita e la vita è sogno. Per chi vive con tali doti
di sensibilità percettiva non è possibile distinguere tra le due situazioni,
questo se “ci fidiamo” dell’aria e ci
lasciamo andare al “passo notturno che ha
la stessa intensità del vento”, se viaggiamo in un viaggio più reale del
reale, sulle ali geografiche di voli immaginifici al di là di tempi e spazi.
“E’ vita vera il passo
notturno
a occhi chiusi il
ritorno nei luoghi dell’infanzia
la coscienza ben salda
e con corpo vivo
di giovane
sonnambulo”.
Quale è il nostro vivere reale, quello della realtà
concreta, pratica, materiale, diurna, o quella appassionata, artistica,
misteriosa, immaginifica della sensibilità estenuata del sogno?
da L'anima sognante (2018)
Mi è chiaro, in questo
giardino
ogni nato ha il suo nome
leucanthemo non è lo stesso che
biancofiore
ha importanza, mi dici, la
precisione
ma se vago nei meandri di
colore
- lo sguardo abbraccia,
corre di fiore in fiore
non mi va di pensare a
distinzioni
(nome che specifica, nome
che separa).
Qui, nella comune e trepida
salita, fervore
di steli, identica voglia di
luce
si mischiano profumi,
s'accoppiano pollini,
nuovi ibridi senza nome,
nati
da impossibili amori.
E io pure, amico caro, qui
tra luci e ombre del prato
ho smarrito il senso del mio
nome
rosa, o margherita forse,
dal candido sorriso
- strappare i petali uno ad
uno
fino a farla morire -,
ché altro era il fiore, da
tenere tra le labbra
innominabile e selvaggio,
nascosto, sotto l'ombra dei
noccioli.
Suggestioni, seduto accanto
ad un amico, nel suo giardino.
Già l’argomento è poetico di per sé e per dargli vita e
riuscire a comunicarlo bisogna far leva su una leggerezza di lessico, di
atmosfere, sulla capacità di evocare in chi legge sensazioni magiche,
aiutandosi con strumenti tecnici che quasi non appaiono; non appaiono perché,
se apparissero, di colpo appesantirebbero il testo e lo farebbero precipitare
dall’aere a terra di colpo, come un aquilone per calo di vento improvviso si
schianta perdendo tutta la sua levità ed incanto di volo.
Franco Canavesio evoca la vita poetica e complessa del
giardino fiorito. Qui la sinestesia – figura retorica in cui, come si sa, si
accostano parole o espressioni relative a sfere sensoriali diverse (esempio: voci azzurre: sensazioni uditive e
visive accostate) – è solo suggerita, non è aperta, ma risulta talmente intensa
che mi è sembrato di odorare distintamente i profumi mischiati di un giardino
decadente, dove nessun elemento mantiene la sua identità originaria ma concorre
a creare entità diverse, molteplici, che si fanno e disfanno in un clima di
stordente sensualità, cui l’autore non si sottrae anzi aggiunge sottile,
incantato, erotismo.
La poesia di Canavesio è una forma di educazione alla
Bellezza, non voluta – beninteso – da lui che è tutt’altro che
gnomico-sentenzioso: questo avviene, a parer mio, in modo inconscio. Ma gli
riesce bene, forse perché è poco narrativo, meno legato alle contingenze della
vita pratica, almeno in questi suoi testi, ma più intensamente lirico, più
autenticamente ed immediatamente comunicativo. Pur nella contemporaneità del
registro espressivo, l’accurata scelta lessicale, l’armonia degli elementi
rimandano in modo inconscio, ma ben più che subliminale, al decadentismo
francese del primo Novecento, ma sostanzialmente al clima onirico ed evocativo
della musica di Debussy.
Per concludere quindi: la poesia di Canavesio è poesia di
grande anima, attenta alle voci nascoste, è la scrittura di chi non può fare a
meno di scrivere perché non annota ma, anche da uno spunto, un libro, un
quadro, una fotografia, crea, non racconta: non è descrittivo ma immette
vita nuova. Non può fare a meno di questa creatività. Come il pittore
impressionista Monet, nell’ultimo periodo, che dal laghetto di ninfee di Giverny,
crea qualcosa di diverso, non è più descrittivo, non ripete ciò che vede, ma va
avanti ad inventare su una strada moderna un’altra idea di pittura, arriva al
concetto essenziale di ninfea: l’idea di
ninfea. Così è Canavesio in quello che scrive, almeno io dai testi letti
immagino e credo questo sia il suo procedimento mentale.
Mi rendo conto di avere inserito riferimenti pittorici
(Monet) o musicali (Debussy), ma io credo profondamente nella sinergia tra le
arti. Questa sinergia Canavesio evoca e suggerisce in modo spontaneo e naturale
nel lettore. Ed è cosa rara, non capita in genere, o quasi mai, in altri autori
di poesia contemporanea.
Altra dote di questa poesia e, direi più ancora, dell’autore
è il vedere le cose in modo distaccato, con calma olimpica: è l’atteggiamento
del Poeta-Filosofo, ma direi più del poeta, che cerca di vivere poeticamente e
cioè con attenzione agli altri e alle cose, con equilibrio, con semplicità e
gentilezza, non lasciandosi imbarbarire dai costumi altrui, dalla consuetudine
alla prevaricazione, dallo sgomitare, dalle invidiuzze più o meno latenti,
dall’ostentazione dei premi letterari ricevuti, dal palmarès della propria
carriera artistica.
In sintesi la sua è una poesia coerente, specchio
reale e non letterario di una persona in equilibrio con se stessa, con il mondo
circostante, con il suo modo di concepire l’arte. E’ poesia di armonia nel
contenuto e nella forma e come tale ha effetto rasserenante in chi le si
avvicina.
Marvi Del Pozzo
Marvi Del Pozzo
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