È una lenta agonia di canto,
lo sciame sismico di una danza immobile
che solo riesco a cogliere
nel mio involucro made in Italy
di donna occidentale.
Non conosco il desiderio duro
di un utero di pietra
né l’orrore in un pugno di sabbia
nel paese senz’acqua dai mille padroni.
Eppure, la traccia muta di quel canto,
il passo a vuoto di quella danza
tenaci squarciano il mio scudo
e oscurano il cielo di agosto.
Irene Sabetta
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