Supplica per le donne afghane
Hanno aspirato il tempo breve dell’azzurro,
avviluppato ore di normalità e vita;
il nero che ripiomba – di colpo –
è mannaia invalicabile; odo fragori.
Non si neghi lo sguardo inclemente:
che si riveli il dramma di donne
incasellate nelle fogne – nutrite a
schiaffi e amplessi forzosi, in cave d’olio.
Ritorto e spezzato senza alcuna ricucitura
l’osso delle ore intense, di quando
le vesti e gli occhi non imprigionavano
il vero nella tirannia del buio.
Pure la luce, viziata dall’ombra che dilaga,
non entra a perpendicolo; drammatico
è il silenzio che s’è affisso dappertutto,
donna che eri, sei e sarai, donna assisa.
Nei crocicchi corpi dilaniati ammantati
della bandiera nazionale cadono,
lotta impari, sole ammantato e
polvere densa d’odio a Jalalabad.
S’alzerà un vento rosso, di grumi profondi,
di cicatrici arse, di tumulti accorati e odi,
di velleità ormai abbandonate: tu – che puoi –
avanza nell’aiuto sodale alle donne del mondo.
Rivedo ora il verde ambrato degli occhi,
un sorriso abbozzato, mani dal tono
candido di pelle; qui la donna è spazzata
dallo scenario del mondo, suicidio dell’anima.
Chi direbbe all’altro di non fiatare,
di paragonare l’eccidio che principia a fasi
ineluttabili e ricorsi della storia: qui il Male
ha vinto – non sarà battaglia da accettare.
Donna assisa di dolore e tumulto – figlia del
mondo e madre di te stessa – non avrai giustizia
nel diorama delle tenebre che s’impone.
E tu – che sevizi il mondo – ricorda tua madre.
Lorenzo Spurio
Jesi, 18/09/2021
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