martedì 24 maggio 2022

Luca Perrone su "Sibilla" di Zahira Ziello (Terra d'Ulivi Edizioni 2021)

Sibilla strappa l'assoluto. Accartoccia le fondamenta, disabilita la convenzione. Il lettore di poesia si ripara dal freddo e si nasconde. La certezza di aver individuato il genio benigno, il suo officiante preferito, lo cela e lo riscalda. Ma Sibilla è il dove del dopo. La dimostrazione che morale ed estetica possano coincidere: tutt'altro che scontato. Gesù Cristo avrebbe impressionato davvero soltanto se avesse ceduto alla trama poemi, piuttosto che parabole.

Questi oracoli confermano a qualcuno che sia cieco, ma senza traccia tattile di Omero, un assunto parossistico mai scomposto: ispirazione è una intelligenza tangibile, che tutto ammanta senza lasciare ai profani alcun margine di abbruttimento. La poetessa è sacra. Davvero ben lungi dal più canuto tra i mortali

 

L.

 

Ti guardo

e le mie vene

si srotolano dal cielo

 

Mi guardi

e le tue vene

si srotolano fino al cielo

 

Peraltro pare consapevole in abito composto. Costume. Delicata e diafana o astuta e pagana, la poesia di Zahira Ziello si incastona impercettibilmente nel gioiello parto d'artista, destinato al più prezioso dei diamanti neri. A proposito di vene. Vi sono computi perfetti, più o meno celati tra le molte pagine della raccolta, volti a dimostrare un assunto originale: la metà alta del cielo maneggia la razionalità con destrezza di ladro. È sufficiente togliere. L'altra metà pare non darsi conto, immersa spesso tra l'ingombro del superfluo, che si tratti di materia-parola o di quell'altra.

La colpevole consapevolezza riguardo i flussi terrestri dell'estasi, l'infinitamente piccolo, rende possibile saturare l'epifania di questo libro per mezzo di significati, che nel migliore dei mondi non sarebbero concepibili, tanto perfetti e spesso struggenti sono i significanti che lo compongono.

Sibilla canta da sola. Una band che suoni rock progressivo: i Giano Bifrontman, poniamo. Due donne luminose come soli, giacché le stelle sono troppo eteree. Una urla e scalcia insulti e l'altra esegue perfette triplofonie. Poi si scambiano ed entrambe sputano. I Cerbero magari, ma forse sarebbe pretendere troppo.

 

Celere

Sono un eccesso di pause

fisicamente grasse

e inmpropriamente collocate

 

Annaspo nello zucchero

che non mi fu dato

 

"Maledirò la brevità

del salto con la sua disfatta,

il tono basso dello slancio,

Te mancanza mia

 

Appare chiaro che qualcuno sia infine riuscito a poetare, per mezzo della sperimentazione punteggiaturiale©. Il magismo dell'idea ha scoperchiato il tempo, compresso dagli dei nell'unico istante privo di tormento, che un essere umano possa contare. Mancanza, soli quattro anni fa, fu il titolo della prima silloge di Ilaria Palomba. Ilaria Palomba martedì tre maggio duemilaventidue ha deciso di volare, questa volta senza ali, dal quarto piano di un edificio. È sopravvissuta a causa della brevità del salto di cui all'enjambement della Celere appena letta. L'ideazione suicidiaria ricorre come un vessillo nella raccolta di Ziello. Cifra sempiterna delle lettere, trova sperticato e fertile terreno nell'attuale generazione di poeti

 

Schiacciato

 

Schiacciato dal peso della terra

degli angeli che frugano fra frammenti di ossa.

Intasato da fischi di trombe mutate

da tranci di fegato di marinai ubriachi.

Come un profeta sifilitico urlo

alle vertebre di gemere e soffocare.

 

Gabriele Galloni amò peregrinare tra cripte e ossari e obitori. Cercò il proprio palcoscenico mai pago, furioso, vivo. Un cuore troppo forte e tracotante per resistere alla propria divinità. Violenza perpetrata contro sé stessa. Vettore di vettore: bellezza. Il presente della ritualità poetica è soverchiato dall'afasica tirannia del monotono arcobaleno apatico. Nati sul fondo atro di un abisso viscoso e truce, questi poeti. Potenza di gambe infrante e spezzate traina scafandro di carne all'ariosa luce. Ci puoi appendere il cappello.

La delicata eleganza dell'impianto metaforico di Ziello appartiene a una dimensione che i frammenti suggeriscono propria dell'antico apparato misterico. La poetessa ne ha coscienza assoluta. Non è forse il titolo conciso ed eloquente?

 

Sibilla

 

È sibilla

i satiri che le marciano in testa,

ha la violenza dei padri:

un bastone fra le mani

É blasfema

nonostante faccia l'amore al dio

tutti i giorni

ha l'odore di orchidee morte secoli fa.

 

Assistiamo a un rituale di fattura complessa e perfetta. Eros primordiale scaturisce con forza dagli anfratti superiori della penna, senza lordare il volto di questo inchiostro sanguinario e indelebile.

A chi giova la frase in prosa, che blindi la fuga lacera di ogni imene? Qualche secolo vede scontrarsi sul tappetto i generi più diffusi, in cerca di equilibrio. Diritti, doveri. Quasi essere non fosse esistere. La volontà soverchiata dal respiro, che peristaltico tuba al cuore capitali d'attimi divinati o aspersi. I primi quattro versi della poesia appena trascritta dirimono sereni il nocciolo di ogni questione. L'estrema sintesi lirica, la violenza del modello astronomico del buco nero, ma blu.

Il luogo e il tempo dai quali immagini irradiare il fascinum di questi guizzi, mai squilibrati o sbilanciati, giace immobile e assorto e distante da qualsiasi considerazione in merito al sesso della sua autrice. Il profumo però si avverte:

 

Insonnia

 

Il sole puzza,

mi allatta per non farmi piangere

ma tremo, casco, mi strazio

per la pessima ninna-nanna;

non so dove nascondermi.

 

I must find a place to hide

 

J.D. Morrison, senza dubbio il più grande tra gli anglofoni del proprio tempo. L'introduzione di The Soft Parade, ultimo album in studio della band. Non ti preoccuperesti più di tanto, se non fosse che Sibilla costituisce l'esordio pubblico di Ziello.

 

Appaiono le ossa un po' ovunque tra le benedizioni (poche) e gli anatemi che compongono l'opera. La poetessa non si pone il problema di mostrare al pubblico la propria dimestichezza con l'Opera. Si tratta certo di una strega, permeata del dono della veggenza quale compendio e accessorio di una esistenza improntata al più frugale tra i coraggi e una sincerità ostinata. Le ossa. Vertebre e costole.

Ciò che di spezzato sostiene il quartetto tronco dei poeti vivi. Non sarebbe dovuta atterrare in un luogo così affiorato e priva di orchidee fresche.

 

L.

 

Grida come se fossi dentro

ascolta quel che

l'umido ti risponde

Se hai male

strappale le costole

dal petto

Leccale via la vita,

non ha altro da offrirti

 

Di Eva certo, ma anche d'altre costole: la lirica a pagina cinquantaquattro le contiene scomoda come un corpetto, sebbene elegantissima. La rivelazione illumina il volto del maiale cui tendi ad associare queste specifiche ossa, quando il libro più stampato del pianeta non ti vede generato da una parte occulta di qualcosa d'altro, che c'entri veramente poco con la tua nobile e sofisticata natura, la raffinatezza della tua indole, talvolta malvagia. Sovviene il flauto che suonano i morti nella luce in cui cadono, musica esclusiva, l'orecchio di Gabriele Galloni.

Zahira, in questa silloge, che ci avverte dell'entrata in scena di una incantatrice veggente, una guerriera maga, in maniera piuttosto umile e disinvolta si specchia nella Commedia del Sommo. Soltanto per carpire l'essenza dei lineamenti spigolosi e croccanti del proprio volto.

Nel libro, sostanzioso e foriero di fame atavica, ricorre discreto e sibilante e sibillino il suono delle porte, dei muri, della polvere, della detonazione. Ma questo lo considero un argomento privato, da discutersi in cima a un panorama vertiginoso e squassante, lontani da telefoni e altre tecnologie.

E poi giù al fiume, ad annegare la ninfa petulante.  

 

Luca Perrone

 

 

 

 

 

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