Si torna bambini, ci si rivede piccoli nelle parole dell’infanzia, riconosciuti e amati in una passeggiata che diventa importante perché si fa con papà, perché la festa è sacra, come sacro e puro è il trascorrere del tempo segnato dai rituali della famiglia. La vita della famiglia è cementata dall’affetto e dalle abitudini quotidiane di leggere, commentare, ascoltare: la mamma legge l’Orlando furioso alla bambina che ascolta attenta. La bambina del tempo innocente, bambola negli occhi amorevoli dei genitori, piccola scolara dai grandi occhi scuri che sale emozionata le scale della scuola. Poi la forma cambia e il dire si distilla nell’alambicco del verso: è qui che si concreta la duplicità dolorosa del dentro/ fuori, la coscienza dell’accaduto che corrode, è qui che prende corpo la verità del dolore (p. 22):
la confusione nella testa
le gambette tremanti
in pochi istanti il male
il male per sempre.
Bambola, quindi, dopo l’evento indicibile, ma con altra connotazione, oggetto usato, voce inascoltata, bambina violata, incredula e confusa, prigioniera di una colpa suscitata da una bieca manipolazione che la impietrisce nella sofferenza, bambina che vive il dramma di non meritare amore. Il mondo dei grandi è incomprensibile, disgustoso: quel giorno le caramelle/ avevano il sapore osceno dello stupro (p. 23). Versi che sono quasi un landay, una voce che torna qui nel buio, accompagnata dalla donna che la bambina è diventata, per cantare dolore e denuncia. E che della bambina rivive gli interrogativi:
Cosa fanno i grandi come giochi?
L’orco cattivo a volte ha gli occhi
azzurri di un principe. (p.25)
Ci vuole tempo per concedersi di tornare persona, per perdonare la bambina indifesa col suo macigno di colpa sul cuore, il tempo lungo di un amore coltivato con tenacia. Di questo amore ci fa dono Cinzia Marulli. È un amore che si esprime come creazione e comunicazione, cura sensibile delle creature fragili che l’autrice ha sempre avuto a cuore, ricordiamo la raccolta La casa delle fate, La Vita Felice, 2017, con il quale ci conduce all’interno di una casa di riposo accarezzando la caducità umana nei suoi versi. In Autobiografia del silenzio la poesia di apertura ci rivela un intento programmatico, ci avverte che stiamo attraversando una soglia infernale per entrare in un luogo di dolore e non ci lascia scampo perché, ci avverte, Può avvenire - ed è accaduto -/ che l’orco cattivo esista davvero, ma non ci lascia indifesi davanti al mostro perché ha imparato ad amare oltre il dolore: ma per poterne parlare/ ha dovuto perdonare// ha dovuto imparare ad amare. Il dato biografico è trasceso nella guida amorevole di colei che ci guida, come un Virgilio che mostra e prende per mano per condurre ad altri luoghi più degni dell’umano.
Roma, 10 giugno 2022
Cristina Polli
Nessun commento:
Posta un commento